Procopio narra, parlando di Chiusi nei suoi scritti, che nell’anno 536, mentre la stessa era in mano alle orde ostrogotiche, Vitige, delle quali era a capo, ordinò che mille soldati fossero inviati a presidiare la città perché il generale bizantino Belisario si stava avvicinando a Chiusi con le sue armate. Tutto ciò dimostra quanto Chiusi fosse importante anche allora, soprattutto dal punto di vista militare. E per avvalorare tutto questo, sappiate che Totila, il re della distruzione, mentre annientava le mura di Spoleto e Assisi, pensò bene di risparmiare quelle di Chiusi.
Una stravagante usanza popolare, in auge nel medioevo, ormai del tutto cessata e della quale pochissimi sanno che anche a Chiusi veniva praticata, era la “Porta del morto”. Per i soliti motivi d’ignoranza e superstizione, in quei tempi non c’era casa, di ricchi o di poveri, che non avesse accanto all’ingresso principale quello per portare via i morti. Era credenza, infatti, che il passaggio di un defunto attraverso la porta in cui transitavano i vivi, avrebbe portato alla famiglia che vi abitava un influsso malefico. Questa porta, in genere, si trovava sulla parte sinistra di quella principale e più elevata rispetto al piano stradale. Una testimonianza di ciò che ce la offre la “Guida di Chiusi” (1910) di Luigi Giometti, dove a pagina 94, sotto il titolo, “Edifizi privati”, (palazzo della Ciaja, via Porsenna) scrive: “… Il palazzetto di pietra è del ’300, ed in esso è notevole un’antica porta alta e stretta detta la porta dei morti”.
Il primo documento che ci parla della Fortezza di Chiusi porta la data dell’anno 1085. Apparteneva in quel periodo al conte Bulgaro, della famiglia dei conti Farolfi.
Montevenere, la piccola frazione di Chiusi, è ricordata nel “Privilegio” concesso nel 1191 da Celestino III al vescovo di Chiusi. Il suo nome ci conferma il culto degli antichi chiusini per la Dea di Cnido.
Chiusi già dal 1240 effettuava lo sposalizio delle acque delle Chiane. Proprio come Venezia faceva con il mare. Questa data però è da prendere con cautela perché, purtroppo, non esistono riscontri nell’archivio storico comunale, essendo mancanti i libri riferiti a quel periodo. E’ certo, invece, che lo facesse nel 1430, dove il giorno 13 aprile troviamo la prima descrizione di ciò che avveniva. Di sicuro, tutto questo, non si realizzava per mezzo del “Bucintoro”, la famosissima nave dei Dogi veneziani, ma con l’aiuto di una semplicissima barca. La domenica in Albis, il Sindico generale del comune, insieme al Tubicine ed ai Priori, si recava sulle acque del lago per sposare le Chiane con un anello d’argento dorato. Prima verso i confini con Montepulciano, poi verso quelli con Città della Pieve. Tale rito simbolico aveva lo scopo di riaffermare ogni anno i diritti di Chiusi su quelle acque.
Chiusi, nel 1379, fu venduta per 20.000 fiorini d’oro. L’imperatore Carlo IV di Boemia, nel 1373, donò a Guglielmo di Beaufort, visconte di Turenna detto anche il Villata, la città di Chiusi e tutti i castelli, ville, terre e paesi che facevano parte della diocesi chiusina. Alcune fonti ci riferiscono che dopo qualche anno, esattamente nel 1379, il visconte lasciò la città di Chiusi in piena libertà, poiché i patrizi chiusini la riscattarono pagando a lui 20.000 fiorini d’oro. Altre che furono i senesi ad acquistarla per 40.000 scudi. Purtroppo in nessuno dei due casi abbiamo riscontri in documenti ufficiali. La notizia più attendibile però, sembra proprio essere quella che sia stato Cione di Sandro Salimbeni ad impossessarsene, versando al Villata i 20.000 fiorini richiesti. Tutto ciò sarebbe più verosimile, perché il Salimbeni di soldi ne aveva certamente tanti e poi, a supporto di tale ipotesi, ci viene in aiuto un libro della antica “Lira chiusina”, dove ad un certo punto si legge: “de mandato Domini nostri Cioni, anno 1381”. (in italiano: dall’ordine di nostro signore Cione).
L’abbazia cistercense ha sempre una “porta dei morti”: è quella che porta al cimitero del monastero. Ed è sempre nella stessa posizione (tutte le abbazie benedettine hanno lo stesso disegno organizzativo).
Nella situazione cittadina, la Porta dei morti – generalmente murata – è quella che consentiva (e si apriva) solo (per) l’uscita. Lo scalino serviva per far inciampare il morto che fosse ritornato. E’ noto il potere di attrazione del morto (cfr Lévy-Bruhl, Ph. Ariés, Fuchs ed altri), che, invidioso, cerca di trascinare con sé i vivi.
Il tentativo di esorcizzare la morte lo ritroviamo in un “rito di passaggio” africano: si legano insieme faccia a faccia il ragazzo e un cadavere; entrambi vengono calati in una fossa dove rimarranno per tre giorni e tre notti. Al termine di questa iniziazione il giovane potrà essere annoverato tra i possibili sciamani.