Larth Porsenna, o Porsèna, il nome di questo leggendario lucumone di Chiusi risuona nelle nostre orecchie fin dall’età scolare.
C’è però chi asserisce che tale appellativo sia probabilmente di una magistratura etrusca, Purthna, l’equivalente del latino Praetor. Dicono gli storici che furono proprio i romani a scambiarlo per il vero nome del grande condottiero che piegò Roma con il suo esercito.
In ogni modo, certi o meno di come si chiamasse questo potentissimo re, una cosa è sicura: al solo sentir pronunciare Porsenna, si drizzavano i capelli ai futuri padroni del mondo conosciuto. Infatti, Tito Livio(1), così ne parla: “non prima di allora così grande terrore aveva invaso il senato: tanto era potente lo stato di Chiusi e tanta la fama di Porsenna in quel tempo”.
In tutto quello che sto per raccontare c’è, ovviamente, un po’ di storia e un po’ di leggenda, come succede per tutti i grandi personaggi del passato. Il mito di Porsenna aveva raggiunto una popolarità tale che gli erano attribuite persino qualità magiche. Plinio il Vecchio(2) riferisce che fu lui ad uccidere con un fulmine un mostro chiamato Olta, che distruggeva la zona di Volsinii (Bolsena).
Il massimo della fama la toccò nel 506 a.C. circa, proprio quando Roma, rovesciato l’ultimo sovrano Tarquinio il Superbo, si apprestò a fondare la repubblica e i consoli L. Giunio Bruto e L. Tarquinio Collatino assunsero i poteri del re. Il Superbo non si dette per vinto e come prima mossa mandò a Roma due ambasciatori per chiedere al governo la restituzione di tutti i suoi beni. I consoli ebbero a discutere tra loro; Bruto era contrario alla restituzione, invece Collatino sosteneva che era il caso di accontentarlo, perché secondo lui un rifiuto avrebbe portato il re spodestato a muovere guerra contro Roma, aiutato da Veio e Tarquinia.
Intanto a Roma si era formato un partito che auspicava il ritorno dei Tarquinii. Era composto soprattutto da quei patrizi che temevano di perdere certi privilegi ormai acquisiti. Il console Collatino ebbe ragione: i Tarquinii, aiutati dai tarquinesi e dai veientani, dichiararono guerra a Roma, anche se poi furono sconfitti. Questa volta i Tarquinii si rifugiarono a Chiusi e chiesero aiuto a Porsenna. Il lucumone di Chiusi si lasciò convincere e a sua volta mosse guerra contro Roma.
La storia ci racconta che all’esercito di Porsenna si unì anche Ottavio Mamilio, il genero di Tarquinio, a capo dei tuscolani e dei latini che avevano giurato vendetta contro Roma.
Al primo assalto, Porsenna, dopo aver conquistato il Gianicolo, cercò subito di spingere i romani verso il Tevere. Lo scopo era di farli retrocedere per impadronirsi di Roma o, nella peggiore delle ipotesi, cingerla d’assedio. Dopo ore di battaglia gli etruschi riuscirono nel loro intento e gran parte dei soldati romani, ormai allo stremo delle forze, tentarono la ritirata attraverso il ponte Sublicio. Fu qui, in questo luogo, che accadde il primo degli atti eroici che la leggenda vuole. Ne fu protagonista Orazio Coclite, il valoroso soldato romano che da solo tenne a bada gli avversari mentre i propri commilitoni demolivano il ponte facendo in modo che il fiume divenisse ostacolo tra i due eserciti.
Porsenna, però, riuscì ugualmente a circondare Roma e piantò le tende del suo accampamento proprio sotto le mura. Dopo vari giorni, nei quali i romani erano bloccati dentro la città, e quindi ridotti alla fame, si presenta sulla scena un altro eroe: Caio Muzio, giovane nobile romano. Chiese di poter parlare al Senato per esporre un piano il cui fine era quello di uccidere Porsenna. Ottenuto l’assenso dei consoli e dell’assemblea, passò subito all’azione.
Nascose un pugnale sotto alle vesti e s’infiltrò nell’insediamento etrusco. Non gli fu difficile entrare, altri romani disertori si aggiravano per il campo. Muzio non aveva mai visto Porsenna e quindi non sapeva nemmeno che aspetto avesse. Entrato nella tenda del re di Chiusi, vide un uomo riccamente vestito, seduto sul trono reale e circondato da molti soldati. Pensò che fosse lui e lo colpì uccidendolo. Si trattava invece di un suo amministratore.
Fu subito arrestato e portato al cospetto del Lucumone perché lui stesso ne decidesse la condanna. Interrogato, il romano rispose: “mi chiamo Caio Muzio e sono venuto per ucciderti, ma ho fallito e quindi è giusto che punisca la mano che ha sbagliato”. All’interno della tenda che li ospitava c’era un braciere acceso ed il romano, incurante del dolore, pose la mano destra sui carboni ardenti e la lasciò bruciare.
La leggenda continua e afferma che Porsenna, dopo quest’atto eroico, inviò i suoi ambasciatori ai romani per trattare la pace. Le richieste degli etruschi non furono poi così sgradite alla controparte: essi avrebbero rinunciato a rimettere sul trono Tarquinio il Superbo, ma i romani avrebbero dovuto restituire ai Veienti i territori occupati. Inoltre, la ritirata delle truppe etrusche dal Gianicolo, sarebbe avvenuta in cambio della consegna di giovani ostaggi. Le condizioni furono accettate e i romani inviarono a Porsenna numerosi adolescenti, maschi e femmine.
Del folto gruppo faceva parte anche una ragazza di nome Clelia, che a distanza di poco tempo dall’inizio della sua prigionia, riuscì a fuggire con altri compagni, eludendo la sorveglianza. Porsenna protestò e pretese che la fanciulla, lei soltanto, gli fosse riconsegnata. Clelia fu rispedita da lui, ed il Lucumone, dopo averla lodata per il suo coraggio, la lasciò libera di tornare indietro in compagnia di alcuni ostaggi, che lei stessa scelse tra i più giovani.
Non è mia intenzione distruggere una leggenda che si perpetua ormai da decine di secoli, ma gli avvenimenti che avete appena letto, quelli di Orazio Coclite, Muzio Scevola, Clelia, sono stati certamente inventati, o perlomeno esagerati dagli scrittori romani dell’epoca. La realtà è senz’altro un’altra e a sostenerla sono storici famosi come Tacito, Plinio il Vecchio, Plutarco, Dionigi. Infatti, loro stessi, affermano che Porsenna non fu affatto malvagio. Lasciò intatto l’ordinamento repubblicano e pretese soltanto i territori riconquistati dei Veienti. E’ vero però che proibì loro l’uso dei metalli per fabbricare armi, concedendogli solo la possibilità di costruire utensili da usare in agricoltura.
Non v’è dubbio che al Lucumone etrusco furono offerti dal Senato di Roma la sedia d’avorio e lo scettro, segni del comando, e fu innalzata una statua in suo onore. E’ certo anche che non era sua intenzione rimettere sul trono Tarquinio il superbo: da vincitore avrebbe potuto tranquillamente farlo. Un’altra cosa da dire, a proposito di questo mitico personaggio, è che a causa delle sue mire espansionistiche è sfatato, almeno in parte, quel modo pacifico di vivere degli etruschi, tanto sbandierato da moltissimi scrittori antichi e moderni. A conferma di quello che ho appena detto, circa il suo spirito bellicoso, basti pensare alla guerra da lui dichiarata ai latini di Ariccia, dalla quale il suo esercito uscì sconfitto e suo figlio Larth Arunte, che ne deteneva il comando, rimase ucciso in battaglia.
Pochissime altre sono le certezze storiche sul grande re di Chiusi, e tra l’altro anche molto contestate dagli studiosi contemporanei. Il patrimonio letterario etrusco, andato quasi del tutto disperso in epoche lontane da noi, non può quindi venirci in soccorso. Dobbiamo allora accontentarci solo delle leggende? Purtroppo si, anche se queste, com’è risaputo, nascono sempre da un fondamento di verità. Forse, una soluzione che porrebbe fine a questi dubbi potrebbe anche esserci: trovare il leggendario mausoleo di Porsenna contenente il favoloso tesoro di sepoltura.
Sono sicuro che a nessuno di noi dispiacerebbe se una mattina sulla prima pagina di tutti i giornali leggessimo: “Ritrovato a Chiusi il mausoleo di Porsenna”. Torniamo però con i piedi per terra e accontentiamoci ancora una volta di quello che ci dice la narrazione tradizionale in proposito. Fu Plinio il Vecchio a parlarne per primo e lo fece nella sua opera “Historia Naturalis”, descrivendo i più famosi labirinti del mondo antico: d’Egitto, di Creta, di Lemno, e Italico, vale a dire quello di Porsenna. Lui stesso però confessava di aver appreso a sua volta la notizia da un lavoro di Marco Terenzio Varrone(3) .
Quelli d’Egitto e di Lemno esistevano ancora quando egli compose il suo testo letterario, mentre degli altri due, di Porsenna e di Creta, non vi erano più tracce. Racconta Plinio: “ Porsenna, re d’Etruria, fece costruire questo mausoleo non solo per la sua sepoltura, ma anche per ambizione e per superare in grandiosità i re stranieri. Fu sepolto sotto la città di Chiusi, all’interno di un monumento in pietra con base quadrata, i cui lati erano lunghi 300 piedi e alti 50. All’interno del basamento si trovava un labirinto intricatissimo, tanto che chiunque vi si fosse introdotto non ne sarebbe uscito senza l’aiuto di un gomitolo di filo. Sopra la base, una per ogni angolo ed una al centro, c’erano delle piramidi larghe 75 piedi e alte 150. Sulla sommità di queste costruzioni, stava un globo di bronzo ed un’unica cupola dalla quale scendevano delle catene alle cui estremità erano appesi dei campanelli, che agitati dal vento emettevano suoni udibili da molto lontano. Sopra alla sfera altre quattro piramidi alte 100 piedi ognuna e sopra di loro, poggiate su un’unica base, ancora cinque piramidi”.
Talmente alte che Varrone, narra ancora Plinio, ebbe vergogna a riportarne l’altezza. Dalla descrizione che Plinio fa di tale edificio, non potremmo supporre altro che fosse stata proprio una cosa grandiosa. D’altro canto, non potendo avere nessun riscontro con la realtà, dobbiamo fidarci di quello che gli storici antichi ci hanno tramandato, sommandolo alla fantasia popolare che in ogni caso ha sempre un forte legame e un filo diretto con la storia. Fiumi d’inchiostro si sono riversati sulla carta da parte dei moltissimi scrittori, antichi e moderni, che si sono cimentati nel corso dei secoli in ricostruzioni grafiche e letterarie.
Svariate tonnellate di terra sono state maneggiate nel tempo da archeologi convinti di averne individuato l’ubicazione, ma del labirinto di Porsenna e del suo tesoro non è mai stata trovata la minima traccia. Già, il tesoro. Favoloso anche quello, a dar credito a ciò che hanno sempre raccontato i vecchi e non solo di Chiusi, ma di tutta la zona. Si, perché tale leggenda è legata all’intero territorio che le ricerche archeologiche ci hanno confermato essere appartenuto alla lucumonia di Chiusi.
La tradizione vuole che a chiunque avesse tentato di penetrare dentro il labirinto, non sarebbe stato possibile ritornare indietro. Mostri, fantasmi, trabocchetti e perdita della memoria glielo avrebbero impedito. Si dice anche che insieme al Lucumone fossero stati seppelliti dodici cavalli trainanti un cocchio, che fungeva da bara, circondati da una chioccia con cinquemila pulcini. Naturalmente…tutto in oro massiccio!
(1) Padova 59 a.c. – 17 a.c.
(2) Como 23 a.c. Morto durante l’eruzione di Pompei il 23 agosto del 79 d.c.
(3) Rieti 116 a c. – 27 a.c.
…se una rotellina gira ‘troppo forte”, tutte le altre ne risentono e l’orologio va fuori tempo. Se poi ogni rotellina fa i propri comodi, non c’è proprio orologio.
Io continuo a credere che ci sia un fortissimo nesso tra i nostri tempi e una teoria di vita che, appunto favorisce il ‘troppo forte’ ed “ognuno pensi a se stesso”.
Interessante la teoria parziale della rotellina, tutto va liscio Donatelli e tutte le rotelline sono collegate fra loro ,ma come la mettiamo se quella che gira più forte che -come dice lei- serve da esempio agli altri in uno spazio fisico-temporale dove il complesso delle rotelline gira e le risorse siano limitate? Si può dire nel caso che si è fatto i conti senza l’oste? Forse voleva dire che andiamo male per questo? O che forse sarebbe meglio per tutti che girassero di meno tutte le rotelline visto che la tendenza a farle girare di più in 4-5 secoli ha portato il mondo sull’orlo del baratro!
In tal senso la teoria della decrescita non sarebbe una direzione da imboccare che potrebbe portare all’arresto di tutte le rotellline ma anzi al loro mantenimento in esercizio e le energie di quelle che corrono più veloci verrebbero impiegate per far girare quelle che sono più lente(terzo mondo per esempio).
Ma tutto questo contrasta col sistema economico dove siamo immersi. O si ha la forza di cambiarlo oppure ci conduce alla rovina, e allora si fermeranno anche quelle che corrrono di più. Il problema è anche convincere quelle che vanno più veloci a rallentare, poichè dovrebbero rinunciare al loro consumo, e perchè mai nella loro logica si dovrebbero sottoporre a questo? O lo domandi per esempio alla Marcegaglia!
Si sentirà rispondere come tutti coloro che ne traggono profitto dal loro status: che non si può. E’ l’egoismo e la speranza di sopravvivenza che fanno correre più forte ma cosa ci vorrebbe per capire che sono condizioni che avvicinano il baratro dove non ci sarà sopravvivenza e speranza per nessuno alla fine?
…. non solo è ‘avvantaggiata’ (in quale constesto non è chiaro), ma acquista una notevole importanza perchè, stando alla teoria, il futuro risiede in una non ben specificata rotellina, con conseguente risultato che l’Ego riceve una grande spinta dal concetto di vita che vede l’individuo, non il Tutto nel suo insieme, come fondamentale. Risultato, lo spargersi dell’egoismo. Dopotutto se l’individuo è fondamentale, ciascun individuo lo sarà, e quello che ‘corre più veloce’ (farà SEMPRE PIU’ soldi, etc) lo sarà ancora di più.
Evolutivo si, ma che non cambia niente. E’ stato sempre cosi’, e sempre sarà. La differenza è che la teoria ha dato, e continua a dare, una fortissima spinta a questo dato di fatto. ….esiste un ‘Tutto’, dove ogni cosa è una parte integrale di tutte le altre, un pò come un orologio vecchio stampo, pieno di rotelline, tutte differenti, tutte ugualmente importanti e tutte collegate fra loro. Questa immagine, ben fissa nella mente, potrebbe favorire un mondo basato su un reciproco rispetto……….l’orologio a cui facciamo riferimento è quello evocato dalla teoria dove la rotellina che corre più veloce è avvantaggiata rispetto a quella che va più piano, e via dicendo……
Ho abboccato!
E’ una battuta ma se al tempo di Porsenna fosse esistito Monti vedevi che tale tesoro non sarebbe mai stato creato…..O non è lui che pensando alla salute dei pensionati ha fatto si che ”magnassero l’ovo in culo alla gallina” nel senso che parecchi oggi hanno magnato il loro se pur modesto credito futuro prima che venga partorito ? E senza ”ovo” i pulcini non sarebbero mai nati, e quindi i ”compro oro” del tempo avrebbero chiuso per mancanza di materia prima……chissà se Donatelli lo interpreterebbe questo come un fatto evolutivo ?….Forse sì ! In tutti i casi un po’ di paura ai romani gli s’è fatta……