“Chiusi 9 settembre 1943
Ore 11
Tento di informare il prefetto di quanto accade, esso non è reperibile ma mi si dice che a Siena tutto è tranquillo e normale, evidentemente questo è il primo comune della provincia che subisce l’occupazione tedesca.
Ore 12
Avverto il segretario comunale della nuova situazione e lo prego di prendere le opportune misure per assicurare i generi alimentari; subito dopo convoco tutti gli impiegati e dopo avere loro comunicato il nuovo stato di cose li esorto a tenere con gli ufficiali tedeschi, che verranno negli uffici, un contegno corretto cercando di evitare possibili screzi, informandomi minutamente di tutto ma senza assumere presso di loro atteggiamenti di debolezza e tanto meno di servilismo. Noto nelle loro facce una sensibile impressione.
Ore 15
Il comandante della città (annichilisco a scrivere questa frase) mi manda a chiamare in caserma dei carabinieri. Vado e lo trovo nell’ufficio del comandante la tenenza che è un uomo equilibrato e dotato di una grande serenità. Il capitano Dannemberg è un aitante tipo di soldato prussiano dai lineamenti marcati, volitivi e duri. Ha un espressione sprezzante e quando parla i suoi occhi, freddi come l’acciaio, guardano in terra. Dopo le frasi rituali egli mi dice, tramite interprete, che debbo firmare un mio proclama che mi fa leggere. Rispondo che desidero avere prima l’autorizzazione delle autorità italiane. Il tenente dei carabinieri, il quale deve firmarlo anche lui, ha preso contatto per telefono con il generale italiano comandante il presidio di Siena. Esso, che prende conoscenza del tutto lettogli dal tenente stesso, autorizza lui e me a firmarlo.
Il proclama è così redatto:
Chiusi, lì 9 settembre 1943
Da oggi, 9 settembre 1943, il comando tedesco assieme ai reali carabinieri si rende responsabile per la sicurezza della città.
Il comando ordina in comune accordo col sig. Podestà e con la tenenza dei carabinieri reali:
Nessuno può uscire di casa dalle ore 20 alle ore 7. Chiunque disturbasse gli ordini dati sarà punito secondo la legge militare. Nell’interesse della popolazione sarà dunque necessario mantenere la massima calma e ordine. Tutte le armi che si trovano presso persone civili debbono essere consegnate al comando dei reali carabinieri. Chiunque borghese si troverà a circolare in possesso di armi sarà punito a morte.
P. Dannemberg
Capitano comandante
A. Vaccaro
Tenente de reali carabinieri
Piero Galeotti
Quando ho firmato mi è sembrato che il cuore mi balzasse dal petto. Subito dopo sono stati concertati e diramati gli ordini accennati. Io ho chiesto ed ottenuto il permesso di libera circolazione a qualunque ora per me, per i vigili urbani, per i sanitari e per alcuni salariati preposti a pubblici servizi. Poi il capitano mi dice di essere a conoscenza come in questo comune vi siano molti antitedeschi comunisti e dice che circa quaranta persone debbono essere internate. Replico che non posso escludere che qualche comunista possa esservi, ma affermo che ad ogni modo si tratta di elementi isolati, puramente idealisti e comunque incapaci di qualsiasi atto di ribellione. Faccio anche osservare come tale misura inasprirebbe inutilmente gli animi di questa popolazione gia così mite ed ossequiente alle leggi. Il tenente Vaccaro sostiene validamente la mia tesi. Dannemberg insiste ancora. Io mi mantengo fermo nella mia opinione, ed infine gli assicuro che mi assumo la responsabilità di quanto ho detto e della disciplina del mio popolo. Il tenente dei carabinieri assicura da parte sua che anche egli risponderà completamente dell’ordine pubblico. Dopo un istante di raccoglimento, il capitano dice: “Mi fido di voi”.
Ore 16.
Apprendo come un battaglione di truppe italiane, sia stato, a Chiusi scalo, circondato dai tedeschi e disarmato. Gli ufficiali sono venuti a parlamentare con il comando germanico. Si nota un eccezionale movimento di truppe, di automezzi e di ufficiali. Qualche cosa di grave si sta delineando, la popolazione è presa dall’ansia; il tenente dei carabinieri è in continua comunicazione telefonica con il comandante del presidio italiano di Siena. Lo interrogo, ma comprendo che vi è qualche cosa che si vuole celare. Intanto faccio esortare la popolazione a ritirarsi nelle proprie case, specialmente le donne e i bambini.
10 settembre.
Ieri sera, alle ore 23, sono uscito per osservare, possibilmente, l’atteggiamento delle truppe occupanti. La mia piccola città era completamente deserta, immersa in un silenzio sepolcrale, e sopraffatta dall’incubo, rotto dalla luce di una luna malinconicamente velata. Qualche pattuglia composta da carabinieri e fanti tedeschi percorreva le vie; davanti alle scuole elementari, dov’è il comando, sostava un picchetto armato. Si notava un eccezionale movimento di ufficiali e di automobili, al campo della fiera (oggi scuole medie. n.d.r.), in piazza Vittorio Veneto. Ai Forti vi erano automezzi e attendamenti con impianti di stazioni radio e telefoniche da campo dove giunge la parola imperiosa di qualche ordine e la musica radiotrasmessa, lontana e intempestiva. Per la prima volta ho la sensazione angosciosa di sentirmi straniero in patria! Mentre tornavo a casa incontrai il soldato Passarella del nucleo antiparacadutisti, interprete presso il comando tedesco. Con visibile preoccupazione egli mi confida che, qualora i battaglioni italiani attaccassero i germanici, il capitano Donnemberg ordinerebbe l’impiego di gas asfissianti già predisposti. Tale notizia mi agghiaccia. Anziché rincasare mi reco al comando tedesco in cerca di Raifart ma egli è assente, tornerà forse domani. Mi sento impossibilitato a qualsiasi azione immediata e mi preoccupa il pensiero di non esporre l’interprete ad una punizione capitale! Mi sono coricato in preda ad una agitazione febbrile. Non ho dormito ed ho pensato con indicibile trepidazione a questo povero popolo ignaro, agli ammalati, ai vecchi ed ai bambini. Tutta la notte è stato un numeroso transitare di automezzi d’ogni genere. Questa mattina mi sono affrettato ad uscire di casa per cogliere informazioni. Mi viene riferito che tutte le strade provinciali che conducono alla città sono state bloccate a qualche chilometro di distanza. Al di qua delle barricate sono state scavate trincee e piazzate artiglierie e mitragliatrici. Anche dentro al paese, sotto la piazza Vittorio Veneto, è stata fatta la stessa cosa. Apprendo anche che i cannoni della divisione “Ravenna”, che marcia contro i tedeschi, sono puntati contro Chiusi dai colli situati tra Chianciano e Montepulciano. Vado a domandare di Raifart, è ancora assente. La mia preoccupazione si fa più angosciosa. Tutti gli altri ufficiali con i quali avrei potuto parlare sono stati trasferiti nella nottata. Mi reco alla tenenza dei carabinieri dove comprendo che lo scontro tra le due parti è temuto per le ultime ore di oggi o per le prime di domani. Le conversazioni telefoniche fra questo ufficio e il comando del presidio di Siena sono laboriose ed interminabili. Ad un certo momento il tenente Vaccaro mi chiama in disparte, mi consegna un foglio con l’indirizzo della sua famiglia e mi fa promettere che, qualora dovesse accadergli qualche sinistro, nell’adempimento del suo dovere di soldato, io avrò cura di informare sollecitamente i suoi cari. Forse anch’egli conosce l’orribile minaccia che grava su tutti, oppure teme un confronto tra i suoi uomini e gli invasori.
Ore 9
Sono al mio tavolo di lavoro, mai tanto triste come questa mattina. Chiedo urgentemente di telefonare al Prefetto, ma solo alle 10 ottengo la comunicazione. Lo informo concisamente della situazione e poiché temo che il telefono sia già sotto controllo, tento di prospettargli con un giro di parole la minaccia più grave che incombe su noi. Egli mi risponde che nulla può fare e mi consiglia di rivolgermi alle autorità militari! Replico vivacemente e gli dico che informandolo adempio ad un mio preciso dovere e che mi è impossibile comunicare con il generale comandante la piazza di Siena. Aggiungo infine che ritengo necessario che egli prenda contatto con esso al riguardo. Sua eccellenza ripete energicamente che non può fare nulla e si dimostra, dal tono della voce, seccato per il mio suggerimento. Comprendo che non si è fatta un’idea chiara della situazione locale mentre nel capoluogo della provincia regnano normalità ed ordine perfetti. Torno ad insistere e questa volta alzando anch’io il timbro della voce. Dopo qualche minuto capisco di averlo persuaso e riesco ad ottenere assicurazione di un suo immediato intervento. Questo prefetto è a Siena da pochi giorni e non conosce nè Chiusi nè me. Ad ogni modo la sua promessa mi ha relativamente tranquillizzato. Intanto penso che la presenza del Vescovo, il quale dovrebbe essere a Pienza, sarebbe confortevole per la mia popolazione. Tento di telefonare anche a lui, con la speranza che un suo passo potrebbe essere utile presso i due contendenti, affinché possano essere risparmiate quanto più possibile le persone e le abitazioni civili. Con Pienza per il momento non si può comunicare. Chiedo allora all’Arciprete ed al Vicario (vicario generale della diocesi di Chiusi Mons. Serafino Marchetti n.d.r.) di informarlo sollecitamente.
Ore 11,30
Mi si annunzia il comandante del nucleo antiparacadutisti Ten. Rossi. Un bel ragazzo molto amato dai suoi soldati. Lo ricevo subito; noto che è eccitatissimo. Viene per accomiatarsi poiché lascerà Chiusi con il nucleo. Mi comunica che grazie ai buoni rapporti con Raifart è stato concesso, a lui e ai suoi, di partire liberamente con le armi per la sede del loro comando. Mi ringrazia per l’ospitalità e con voce commossa mi dice: “Signor Podestà, parta, parta presto anche lei perché questa è una zona molto pericolosa; da amico glielo dico in segreto”. Comprendo cosa vuol dire e rispondo: “Non posso abbandonare il mio posto dove rimarrò sino all’ultimo nell’interesse della mia popolazione, qualunque cosa avvenga”. Ci salutiamo molto cordialmente, lui ha le lacrime agli occhi. Sono circa le dodici quando mando in cerca dell’interprete Passarella per attingere nuove notizie, ma questi è irreperibile. Intanto alcuni carri armati circolano per la città e si intensificano movimenti di truppe tedesche e di relativo materiale bellico. Vengo a sapere che allo scalo il battaglione italiano è completamente circondato dalle mitragliatrici germaniche.
Alle ore 14 il tenente dei carabinieri mi comunica che il Prefetto gli ha telefonato e quindi appare evidente che questi si interessi alla nostra sorte nel modo da me desiderato. Sono stanco e mi concedo un’ora di riposo. Non mi è stato possibile dormire un attimo; i miei nervi si scuotono ad ogni rumore insolito.
Alle 16 sono nuovamente in ufficio; apprendo che Sua eccellenza il Vescovo si trova in visita pastorale a Sinalunga. Con non poca difficoltà riesco a chiedere una conversazione telefonica con lui. Disimpegno qualche pratica di ordinaria amministrazione ed intanto mando a vedere se il tenente Raifart o il soldato Passerella sono in sede: ho risposta negativa. Dopo avere più volte sollecitata la comunicazione con Sinalunga, alle ore 20 sono ancora in ufficio nell’attesa. Mi affaccio al balcone come per prendere respiro. La piazza è vuota, poi l’Arciprete Mannelli ed il Canonico Ricci l’attraversano. Mi scorgono e salgono pochi istanti per avere notizie e per dirmi qualche parola di conforto. Comprendo che la mia preoccupazione traspare dal volto. Sono le 20 e 19, Sinalunga mi chiama. E’ il segretario del presule al quale, in una comunicazione un po’ interrotta e faticosa, faccio intendere sommariamente la situazione. Risponde che riferirà e mi informerà domani mattina.
Ore 22
Ho fatto la consueta passeggiata per le vie cittadine. Più volte, in lontananza, ho udito il passo pesante delle truppe tedesche. L’aspetto della città appare sempre più tetro”.
Questi i ricordi personali dell’uomo che in quei tragici momenti era a capo del comune di Chiusi.
(1) Il professor Piero Galeotti nacque a Chiusi nel 1889. Frequentò l’Accademia di belle Arti di Siena, da dove uscì giovanissimo. Fu coordinatore del Museo Etrusco di Chiusi. Il Presidente della Repubblica lo aveva insignito della Commenda dell’Ordine della Repubblica. E’ morto a Chiusi l’11 novembre 1975.