Rosa Iannuzzi nata a Sant’Andrea Apostolo dello Ionio (CZ) emigra ancora in fasce a Torino dove vive fino all’età di 31 anni. Sceglie di trasferirsi a Città della Pieve lasciandosi dietro gli studi universitari, la passione per il palcoscenico e le stanze della Cgil torinese dove ha vissuto una breve ma intensa attività sindacale. Approda ad Anghiari, dove ha sede la Libera Università dell’Autobiografia nel 2002, dopo aver vissuto una difficile esperienza politico-istituzionale nell’amministrazione comunale pievese. Dal 2005 conduce laboratori di scrittura autobiografica in collaborazione con alcuni comuni, associazioni, Università della Terza età dell’area del Trasimeno e dell’Alto Orvietano. Nel 2007 inizia a sperimentare l’utilizzo della metodologia autobiografica nell’ambito della formazione rivolta ad insegnanti ed educatori. Avvia progetti che prevedono l’utilizzo di tecniche autobiografiche nell’ambito della progettazione sociale. Nel 2008 ha pubblicato “Naufraghi” con la casa editrice Midgard, la sua prima raccolta di racconti. Da qualche mese si è tarsferita a Chiusi e ha lanciato una proposta di accompagnamento biografico “Cadono parole” rivolta a tutti coloro che hanno voglia di raccontarsi o di raccogliere storie legate ad un luogo significativo del territorio: la Fornace di Chiusi scalo.
Le abbiamo posto alcune domande sull’esperienza di “Cadono parole”.
Chiusiblog: Come ha cominciato ad occuparsi di scrittura autobiografica e di memorie?
Rosa Iannuzzi: Il giorno che ho capito che non c’era spazio per me nella politica -non per me come persona, ma per quello che mi aspettavo da quel tipo di esperienza all’interno del partito- ho voluto ripartire da quello che sapevo fare. Veramente le cose che amavo fare erano due: scrivere e recitare. Ma mentre la seconda diventava un pò complicata da realizzare, appena venuta a conoscenza dell’esistenza della Libera Università dell’Autobiografia ad Anghiari ho optato per la prima. E sono ripartita dalla scrittura, quella personale prima di tutto e poi quella degli altri.
Chiusiblog: Che valore da a questo tipo di scrittura?
Rosa Iannuzzi: Quasi come un servizio, un modo per riparare alle cose che avevo subito. Per la prima volta potevo pensare di coniugare un bisogno, quello di raccontare a me stessa, agli altri, con un valore, quello dell’ascolto, dell’attenzione all’altro. Poi sono venuti i laboratori e durante quell’esperienza, in più occasioni mi è capitato di sentirmi dire che la possibilità di riappropriarsi della scrittura veniva vissuta come una conquista, una vittoria, una nuova possibilità di rimettere in moto parole, pensieri, riflessioni sulla propria vita e su quella delle persone vicine, care.
Chiusiblog: Perchè ha deciso di intraprendere un percorso di tipo individuale lasciando il percorso laboratoriale?
Rosa Iannuzzi: Perchè non sempre le persone sono in grado di lasciarsi andare all’interno di un gruppoe perchè pensano che ciò che hanno da raccontare non sia importante. Ho pensato perchè non provare a proporre una sorta di sostegno alla biografia, di sè e degli altri? Dalla semplice lettera da scrivere ad un amico, al proprio padre o al compagno, perchè qualche volta le parole pesano e preferiamo farle cadere piuttosto che lanciarle, farle rotolare fino a toccare la mano della persona che ci vive accanto, al racconto di un periodo della propria vita, di un evento che ci ha cambiati. Le parole cadute sono come foglie che restiamo a guardare mentre si staccano dal nostro cuore, solo che mentre si allontanano da noi lasciano un vuoto incolmabile che preferiamo riempire con parole inutili, insensate, ingombranti. Le parole vere, quelle importanti, si nascondono persino a noi stessi e il tempo che trascorriamo a ricercarle, a ritrovarle, è un tempo che ci forma, che ci rinnova. Le parole cadute sono come le occasioni mancate, come il tempo che lasciamo trascorrere -sempre troppo- da una volta all’altra, perchè non è mai il momento adatto.
Chiusiblog: Le parole come un mezzo per riconoscere se stessi?
Rosa Iannuzzi: Mentre si cresce, si vivono esperienze -perchè ci illudiamo che il successo di una vita dipenda dalla somma di quelle esperienze e non dalla qualità delle stesse- si fanno scelte. E tutto quello che non abbiamo scelto, tutto quello che non siamo stati fa parte di noi allo stesso modo, solo che non ha il tempo per raccontarsi e resta sospeso. Ed è la somma di questi sospesi che ci allontana da noi stessi. Le parole quindi come forma di ritrovamento, la grafia come sistema ordinativo che tiene insieme pensieri, idee, emozioni, voglia di raccontare. Le parole che cadono sono come gocce che si posano in terra, come coriandoli che dopo l’allegra rincorsa, trovano posto negli interstizi dell’acciottolato. E quando le guardi posarsi, ti accorgi che hanno dipinto con disordinata allegria la strada del cammino. L’importante è affidarsi a loro, non temere il forte potere evocativo. E non smettere mai di ascoltare quello che ancora hanno da dirci.
Chiusiblog: L’arrivo a Chiusi oltre che ispirarle questa iniziativa l’ha stimolata anche nella sua scrittura?
Dimenticavo. La lettura di Naufraghi è davvero educativa, sia per l’aspetto “letterario” (molto interessante la scrittura a flashback, mutuata dalla letteratura “alta” ma rielaborata secondo una cifra individuale assai creativa) e per l’aspetto propriamente “biografico” – con la capacità diaristica di rappresentazione (nel senso di “portare davanti a sé”) un vissuto che, pur conflittuale (commoventi le pagine di ritorno al padre ormai morente), non rinuncia alla pietas che contraddistingue la nostra (semplice) umanità -.
Un bel pezzo di letteratura, insomma – oltre che di vita vissuta (ancora, molto belle le pagine dell’infanzia e delle gite “fuori porta” con i parenti, in una Torino che rimane su uno sfondo come una sorta di telone teatrale) -.
Carlone, conosco Rosa da anni (almeno dieci), e so ch’è in grado non solo di giudicare da sola (e non solo Chiusi, ma anche i suoi …. contorni :-)), ma anche di incidere nelle situazioni in cui si trova: non passa inosservata, ed è un gran dono (ma anche un gran fardello).
Ovvio, la mia era una battura (battuta + freddura) e Luca ne ha sottolineato perfettamente il senso.
Io – seppur sia un nomade (calabrese come Rosa, veh là, vedi il mondo com’è piccino!) – mi trovo bene qui a Chiusi, conosco e frequento gente che mi piace (oddio, non proprio tutta ma, tant’è :-)) e sono spesso sia in accordo che in disaccordo. Tout se tient, c’est la vie.
Caro Enzo, per sua fortuna Rosa ha tutte le caratteristiche e le facoltà per poter osservare e giudicare. Non ha bisogno dei miei discorsi avendo conosciuto altre realtà. Io mi sono permesso di dirle ciò che credo reale, col beneficio d’inventario per lei s’intende!
Ogni luogo ha le proprie peculiarità, lati positivi e negativi, ma siccome a Chiusi ci sono cresciuto, non ho perso mai i contatti e ci stò invecchiando per scelta, desidererei farla partecipe delle mie sensazioni.
Sarà lei poi a giudicare se sarà stata una scelta positiva o negativa quella sua. Io col dire in quel modo ho solo espresso ciò che ho dentro. Mi sembra di aver capito che Rosa stia cercando di entrare in una cerchia di relazioni che le permetta di esprimere ciò che ha dentro e ciò che scrive ne è la testimonianza. Sempre più spesso oggigiorno le persone non sono più incantate dai convenevoli ipocriti e dalle apparenze che sono diventati ”sostanza”, ricercano invece ben altra sostanza e sincerità.
Non credo di apparire un detrattore quando dico che a Chiusi sono cose rare negli ultimi anni, portate non solo dal degrado generale in cui versa l’Italia ma anche dalla politica e dalle persone che le ruotano intorno e dai valori che esprimono. Questo è ciò che penso e che mi sento di dire e non pretendo davvero che sia la verità scolpita nella roccia.
…ma è così che si mettono in guardia e si proteggono le persone a cui si tiene.
Vale a dire: la fregatura te la sei data da sola?
Ahi, Carlo, non è così che si accolgono i cittadini in arrivo… 😉
Splendido commento di Carlo Sacco!
Il percorso di Rosa è chiaramente una ricerca introspettiva, sospesa in attesa di emozioni, che a prima vista potrebbero essere scambiate come rivolte al puro personalismo ma che invece lasciano uno spazio intelligente e produttivo alla comprensione del sociale.
Il centro di tutto è la persona con le sue sensazioni, con le emozioni con le storie che si porta dietro, anche storie antiche, formative e affettive, ma tutte bene o male radicate nel sociale, qualcuna perdente e forse anche carica di rammarichi e di mestizia ma altre altrettanto vibranti di voglia di sentirsi parte di un tutto, un tutto del quale sempre di più non se possa fare a meno. E sicuramente stà proprio qui la forza di una idealità di cui Rosa sà alimentarsi e fruire perciò del proprio tempo esistenziale.
La forza che è anche quella di saper aspettare e la soddisfazione del saper riconoscere una emozione tenuta dentro e finalmente rivelata anche dopo tanto tempo. Se fosse vissuta in Tibet sarebbe forse un eremita saggio, ma a Chiusi è bene che si faccia passare tali ”fregole” poichè di etereo -e credo che se ne sia resa conto- c’è poco.C’è solo il Lago in certi giorni che sembra di cobalto attorniato dai campi di grano verde e di gialla colza e non è poco…per il resto la vecchia Kamars rassomiglia talvolta ad un fumetto di paperino che comunque è sempre il più simpatico, c’è lo zio paperone ma che adesso è un po’ meno ricco e che invece di tuffarsi fra le monete d’oro rischia di tuffarsi nel percolato di discarica, c’è Clarabella che è meglio che non dica chi è, ed infine ci sono un po’ di bande bassotti che hanno sempre paura di perdere il loro status di clientes…
Cara Rosa io ci sono ritornato ad abitare ma avevo le radici qui e sono giustificato,tu mica tanto…