Sui temi discussi nell’assemblea organizzata da Abc vorrei proporre alcune riflessioni.
Sono d’accordo all’idea che lo sviluppo non può crescere all’infinito e che dobbiamo trovare nuove modalità di vita.
La tecnologia come strumento è una delle risposte. In quest’ottica la paura del cemento e del mattone è mal posta. Più che la quantità di mc. è importante stabile i materiali di costruzione sostituendo il cemento con materiali bio.
Le case di paglia anti sismiche offrono un buon esempio perché se abbandonate dall’uomo esse deperisco e scompaiono. Quindi bisogna offrire opportunità e scelte a chi vuole vivere nel nostro territorio e anche a chi non vuole più vivere a Chiusi Scalo. Tetti verdi, pareti verdi permettono di mimetizzare le case in armonia con il territorio.
Quando si parla di case e capannoni vuoti certamente in alcuni casi l’Amministrazione può favorire la loro occupazione ma vi sono anche molte situazioni ingessate da cause giuridiche lunghissime in cui i regolamenti comunali non potranno minimamente incidere.
Sono rimasto molto positivamente sorpreso per l’interesse emerso sull’agricoltura (io sono un agricoltore). Per me è prematuro parlare di terreni divorati dall’agricoltura quando l’agricoltura sta lentamente svanendo dal nostro territorio a causa di una crisi che colpisce il settore da almeno due decenni. Il numero di addetti nel settore è in costante declino e con sempre meno giovani.
Se c’è questo interesse a mantenere viva l’agricoltura allora prima bisogna creare le condizioni per mantenere la sua presenza. La forte regolamentazione dei terreni agricoli è una delle cause della sua agonia. La Provincia di Firenze per mantenere il paesaggio aveva introdotto regole strettissime su i terreni agricoli e in particolare sugli oliveti. Nel censimento, dieci anni dopo, si è accorta che mancava il 30% degli oliveti. Dopo un analisi hanno verificato che non era avvenuta nessuna violazione delle norme introdotte ma che semplicemente gli oliveti erano stati abbandonati ed erano di conseguenza morti perché il non potere creare nuovi accessi, allargare i terrazzamenti aveva reso impossibile economicamente coltivarli.
I terreni agricoli possono essere una fonte importante di risanamento ambientale diventando produttrici di energia rinnovabile con il fotovoltaico e fornire un reddito alternativo agli agricoltori. La legge stabilisce che non più del 10% della superficie aziendale possa esservi destinato e sono poche le zone adatte a questi impianti. Eppure, in molti si oppongono, ad esempio, sostenendo che prima di tutto si devono ricoprire i tetti. Ma intanto, come fa l’agricoltore a sopravvivere? Intanto a Chiusi non si possono toccare i tetti del centro storico nè dei casali nè di fatto si possono istallare a Chiusi Stazione (vedi regolamento sul fotovoltaico) e non tutti i proprietari di capannoni, possono, o vogliono installarli.
Oggi Chiusi quasi non contribuisce alla produzione di energia rinnovabile al fine di conservare la bellezza del suo territorio!
Mi piace invece pensare a una Chiusi che fa qualcosa di sostanziale e concreto nella produzione di energia rinnovabile e di conseguenza nell’ambiente.
XTomassoni. Parlare di sinistra a Chiusi, ultimamente è un po’ complicato.
Quanto al modello francese credo semplicemente che se ne ignori l’esistenza (così come di quello inglese).
Autarchicamente si va sul sicuro: si va avanti guardando indietro. O, come dice lo Storelli, si avanza come si vanga.
Sarà perché la sinistra italiana ha sposato il modello francese? 😉
Nessuno, credo, è così presuntuoso da avere la soluzione giusta.
Quello che vorrei far notare è che la discussione che si è sviluppata su questo articolo dovrebbe far parte a pieno titolo dei ragionamenti che come collettività stiamo sviluppando intorno al Piano strutturale.
Invece la sensazione è che seppur ci siano persone interessate ad argomentare e a proporre soluzioni chi è chiamato a decidere fa di tutto per non misurarsi con con quello che dalla società può scaturire.
@ Carlo. Per “sentito dire”, so che il modello inglese vede una partecipazione molto piú aperta alle “scelte di Piano” (e non solo). É in questo che vedi migliore il modello inglese? Perché se cosí fosse sappi che é uno dei motivi fondanti di buona parte degli articoli di questo blog.
@ Bruno. Non credo che alla fine verrà intrapresa la strada della crescita zero, anche per alcuni dei punti sollevati da Carlo. Ma personalmente ritengo utile che i volumi di urbanizzazione previsti dall’attuale piano vengano ridimensionati.
credo che sia importante vivere a stretto contatto con la natura x apprezzarla e quindi amarla e difenderla, ma x fare ciò possiamo fare a meno di trasferircisi permanentemente, basta viverla con passeggiate, pesca, caccia e qualsiasi altra attività all’aria aperta, che ci darebbe anzi la possiblità di vivere una natura “vera”.
Comunque rimane il problema di rendere idonee alle nuove esigenze le case dei centri storici. Io stesso, pur essendo contrario ad una urbanizzazione esagerata, non nego che sto x trasferirmi in una casa di nuova costruzione, con garage, posto macchina e altre comodità che non potevo avere abitando in centro.
Carissimo Tommy, io credo che il bene pubblico abbia diverse anime e questo blog dimostra che all’interno di un sentire comune ci siano diverse priorità. Ad esempio il paesaggio prima dell’ambiente, il suolo prima delle energie rinnovabili oppure l’occupazione davanti all’ambiente. Ritengo che l’impostazione giuridica inglese gestisca in maniera più equa le dinamiche e le spinte tra cittadino e Stato e il rapporto tra bene pubblico e quello privato.
A volte bisogna fare delle scelte dando priorità a valori comuni, favorendo uno a scapito dell’altro. Quello che trovo importante per Chiusi è introdurre politiche che gestiscano il cambiamento e non la sua cristallizzazione. L’esempio dell’oliveto nella provincia di Firenze offre una riflessione per le scelte da effettuare tra preservazione e cambiamento.
Se è un valore dare la possibilità ai Chiusini che sono andati a vivere in zone limitrofe di tornare allora dobbiamo offrirgli non solo abitazione sfitte ma anche abitazioni che incontrino i loro bisogni.
Carlo (Accame), estrinseca, criptico che non sei altro!
Il commento tuo lo trovo alquanto interessante, anche perché il bene pubblico è spesso appannaggio di pochi (neppure eletti), quindi il modello francese (e quello italiano) spesso vede il cittadino soccombere di fronte ad un interesse di stato che è poco condiviso.
Ma allora che vorresti dire? Che il popolo della regina può mettere i pannelli fotovoltaici ed è lo stato ad avere l’onere della prova che deturpano il paesaggio?
Caro Prof. Scattoni relativamente alla soprintendenza, il diniego mi è stato dato in forma orale durante l’ultima delle tre ispezioni mentre la motivazione scritta -redatta in lingua Italiana- ha una motivazione oscura.
Le regole sull’edificabilità del territorio devono esistere ma penso possano fornire una flessibilità/ libertà al cittadino. Se esso vuole scegliere di vivere fuori dai centri urbani si deve prendere tutti gli oneri di sostenibilità energetica, paesaggistica e ambientale (materiale usato). Credo che porre l’individuo a stretto contatto con la natura sia un mezzo per legarlo a essa.
Sulle energie rinnovabili sui tetti credo che ci sia un consenso ma l’attuale regolamentazione municipale e provinciale non lo permette nella pratica. I costi non sono un grande ostacolo in quanto le banche tendono a finanziare grande parte e i prezzi reali sono scesi della metà rispetto al 2004. Gli impianti a terra non generano un pericolo per l’agricoltura anzi offrono l’opportunità di unire un sostegno all’agricoltore con quello all’ambiente ed essendo questi impianti facilmente smantellabili a fine ciclo non costituiscono un danno per il territorio. Credo invece che per molti sia una questione paesaggistica/ estetica che li rende contrari. Di certo non si può parlare di danno all’agricoltura che abbandona di anno in anno la coltivazione del terreno perché non producono profitto.
Nel blog i vari elementi che compongono una questione si scompongono nelle sue varie parti e rendono affascinante e complessa la sua discussione. Al mio omonimo rispondo sulla involuzione delle regole avvenuta per l’intersecarsi di vari elementi: il basso senso civico del cittadino che spinge lo Stato a proteggersi dalla loro “furbizia” generando un ciclo perverso, la scelta e l’elezione di politici “incompetenti” che non conoscendo la materia di cui trattano approvano leggi scritte da burocrati, la tradizione di abrogare solo alcuni articoli di legge invece che riscrivere interamente il testo rende la comprensione e la conoscenza delle regole molto difficile.
Sul bene pubblico vi sono diverse visioni, la scuola giurisprudenziale francese parla di supremazia del bene pubblico su quello privato ma quale è il bene pubblico? All’interno di questo blog vi sono diverse priorità di bene pubblico, l’occupazione, l’ambiente, il suolo il paesaggio. Spesso il bene pubblico non riesce a rappresentare tutte le sue nature, per questo la scuola inglese propone un rapporto paritario tra cittadino e Stato.
Concordo con Daria. Il post di Carlo Accame trattava due diversi temi: le regole oper la edificazione in campagna e quelle per l’stallazione di pannelli fotovoltaici. Questo secondo argomento è più semplice. Ci sono regole che scoraggioano (secondo me giustamente) la istallazione di pannelli a terra ci sono altre regole che riguardano il paesaggio. La istallazione di pannelli sui tetti di casali di pregio può essere una giustificazione per negare l’autorizzazione, a me pare invece che l’istallazione sui tetti degli annessi come le grandi stalle fienili etc. può essere autorizzata specialmente dove, e mi pare questo il caso di Accame, i pannelli non sono visibili.
Sulla necessità di mantenere il suolo agricolo mi pare chye si9amo invece tutti d’accordo.
Come spesso succede nel blog, la discussione si allontana dal tema originale e, si fatica a starle dietro.
Segno forse che l’adozione del piano meritava un confronto più ampio e profondo.
Mi preme ribadire che una delle preoccupazioni lanciate da chi si oppone al piano, così concepito, riguarda l’uso che se ne farà degli edifici vuoti e la non giustificata richiesta(almeno dagli studi prodotti) di nuove abitazioni.
Riguardo alle energie rinnovabili, più volte l’argomento è stato affrontato anche qui nel blog, concordando sulla necessità di andare in quella direzione. Purtroppo oltre ai regolamenti ferraginosi, vi è, a mio avviso, anche un problema di costi, che in questo momento non è facile sostenere.
Questa dell’elicottero ha dell’incredibile. In un precedente commento ho invitato Carlo Accame a fornire il testo della motivazione perché sarebbe un bel caso di studio. Se è come c’è stato descritto può essere fatto ricorso e vincerlo a mani basse.
Siamo dunque d’accordo che le regole debbano esistere e non si possono realizzare “case a casaccio”. Bene allora dobbiamo individuare i criteri. Quello della compatezza dell’edificato è secondo me importante per una molteplicità di motivi a cui ho già accennato.
L’analogia con le energie fossili non regge. Mentre per quelle in teoria ci può essere l’alternativa delle rinnovabili, il consumo di territorio purtroppo non ha alternative.
Il problema della quantità eccessiva e farraginosa di leggi non è secondo me dovuto al normale contraddittorio tra le parti sociali, ma al fatto che i nostri amministratori preferiscono di gran lunga metter toppe a situazioni particolari, piuttosto che produrre testi unici su vari settori: è più rapido e spesso permette di nascondere il senso della legge ai più…
Ma tornando alla faccenda ambiente/paesaggio/energia, forse è meglio ripiegare su un generatore eolico: l’elicottere se ne tiene alla larga, da quelli!
E’ verissimo tutto quello che dice Dr.Accame,che è la quantità di regole che ha di fatto materializzato il decadimento dei suoli, delle campagne e delle loro amministrazioni. Non fà una grinza,ma qual’è stato il motivo di tutto cio? Non è un motivo solo chiaramente,ma la complessità della legislazione distribuita fra stato,regioni, provincie, comuni non è mica nata casualmente da un giorno all’altro? Credo di poter dire andando a ritroso nel tempo,che forse anche un poco c’entra la storia economica di come sono state amministrate le proprietà fondiarie ed i vincoli che imponevano a chi vi lavorava.E’ dai primi del 900 che si sono fatte battaglie incredibili per migliorare i rapporti fra proprietà e lavoro.Non le stò qui a ricordare” l’apoca colonica” oppure altro, lo sa Lei meglio di me.Se poi lo sviluppo ha variato la rotta e l’Italia è diventata una potenza industriale la gente evidentemente è stata attratta dall’industria con l’emigrazione a milioni.E’ storia passata,mentre storia ”presente” purtroppo è la società post-indstriale,il decadimento dei cespiti in ogni loro dimensione e natura,ma anche il ricambio generazionale ha generato la discrasia.E’ la NATURA DELLO SVILUPPO che ha permesso quello che Lei giustamente oggi nota(leggi, leggine, disposizioni,ed altro, cosa che non hanno altre nazioni in tale quantità e ferruginosità ben’inteso).L’arretratezza del latifondo in italia nel suo sviluppo storico ha anche pesato su quanto Lei dice o no ?Come si è dovuto difendere il ”pubblico”cercando di far rispettare la proprietà privata ma cercando di arginare spesso la protervia di molti?Dico una fregnaccia ?Mi sembrerebbe di no,almeno in parte….e se lei ci pensa un momento c’entra anche questo,eccome se c’entra….lo sò che di questo passo si arriva alla ”politica” ma è inevitabile….p.s.: nel mio intervento non ho mai fatto cenno alla ”rendita”.
Caro Dr. Sacco le regole sono essenziali, il problema è il loro numero, la loro pervasività, la loro inefficacia, la difficoltà nelle loro attuazioni e i lunghissimi tempi di attesa nel fornire risposte. Sabatino Cassese ha calcolato nel 1993 l’esistenza di circa 100.000 leggi primarie nella Repubblica Italiana, poco dopo F. Bassanini ne ha contato circa 50.000 leggi nazionali. In Germania ci sono in vigore circa 9.000 leggi federali. Il problema non sono le regole ma il loro numero, la confusione normativa che producono, la difficoltà nell’attuare norme spesso in contraddizione tra loro. I soggetti che le producono sono comunitarie, nazionali, regionali, provinciali, comunali, l’Autorità dell’Arno, la USL e poi i diversi organi controllori.
Cita la rendita fondiaria, io ritengo che sia un termine desueto nell’Italia perché l’agricoltura produce da due decenni profitti marginali. Alcuni indicatori: il numero di addetti in costante declino (siamo circa il 3% della popolazione lavorativa), l’assenza quasi assoluta di giovani, il costante aumento del costo dei fattori alla produzione (concime, gasolio, sementi, ecc.) in contrasto con il declino del prezzo delle derrate alimentari. Un indice ancora più forte è dato dalle banche che non prendono più a garanzia di mutui i terreni agricoli perché quando sono stati messi in vendita non hanno trovato compratori e sono rimasti alle banche. Il MPS oggi possiede molte migliaia di ettari di agricoltori che non sono riusciti più a vivere del loro lavoro.
Caro Prof. Scattoni, ritengo che il mercato sia un utile strumento che regola dinamiche in continuo cambiamento e debba agire in un contesto di regole chiare e condivise. Citare la “mano invisibile” tende a polarizzare e ha oscurare la sostanza. Ha citato il drammatico caso della foresta Amazzonica in cui il mercato selvaggio ha il sopravvento sulle regole. Inoltre i paesi con tassi di sviluppo più elevati ne richiedono la salvaguardia senza però volere dare niente in contraccambio (il Brasile ha richiesto o contributi diretti o agevolazione sui dazi o forme di compenso all’interno dell’accordo di Kyoto) cioè vogliono benefici senza obblighi.
Per me il suo è un ottimo esempio in cui il mercato da solo non può ne riesce ad auto regolarsi. Per essere funzionale alla collettività deve essere utilizzato appunto dentro regole. Ad es. è solo grazie alla esistenza di un mercato che l’Italia si è trovata forzata ad agire sul suo enorme debito pubblico.
Riguardo la scarsità di territorio, io non la sento come una priorità vivendo in una delle provincie meno densamente popolate della Repubblica mentre sento urgente dare una risposta all’inquinamento ambientale generato dall’energia e dell’uso delle intensivo delle acque. Mi piacerebbe vivere in una città che contribuisce concretamente alla produzione di energie rinnovabili visto che le energie da fossili stanno distruggendo oggi il nostro pianeta.
Ad oggi di fatto non si può istallare fotovoltaico nè produrre bio energia per tutelare il paesaggio. Due beni pubblici preziosi ed essenziali dove a Chiusi il primo è stato soppresso a favore del secondo.
Fosse “solo” la rendita! Purtroppo le cronache di questi giorni ci raccontano un’altra storia. Ci sono capitali che cercano “casa” senza neppure badare alle leggi di mercato.
le quantità fuori da qualsiasi giustifiucazione razionale significa aumentare di molto il rischio di investimenti che “lavano” capitali di ambienti non certo raccomandabili.
Invocare la “mano invisibile” del mercato è nella più benevola delle ipotesi segno di grande ingenuità.
@Romano(Romanini)”..e poi c’è la rendita fondiaria…”, che parafrasando l’Alighieri “move il sole e l’altre stelle”. :-)))
Al Dr.Accame vorrei chiedere -senza chiaramente scendere nell’estremizzazione di un fatto come quello dei gatti e di altre innumerevoli cervellotiche disposizioni di legge che è vero che esistono ma poi neanche tanto in maniera massiccia (altri paesi -per esempio l’Inghilterra- ne hanno di peggiori)- come si spiega che in Italia in genere la proprietà fondiaria vive i vincoli a cui è sottoposta per legge, in maniera molto costrittiva e mal sopporta molte disposizioni in materia paesaggistica considerandole restrittive della propria libertà effettiva e decisionale? Questo in altri paesi anche dove esiste il liberismo più sfrenato tipo gli Stati Uniti od altri, tale atteggiamento o non esiste o è molto mitigato soprattutto per quanto riguarda il rispetto delle disposizioni paesaggistiche e non solo.
Diverse tesi di laurea sono state fatte su tale argomento e quasi tutte hanno messo in evidenza un fatto peculiare, tutto Italiano, che detto in parole molto ”trite” recita il principio molto presente nella cultura e nel modo di pensare italiano e quindi di riflesso anche in disposizioni di legge che sanciscono la consuetudine dell’interpretazione comune del principio secondo cui ”in casa mia la mortadella me la affetto come mi pare” e da tutto questo ne deriva che nessuno possa darmi dei limiti che possano inficiare la mia ricerca di possibilità di profitto poichè diversamente si incide la mia stessa libertà.
I paletti che in genere obbligano a stare dentro certe regole vengono vissuti quasi sempre come pesantemente impositivi. Lo sappiamo tutti: il territorio non si rigenera una volta consumato. Quale interesse ha ragione di scalpitare di più, quello pubblico, quello privato, oppure deve esistere un equilibrio ”forte” che sancisca la non possibilità di prevaricazione dell’interesse pubblico da parte di quello privato?
… poi c’è la rendita fondiaria…
Gentile dottor Accame, evidententemente io e lei diamo un’importanza diversa al fatto che il territorio sia uan risorsa estremamente scarsa. Non è riproducibile ma è allo stesso tempo contenitore di relazioni ambientali complesse la cui possibilità di tutela molto spesso ci sfugge proprio per la scarsa conoscenza di tale complessità. Il mercato è un sistema di scambio che ci siamo volontariamente dati come società, ma che non si applica in maniera universale. Insomma la “mano invisibile” non sempre funziona. In una visione estrema di mercato, le grandi foreste tropicali dovrebbero essere privatizzate e la “mano invisibile” troverebbe il più giusto assetto. Evidentemente non è così e stiamo assistendo alla distruzione della biodiversità che spesso compromette potenialità utili ad esempio nella messa a punto di nuovi farmaci.
Torniamo al nostro piccolo. Come spiega la differenza di qualità fra gli insediamenti di Pozzarelli (sopra l’AGIP) con quelli del nostro centro storico? Come spiega la sua visione liberista questa piccola contraddizione?
Cara Daria certamente il recupero della Fornace deve essere una priorità ma bisogna trovare un accordo con la proprietà che deve investire e non sempre è facile.
E’ vero che ci sono molti appartamenti in vendita e non ci sono molte transazioni credo che questo dipenda dall’attuale congiuntura economica e anche dal fatto che le attuali abitazioni a Chiusi Scalo non rispondono più alle esigenze dell’attuale popolazione. Io credo dobbiamo invogliare gli ex Chiusini a ritornare sul nostro territorio con offerte vicine ai loro diversi bisogni. Certamente risulterà molto più difficile invogliare chi se ne è andato offrendogli le abitazioni che hanno lasciato.
Chiusi Città soffre molto anche della rigidità normative nelle ristrutturazioni che rende molto lento e difficile adeguare gli spazi interni alle nuove esigenze.
Chiusi soffre di una iper-regolamentazione che la rende rigida a qualsiasi cambiamento ad es. un attività commerciale che vuole installare una tenda deve richiedere una DIA con relativo progetto invece di rispettare due regole altezza da terra, lunghezza e eventuale aderenza a una serie di colori; quando Poggiani ha aperto la sua attività ha dovuto aspettare sette mesi per poter cambiare l’insegna perché l’edificio ricade sotto vincolo paesaggistico (il logo FIAT era vincolato), vi è un regolamento sul numero di gatti che un abitante può tenere, ecc. Tutte questa ipertrofica legislazione uccide il paese, fa allontanare gli investimenti e con essa l’occupazione.
Gentile Prof. Scattoni se nel passato le nuove costruzioni sono state molto minori rispetto al terreno edificabile non è questa una buona dimostrazione che il mercato quando “normatizzato” si autoregola sulla base della domanda/offerta?
Io credo che il piano strutturale debba fornire l’opportunità ai suoi cittadini di scegliere dove andare ad abitare in limiti di regole condivise. Il regolamento attuativo deve prevedere e gestire eventuali costi per la collettività e farlo sostenere al cittadino che vuole vivere in aperta campagna.
Il regolamento potrebbe offrire e indirizzare le costruzioni verso modelli energicamente auto-sostenibili incentivando l’uso di materiali bio e disincentivare l’uso del cemento.
Chiusi potrebbe diventare il campione di un nuovo modo di edificare a favore dell’ambiente in maniera sostenibile con costi simili e in qualche caso inferiori a quelli delle case tradizionali.
Credo che il Sig. Accame abbia messo il dito sulla piaga. Credo che il problerma più serio del nostro Paese non sia tanto la classe dirigente che è quella che è, ma l’iter burocratico della giustiza che impedisce, appunto, di concludere un qualsiasi processo. Ciò non toglie che quando si parla del futuro sviluppo di una comunità bisognerebbe pensare a cosa si vuole sviluppare prima di tutto. Il commercio, con i tempi che corrono, non mi sembra una buona idea. Idem per la ‘cementificazione’.
Rimane il turismo. Che tipo è materia di discussione, naturalmente. Chiusi ha tutte le carte in regola per tale sviluppo, fuorchè le infrastrutture necessarie.
Accame, giustamente, sottolinea quanto dovrebbe essere un’ovvietà: l’uso del territorio è legato alla circostanza storica (direi, storicamente determinata ;-))in cui ci si viene a trovare. Sono d’accordo. Direi però che la discriminante assoluta, al di là delle priorità da individuare e su cui ci troveremmo a discutere e/o concordare, sia da individuare nell’uso non irreversibile del territorio.
Credo che questa sia la discriminante forte: se non vale, non può esserci terreno comune di discussione.
Ma di cosa stiamo parlando? Le autorizzazioni per residenze sono state i media di circa 4300 metri cubi all’anno in un periodo di 11 anni. Questa attività così modesta non è dipesa certamente dalla scarsità di suoli edificabili perché ce n’erano e ce ne sono (purtroppo) molti. In questi anni di crisi la domanda sarà socuramente inferiore.
Sulle case vuote e disponibili sarebbe opportuno capire quante sono. Sarà anche che l’affitto non conviene, mi chiedo però il perché di tanti cartelli con case offerte in affitto. perché non contarle? A me pare molto semplice.
Capisco i problemi legati a questioni legali di questo tipo, ma continuo a pensare che in un paese come il nostro non siano la causa principale degli edifici vuoti, anche perchè la maggior parte di queste abitazioni sono in vendita, ma non ci sono compratori. Su questo bisogna interrogarsi e capire perchè.
Negli ultimi anni molti chiusini sono andati a vivere a Po’ Bandino in case condominiali non certamente in villette in collina. Per quanto riguarda la non costruzione di nuovi edifici, non c’è bisogno di stare a Roma o Milano, a me basta stare in Piazza 26 giugno 1944 vista Fornace (da 17 anni per scelta e non per obbligo) per ritenere urgente il recupero dell’esistente.
Questo è un problema che vedo tutti i giorni, ma situazioni così nel paese ve ne sono molte. Se ci fosse stata una vera discussione sul piano strutturale credo che sarebbero meglio emersi i diversi punti di vista, per arrivare ad una proposta più condivisa possibile.
Purtroppo così non è stato.
Cara Daria certamente l’Amministrazione e il piano attuativo dovrebbe incentivare e favorire l’utilizzo dell’esistente. Quello che intendevo riguardo le cause civili è che l’Amministrazione ha un limite nella sua capacità di stimolo data dalle leggi sugli affitti e dal sistema giudiziario. Per chi ha immobili e vuole affittarli solo per alcuni anni, la normativa pone dei forti limiti con affitti di durata di quattro anni o sei o nove. Inoltre la legislazione rende complicato rientrare in possesso di immobili quando l’affittuario non paga.
Un certo numero di edifici sono soggetti a cause infinite che ne impediscono il loro utilizzo. Ad es. un capannone di una cooperativa di Chiusi andata fallita a metà degli anni 80 è rimasto inutilizzato per 25 anni bloccato dalle procedure di fallimento. Quindi non si può sperare di riutilizzare tutti gli edifici ma solo una loro parziale percentuale. Lavorare sui valori comuni è qualcosa su cui sono completamente d’accordo. La sfida è individuarli con una gerarchia. Ad esempio io credo nel mantenimento del paesaggio, nel valore dell’estetica e della sostenibilità ambientale ma anche della modifica del territorio per rispondere ai cambiamenti sociali e economici.
La non costruzione di nuovi edifici è bassa nella mia scala di valori ma diverrebbe alta se vivessi a Roma o a Milano. A Chiusi non la percepisco come il maggiore dei problemi.
C’è qualcuno, per favore, che mi potrebbe illuminare su cosa si intende per ‘espansione’? Di che tipo di espansione si tratta? Di una crescita importante delle nascite? Di arrivi di un considerevole numero di persone? C’è qualcuno che sa il futuro?
Gentile dott. Accame, fa piacere sapere che possiamo ancora contare su operatori agricoli come lei che hanno a cuore la tutela delpaesaggio. C’è da dire, però, che paesaggio non è “panorama”. Le case nel mondo si fanno in tanti modi: di mattoni, di pietra, di terra, di paglia e anche di cartone. Non è questo il punto, soprattutto se il paesaggio deve essere trattato, come la regione Toscana richiede, a mio avviso giustamente, all’interno dei piani urbanistici. Il problema allora è se sia giusto “sparpagliare” case a casaccio in campagna (gli urbanisti utilizzano proprio il termine inglese sprawl) oppure preferire nel caso trasformazioni “compatte”. La citazione scherzosa sullo scuolabus e le automobili stava a significare che uno sviluppo “sparso” comporta costi per i servizi e per l’ambiente che tutta la comunità locale deve supportare.
Per quano riguarda i pannelli solari trovo sacrosanta la scelta di nonautoriuzzarne più a terra. Sulla motivazione di diniego dell’istallazione di pannelli solari su un annesso perché si vedrebbe dall’elicottero, me la mandi perché scritta così rappresenta davvero un interessante caso di studio!
Gentile Prof. Scattoni nei venti anni in cui ho interagito con l’Amministrazione Pubblica da agricoltore la preoccupazione costante è stato la tutela del paesaggio e la sua preservazione sopra tutto questo è stato il valore di riferimento con cui sono state bocciate o approvate richieste di intervento su immobili. Io ne sento in particolare tre, l’armonia delle costruzioni nel paesaggio (case che si legano con il verde circostante), l’estetica e la sostenibilità ambientale. Nel 2002 ho ristrutturato un casale per farne un agriturismo con l’intenzione di farne un attività a emissione zero. La Sovrintendenza ha bocciato i pannelli sui capannoni sostenendo che si potevano vedere dall’elicottero. Non le nascondo che mi piacerebbe vedere scuola bus di legno, la sua è un ottima idea. Infatti alla fine del loro ciclo di vita i bus sarebbero facilmente riciclabili!
X Tomassoni:Credo che come in tutte le cose a tutto vi sia un limite.Ritengo che un ambiente naturale sia identificato come tale perchè in tal modo è stato creato ed in tal modo generazioni passate lo abbiano vissuto e lo abbiano tramandato a noi.L’applicazione della moderna tecnologia produttiva delle strutture o degli insediamenti che grazie alla tecnologia stessa possano essere resi REVERSIBILI come dici tu,contrasta comunque con l’ essenza della natura.Non può essere tutto piegato al profitto fino ad estremizzare l’uso della moderna tecnologia su di un ambiente naturale.Sarà un concetto estremizzato il mio,ma provate a pensare se vi possa disturbare oppure no una bella casa con le mura d’erba finta oppure di mattoni smontabili in 24 ore posta davanti uno spettacolo come il territorio del Chianti o davanti al Gran Canyon del Colorado.In 24 ore spariscono tutte e due se iniziamo a smontarle,ma culturalmente” a cosa serve ?
L’uomo ha anche bisogno vitale della fruizione degli spazi,non solo per l’uso della vita produttiva ma anche visivamente ,perchè se ci si pensa bene è la stessa cosa.Ed è proprio quest’ ultima che in questi anni cominciamo a vedere che manca sempre di più.E’ come dici tu Tomassoni:costruire un capannone in un campo di grano è facile e si fa presto.Il problema è l’inverso una volta costruito il capannone, senza contare che il tutto si esegue in un momento in cui una cosa si fà se genera profitto immediato o nelle strette vicinanze di tempo.
Però l’esempio fiorentino offre secondo me un bell’esempio di come l’ansia da preservazione possa di fatto sortire l’effetto opposto.
Quello che voglio dire é che, in un modo o nell’altro, il territorio va usato. L’importante forse é che qualsiasi uso che se ne fa sia reversibile (in tempi rapidi).
Un campo di grano può facilmente essere “convertito” in un capannone, ma il contrario é tutt’altro che facile. Andrebbero forse incentivate le tecnologie reversubili, anziché limitare gli usi possibili del territorio?
Quella di Accame è davvero una ben strana concezione urbanistica. Si può costruire in campagna purché si colorino le case di verde oppure costruite con materiali biologici. Perché non gli scuolabus di legno con i bambini che pedalano e le automobili a vela? L’impatto sul paesaggio è soltanto uno degli aspetti.
Penso che la cosa principale che un’amministrazione può fare per favorire il recupero e l’occupazione degli edifici non utilizzati sia quella di non prevedere nuove zone di espansione. Il nuovo probabilmente ha costi minori ma il territorio cementificato non si riproduce. Per quanto riguarda le cause giuridiche ingessate non capisco quale attinenza abbiano con le case e i capannoni vuoti. Gli argomenti affrontati nell’iniziativa di ieri sera credo che abbiano bisogno del confronto più ampio possibile per trovare soluzioni dove la salvaguardia del bene comune prevalga sugli interessi meramente personali.