Chiusi sta vivendo una difficile e complicata fase della sua storia. Ai vecchi problemi si vanno sommando con straordinaria velocità quelli di una crisi ogni giorno più pesante. Le certezze e i solidi punti di riferimento evaporano e il futuro appare ai più un’incognita che fa paura.
E’ possibile in questa situazione munirci di una bussola che ci permetta di uscire dalla palude in cui siamo finiti? Secondo me si, ma…
Perchè ci sono molti ma da spazzare via.
Negli ultimi giorni un calendario fitto di appuntamenti e di momenti di confronto (bilancio comunale, iniziativa della fraternità Renè Hagen, manifestazione promossa da Abc, Consiglio comunale, assemblea sulle osservazioni al Piano strutturale) si è chiuso con un bilancio assai problematico.
I “temi pesanti” cominciano a farsi largo e il comune sentire non pare più così impermeabile come in passato, ed è certamente un fatto positivo. Ma ancora non si intravedono spirito e voglia di rinascita. Cos’è che manca?
Per come la vedo io, facciamo troppa fatica a liberarci di schemi che potevano andar bene nel passato ma che oggi non ci sono più di alcun aiuto, anzi ci fanno perdere tempo e allontanano la soluzione dei problemi.
E’ ora che il senso di responsabilità diventi la stella polare anche nell’agire pubblico. Così oggi, purtroppo non è, e lo si vede da tanti piccoli e grandi gesti. Non credo si possano confondere interessi e modi di sentire diversi ma trovare la maniera di discuterne alla luce del sole è ormai un imperativo. Il nascondersi dietro sigle vuote o continuare a brigare nell’ombra non è più tollerabile. Che ognuno dica apertamente quello che pensa è il primo e indispensabile passo per arrivare a guardarci in faccia e riscoprire la dignità anche in ciò che non sentiamo appartenere all’universo che ci siamo costruti.
Per una comunità che si parla francamente è più facile trovare le soluzioni migliori. Senza superare questo difficile scoglio non penso che andremo lontano. E anche le migliori intenzioni continueranno a lasciare spazio alle recriminazioni e ai “cattivi pensieri”.
Insomma penso che dovremo riscrivere le regole dello stare insieme non per omologarci ad un unico pensiero ma perchè le diverse opinioni, i diversi interessi da occasione di arroccamento diventino davvero una risorsa per la città.
Le cose che abbiamo appreso servono a poco se non sono accompagnate da un forte senso etico e un forte principio di responsabilità nell’agire collettivo.
Chiudo con una citazione da un articolo di Massimo Fini (un autore che viene da una storia assai diversa dalla mia) apparso ieri su Il fatto quotidiano:
“La conoscenza è cumulativa, il senso etico no. Io ne so sicuramente più di mio padre e di mio nonno, ma non sono necessariamente migliore, dal punto di vista etico, di mio padre o di mio nonno”.
Due note, dato lo spazio esiguo. Intanto, se democrazia, lungi dal semplice “partecipare”, è piuttosto capacità di farsi valere per le parti in gioco, possiamo amaramente segnalare che in Italia abbiamo solo l’opzione della suddistanza o del ribellismo: un’etica pubblica (intesa come società che salvaguarda se stessa mediante pratiche di vita e non vuote enunciazioni di principio), da noi, non esiste.
Questo conduce all’esito drammatico del “familismo”: in assenza dello Stato a far da stato ha provveduto la famiglia o, meglio, i rapporti di prossimità. Questo ha generato una serie di comportamenti volti al proprio “particulare” come avrebbe detto Guicciardini, cioè al vantaggio personale derivante dal proprio agire (di qui, la pratica diffusa del “trasformismo”). In questo quadro ognuno provvede ai suoi affari, mentre i partiti, lungi dall’amministrare gli interessi collettivi, tendono ad occupare lo Stato e ne impiegano le risorse per organizzare consenso. Anche oggi, nella nostra situazione. Questo spiega il comportamento degli italiani: nello stato cercano un protettore o vedono un nemico. E’ possibile uscire da questa situazione? Non lo so; credo che ragionarci intorno sia un cercare il modo per sanare alcune storture.
Secondo me si fraintende il Ruolo con chi lo interpreta, o meglio, dice di interpretarlo. Non c’è bisogno del Partito vecchia maniera o della sua deriva attuale. Se è un problema terminologico – e non si vuole usare quella parola – lo si può chiamare Nucleo operativo, Mission Impossible oppure anche Ugo o Mariella (danno meno nell’occhio).
L’importante che Ugo possa dire ai cittadini: noi la vediamo così e vogliamo fare questo e quello e mai quell’altro. Sembra una cosa facile e anche banale ma SEL per esempio – a cui mi ero avvicinato – diceva una cosa ma poi ne faceva altre ed è chiaro che così si rischia che il cittadino si stanchi e non ne voglia più sapere. Così come se si insiste troppo con i “ma anche” veltroniani, si cade nelle’ecumenismo perchè si vuole avere il più vasto consenso possibile annacquando la visione e i valori corrispondenti. Procedere per Comitati “tutti dentro” non è la soluzione se non in casi circoscritti. Aspettare il ritorno del vecchio Partito rischia di avere tempi lunghi. A Chiusi vedo invece il perdurare di un consociativismo ambientale pericolosissimo. Mi posso sbagliare ma certo l’Immobilismo da qualche parte dovrà pure alimentarsi.
XMiccichè. Sicuramente la mancanza di un “contenitore politico” di idee forti e valori è un grosso limite, ma non mi pare che guardando oltre i confini del nostro comune il panorama sia più confortante.
In attesa di in “partito” convincente che si fa?
Quello che possiamo fare qui e ora, secondo me, è far crescere il senso di responsabilità, la partecipazione e sperimentare forme di democrazia (come sta avvenendo da altre parti).
Lo scopo della politica deve essere quello di farci vivere meglio ma abbiamo visto che i partiti (non quelli di ora, ma anche nella migliore accezione del termine) non bastano se non c’è una consapevole e generalizzata attenzione alla cosa pubblica.
Ammesso che si creino le condizioni per una Cittadinanza attiva, al di là di qualche tema specifico e locale – per intendersi “da Comitato” – se manca il “volano” di chi inscrive il tutto in una visione complessiva (con valori forti) e in un’azione politica che modifichi la realtà, tutto questo è comunque destinato a disperdersi. Il singolo cittadino deve sapere per quale progetto porta in contributo la sua personale cariola di mattoncini. A Chiusi, al momento, non c’è nessun soggetto politico che sia fortemente identificabile e di cui si capisca la strategia complessiva. Questo, a mio parere, è un vulnus capitale.
L’esempio dello stadio che cita Donatelli è molto calzante.
L’opera più imponente realizzata a Chiusi da decenni e che impegna il comune per una cifra consistente e per tanti anni è stata un’idea che non ha visto la necessaria discussione.
Non solo ma la disinformazione si è scatenata e molti mi hanno tranquillamente fatto presente che il costo era di appena un milione e che l’avrebbe pagato la Fondazione.
Ora che quello che sembrava un regalo si è invece dimostrata una cambiale chi bisogna ringraziare? Certamente l’amministrazione precedente ma anche tutti quei cittadini che si son guardati bene dal far sapere come la pensavano su quell’opera faraonica.
Per la pensilona vale lo stesso discorso. Su Bioecologia idem.
Vogliamo continuare cosi?
Etica? Buon senso? Senso comune? Mi sembra di ricordare che una volta esistevano oggi non più, o per meglio dire non più nel nostro Paese. Altrie nazioni hanno ministri che si dimettono perchè inguaiati da qualche scandalo, e via dicendo. Da noi vengono, oserei dire, ‘osannati’. In questo clima credo che si possa far ben poco. Però Chiusi è una piccola realtà del nostro Paese. Credo che nel piccolo si possano riportare etica, buon senso e senso comune, basterebbe che i cittadini se ne rendessero conto e agissero di conseguenza, tralasciando la ormai defunta Politica e guardando soltanto a ciò che viene o non viene fatto. Vi sembra una cosa di buon senso la costruzione del famigerato Stadio? Se si, chiudiamo baracca e burrattini e non se ne parla più. Se no, fatevi sentire. Ho preso l’esempio dello Stadio semplicemente perchè credo sia quello più eclatante.
Un altra cosa,magari di secondaria importanza e per inciso al tema del dibattito svoltosi l’altra sera alla saletta, ma comunque indicativo quando si parla di ”crisi morale”. L’intervento breve di Donatelli è stato ”stoppato” dall’intervento di un ascoltatore presente poichè forse appariva generico e non in tema a quanto si andava a discutere.Invece io ritengo che fosse stato molto pertinente e che avesse fornito le ragioni del perchè la gente reagisce in tal modo(come Donatelli diceva), facendo ben vedere da cosa è provocata la ”crisi morale”.
E’ il fatto che oggi non siamo molto disponibili ad andare alla ricerca delle cause e ci basiamo solo sull’immediato od al superficiale che affiora.Questa si che è una patologia della società, che riesce a consumare anche le impostazioni che tendono a far vedere da dove derivano le cose.Forse Donatelli ha una difficoltà di linguaggio dovuta alla sua lunga permanenza in Inghilterra ma si capiva bene cosa voleva dire e quale fosse il contenuto al quale voleva approdare e tale contenuto è da me totalmente condiviso.Invece è il culturame che fa formare nelle menti il modo di produzione delle idee, che riescono a non essere più nemmeno idee la causa principalmente che si ritiene che sia meglio e più produttivo non ascoltare (infatti la politica non ascolta più) ma fare.
Ed infatti oggi c’è il decadimento di questa politica.Non potrebbe che essere diversamente da così.La gente dovrà fare i conti con la decrescita anche se tutto intorno parla di finalizzazione alla crescita con il modello che ci sta portando alla rovina.
D’accordo. Ma se ieri era sufficiente l’appartenenza per designare collocazione e idee, da molto tempo non è più così.
E allora il cittadino non può limitarsi al voto o a scagliare invettive contro la casta. Dovrà prendersi le sue responsabilità e dire chiaramente cosa vuole e con chi sta. Questo a Chiusi non avviene o almeno in minima parte.
Da tempo Miccichè ha colto nel segno parlando di aggregazioni tribali. E’ la casata o l’associazione che detrmina la nuova appartenenza ma queste aggregazioni come incidono nell’attività pubblica? Gestendo il proprio “particulare” senza mai esprimersi sulle questioni generali.
Questo modo di fare non è più accettabile secondo me e se ne devono prendere le distanze. Che senso ha continuare a dire che la nostra collettività è assai vivace perchè l’associazionismo è diffuso se si limita a curare la propria attività? Forse che se ci fossero cento club degli scacchi saremmo più attenti e consapevoli di quello che succede alla cosa pubblica?
Etica e ideologia sono strettamente connessi. Il problema dei Partiti – quello che ne è rimasto – è proprio quello di essere “relativisti” e di accettare tutto e il contrario di tutto, presi dall’ansia di ecumenismo elettorale che li struttura in questo modo. Uno, centomila, quindi nessuno. Persino mettere a posto un marciapiede può avere implicazioni “ideologiche”, se non altro perché inscritto nella sequenza delle priorità. Tutti, in cuor loro, cercano di fare il bene della Comunità ma se non tornano idee fortemente caratterizzate, l’espressione Bene Comune può essere intesa diversamente da ognuno di noi. Destra e Sinistra non sono espressioni vuote, sono vuoti i “contenitori” che dicono di rappresentarne le istanze, spesso solo “marchi” per istanze tribali particolariste. Serve una visione forte, integrata e coerente del mondo da offrire per recuperare un’adesione convinta; magari quantitativamente minore ma fortemente convinta. Altrimenti avendo fini ultimi diversi, durante il percorso tutto rischierà di sfilacciarsi per la diffidenza che gli obbiettivi finali possano essere differenti. Diffidenza, peraltro, legittima. Il Voto segue invece altre logiche che – in estrema sintesi – sono quelle che Carlo Sacco bene evidenziava in un precedente Post.
Condivido in pieno il tuo pensiero ma ciononostante la vedo dura e la mia visione è tale proprio perchè guardo al perchè siamo tutti arrivati fino a questo punto come persone, come comunità, come istanze per il cambiamento per una tanto anelata inversione di rotta che ci possa riportare a livelli di accettabilità e di convivenza intelligente.
Il tuo discorso è ”sacrosanto”, etico e razionale, di buon senso insomma, ma mi chiedo perchè viene disatteso da chi ci guida? La risposta secondo me è che chi ci guida è permeato dalla forza degli interessi che non guardano a nulla e nessuno, sommersi ed espressi dalla politica che agisce come portatrice di istanze per continuare imperterrita nella strada che da tanto tempo percorre.
Se non cambia qualcosa di strutturale al suo interno e se non è la gente che la faccia cambiare, il fondo del barile è vicino. Come sempre sarò sentito come ”detrattore” ma mi chiedo perchè dovrebbe cambiare i suoi fini tale politica, l’establishment che regge il tutto? Ci vogliamo per un momento rendere conto che la realtà la possiamo auspicare come vogliamo ma se non c’è uno scossone da parte della gente nel suo insieme non cambia nulla, anzi si peggiora? Secondo chi legge, le rivoluzioni nella storia come sono nate? Certo, c’è stato da sempre chi chi ha fatto le rivoluzioni anche per fermare il nuovo, ed hanno quasi sempre vinto. In pratica da questo stato di cose da tale situazione in Italia si esce sicuramente a destra. Può darsi che possa essere anche intesa come una rivoluzione ma personalmente ci credo poco….io la chiamerei restaurazione, specialmente in presenza delle” teste” che ci guidano…