“Divenuto Imperatore Aureliano, crudele per natura e anche molto superstizioso, non ci volle molta fatica ai rappresentanti dei Patrizi per convincerlo a perseguitare i Cristiani.
Lo persuasero che tutto quello che di male avveniva nell’Impero, come la schiavitù di Valeriano e la dappocaggine di Gallieno, che lasciò proliferare tanti Tiranni, fosse dato dall’ira degli Dei, irritati contro l’Impero e gli Imperatori che non si davano da fare per estirpare la religione cristiana.
E c’è chi crede che tutta quella crudeltà usata in Roma, nel terzo anno del suo Impero, contro tanti nobili e Senatori, prendendo a pretesto la sedizione come racconta Vopisco, perché disobbedirono ai suoi ordini di consultare i libri sibillini(1), fu invece generata dal forte sospetto che questi fossero cristiani. E se anche nel suo primo anno d’Impero si era prestato per cacciare dalla sua sede Paolo di Samosata, richiestogli dai Padri del Concilio d’Antiochia(2), lo fece solo per accattivarsi la benevolenza di tutti. In seguito però gettò la maschera ed emise contro i cristiani un editto.
Non appena divulgato tale decreto, che prevedeva oltre alla carcerazione dei medesimi, anche la confisca di tutti i loro beni, in ogni provincia dell’impero e specialmente in Etruria, i ministri della giustizia e gli ufficiali fecero rispettare subito gli ordini, facendo perquisizioni e mettendo in galera e ceppi(3) i cristiani. La Principessa Mostiola si diede subito da fare, servendosi sia della sua autorità sia delle proprie finanze, corrompendo i custodi delle carceri. Andava di notte a visitare e confortare quei poveretti, incitandoli a rimanere fedeli alla loro religione. Faceva loro elemosine e gli dava tutto l’aiuto che poteva.
Giunta a Roma la notizia del gran numero di Cristiani messi in prigione, fu mandato in Toscana Lucio Turcio Aproniano, uomo Consolare e ministro molto rispettato. Arrivato a Sutri(4), vi trovò un prete di nome Felice che diffondeva nel popolo la fede cristiana. Lo fece arrestare e durante l’interrogatorio egli confessò di essere un ministro della vera fede di Cristo. Lo condannò alla lapidazione nel giorno ventitreèsimo del mese di giugno e il suo cadavere fu esposto nella pubblica piazza. La notte seguente, il suo diacono Ireneo, lo seppellì vicino le mura della città. Avvertito Turcio di quanto Ireneo aveva fatto, lo fece incatenare e condurre a Chiusi, dove anch’egli arrivò il giorno venticinquesimo del mese di giugno.
Giunto in città, l’uomo mandato da Roma, chiese subito ai ministri una relazione sul numero dei Cristiani che si trovavano in carcere. Un uomo di nome Torquato, gli riferì anche che si trovava a Chiusi una dama nobilissima di nome Mostiola, cugina dell’imperatore Claudio II di fede cristiana, che nottetempo si recava alle carceri portando aiuti a coloro che vi erano detenuti e confortandoli, diceva loro di soffrire quelle pene nel nome di Cristo.
Turcio, dopo aver eretto un tribunale nella pubblica piazza di Chiusi, il terzo giorno di Luglio, fece chiamare la principessa Mostiola. Durante l’interrogatorio lei stessa confessò d’essere cristiana e affermò anche la sua convinzione che quella religione, nella quale lei credeva ciecamente, non avrebbe potuto portare nessun nocumento al suo stato di nobile. Turcio cercò di persuaderla a rinunciare alla sua fede e gli promise che se avesse ubbidito alle leggi dell’impero l’avrebbe lasciata libera. La principessa però rimase ferma nelle sue convinzioni. Allora Turcio, frustrato da tanta fermezza di principi esternati da Mostiola, ordinò che fossero condotti alla sua presenza Ireneo e tutti i cristiani chiusini detenuti. Dopo aver sentito direttamente dalla loro voce quale era la propria Fede, ad uno ad uno li fece decapitare.
Ad Ireneo impose la tortura dell’eculeo(5) e chiese di rinnegare la sua religione facendo i dovuti sacrifici agli Dei. Questi, però, mentre cantando lodi a Dio, gli rispose che tanta grazia gli avrebbe fatto se lo avesse ucciso per la sua Fede. Allora l’inquisitore romano ordinò di continuare la tortura e così Ireneo spirò, mentre era straziato dagli aguzzini per mezzo di ferri incandescenti. Turcio pensò che dopo un così cruento spettacolo, la principessa Mostiola si fosse piegata ai suoi voleri, tornando all’adorazione degli Dei. Ben presto però, si rese conto che questo non era accaduto, anzi, udì dalla voce stessa di Mostiola il desiderio di morire per Cristo. Così facendo la nobile donna chiusina segnò il proprio destino.
Turcio la condannò ad essere battuta con le piombate, finché l’anima sua non fosse spirata. Tutto questo accadeva il terzo giorno di luglio dell’anno di Cristo 275, nel secondo mese del pontificato di Eurichiano(6), quando Marco era vescovo di Chiusi ed era in atto la decima persecuzione della chiesa cattolica. Proprio perché possa essere compreso quanto spietato e crudele fosse questo martirio, affermiamo che ci sono due opinioni a proposito delle piombate.
La prima è che fossero dei bastoni rivestiti di piombo, con cui si battevano le giunture delle ossa dei fedeli, finché per il dolore non morivano. L’altra, forse la più credibile, è che si trattasse di piccole funi, o catenelle, appese alla testa di un bastone. Nella parte finale di queste vi erano attaccate alcune palle di piombo, con cui erano battuti i corpi fino all’esalazione dell’anima. Non vi è dubbio alcuno che l’uso di tali strumenti fosse proibito contro i nobili, ma pare che tale divieto venisse sospeso, quando si trattava di infliggerlo ad corretionem (per correzione) e non come ultimo supplizio.
Oltre al reato di diffondere la fede di Cristo, era contestato al condannato anche il reato di Lesa Maestà. Tale reato, secondo l’accusa, rendeva la persona che lo aveva commesso indegna di stima. A testimonianza di questo, c’è d’esempio il martirio di Santa Bibiana, anche lei nobile dama Romana, uccisa con le piombate. I corpi di Mostiola e di Ireneo, insieme a quelli di tanti altri martiri, rimasero esposti tutto il giorno sulla pubblica piazza, finché, arrivata la notte, giunsero amici e congiunti per recuperarli e dargli degna sepoltura. Di Mostiola e di Ireneo si occupò il Vescovo Marco con i suoi chierici. Le loro salme furono portate fuori le mura della città, in un luogo dove altre volte erano stati seppelliti i cadaveri dei martiri delle precedenti persecuzioni”. Dopo quaranta anni, Costantino il Grande dette pace alla Chiesa.
(1) Raccolta oracolare che i Romani conservavano nel tempio di Giove Capitolino. I libri erano affidati ad un collegio di pubblici sacerdoti formato da dieci membri, detti dal loro numero decemviri. Questi sacerdoti consultavano i libri sibillini, per richiesta del Senato o di un magistrato. Esaminati i quali, indicavano i riti che avrebbero dovuto eseguire allo scopo di placare gli dei in occasione di una qualunque calamità.
(2) I concili avvennero nel 264 e 268 contro Paolo di Somosata, che negava i misteri della Trinità e dell’incarnazione.
(3) Strumenti di legno in cui venivano stretti i piedi dei carcerati.
(4) Sutri è una cittadina dell’alto Lazio, in provincia di Viterbo. Un Tempo faceva parte del dominio etrusco, poi conquistata dai Romani. In quel tempo era quindi considerata geograficamente nell’Etruria.
(5) Antico strumento di tortura sul quale veniva steso il condannato per essere poi tirato a forza in diverse direzioni.
(6) Papa, santo (sec. III). Successore di San Felice, fu pontefice dal 275 al 283, Secondo il Liber Pontificalis, era etrusco di Luni. Il Martirologio romano ricorda la sua opera di seppellimento di 342 martiri. Subì a sua volta il martirio sotto Numeriano.
*E’ stato precedentemente pubblicato “Le origini di santa Mustiola” https://www.chiusiblog.it/?p=15370