Un prete per chiacchierare… e per capire

di Paolo Scattoni

Premetto subito che questo mio commento potrà non essere obiettivo. Parlo di un amico che ho imparata ad apprezzare negli ultimi venti anni: il parroco di Chiusi Scalo don Antonio Canestri.

In queste occasioni scrivere in un blog e non in un giornale, quindi in modo non professionale, ha i suoi vantaggi. Veniamo a quanto successo.

Ieri alla messa domenicale delle 11 don Antonio ha letto un appunto, forse per non emozionarsi troppo e per non essere frainteso. Ha comunicato ai parrocchiani il trasferimento dalla parrocchia.  Don Antonio ha ringraziato la comunità parrocchiale dove ha potuto “fare il prete nel modo più bello e pieno che sia possibile” e ha spiegato che

“il Vescovo  vuole che io vada a prendermi la responsabilità di altre parrocchie e di alcune realtà pastorali diocesane. Spero di poterlo fare bene con la grazie di Gesù e anche con la vostra amicizia e con la vostra preghiera. I tempi e i modi del trasferimento non sono stati ancora precisati, penso che dovrò aiutare per un po’ di tempo chi mi affiancherà ad inserirsi nella nostra realtà e nelle nostre attività. Affido tutto con fiducia alla preghiera della Madonna, S. Maria della Pace prega per noi.”

Fin qui il messaggio da cui traspare quanto poi è stato precisato: la transizione sarà “morbida” e avverrà in tempi non ancora definiti.

 

Fin qui i fatti. Ora il commento. Con tutto il dovuto rispetto non credo che chi ha preso la decisione abbia pensato alla complessità dei rapporti e delle iniziative che don Antonio rappresenta. Non so quanti sinora si siano resi cono della difficile azione svolta per disinnescare potenziali conflitti dovuti ad esempi all’eccezionale presenza di immigrati stranieri oppure abbiamo visto la capacità di don Antonio di affrontare l‘emarginazione sociale in proporzione molto più marcata a Chiusi Scalo rispetto ad altre realtà. La sua grande capacità di mettere in relazione tutte queste situazioni fra loro.

Non me ne intendo, ma immagino che la pastorale sia particolarmente difficile in una situazione come questa.

Devo essere sincero ma questo passaggio della storia locale mi ha riportato alla mente le mie letture sul “sacro esperimento” dei gesuiti nelle reduciones spagnole del ‘700. Cercarono di capire la complessità di quelle popolazioni e riuscirono a favorirne il riscatto anche sociale.

Poi un papa fu troppo sensibile alle pressioni delle corti europee, soprattutto di quella portoghese, e i gesuiti furono allontanati e sostituiti con un altro ordine religioso, non ricordo quale. I nuovi pastori non riuscirono a capire la complessità di quanto era stato fatto. Gli indios rientrarono nella foresta e le grandi chiese di quella regione andarono in rovina.

Oggi sono soltanto ruderi offerti alla contemplazione dei turisti.

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39 risposte a Un prete per chiacchierare… e per capire

  1. pscattoni scrive:

    Chiudere? E perché mai. La decisione è stata molto discussa e il disorientamento dei parrocchiani è stato grande. Il tutto è stato annunciato dal sacerdote interessato. Se il vescovo non sente il bisogno di ascoltare le parole di chi è oggi disorientato, secondo me, sbaglia.
    E’ stato presente alle festività per santa Mustiola, ma non ha profferito verbo su questo argomento. Per questo io credo che stia ancora pensando allo cosa e la decisione non sia definitiva.

  2. carlo sacco scrive:

    XScattoni.Ho usato la parola ”pentimento” volendo rispondere al tuo scritto a Sorbera, parli di ”riconoscimento dei suoi passi avventati”. Ho usato una parola troppo forte usando quella di pentimento intendendolo come riconoscimento? Il pentimento esiste quando uno commette qualcosa di disdicevole e poi si pente. Ma a dimostrazione di buonafede del mio uso, ho detto subito dopo:”Non capisco di cosa avrebbe dovuto pentirsi…”. Non ho ravvvisato alcun segno di disgressione e anzi tutto il mio scritto riconosce che il suo comportamento è stato lineare e trasparente, come si conviene ad una autorità intelligente.Comunque,tutta questa vicenda trovo che abbia provocato molte polemiche sterili e anche inutili. Cosa ben diversa è la critica che è doverosae che deve essere accettata.Tu hai detto la tua giustamente, altri hanno detto la loro, io ho detto la mia anche nel Post. Credo che da persone intelligenti sia bene chiudere, anche se per curiosità desidererei risposte dalle persone più direttamente interessate (i parrocchiani). Invece, come è costume chiusino, stanno tutti al coperto per paura di esporsi e di dire la loro, tranne qualche giovane più spontaneo.

  3. Paolo Scattoni scrive:

    @ Carlo Sacco. Ma dove hai letto la parola pentimento? Forse non ricordi la vicenda. C’era l’accusa a un prete indiano di essersi macchiato di pedofilia (secondo me ingiustamente) da parte di un avvocato americano e di operare nella parrocchia di Sarteano, dove secondo l’avvocato avrebbe ottenuto ingiusto rifugio. Televisioni, giornali, etc. Il vescovo si nega, non risponde. Poi, quelli di Annozero suonano il campanello (non sfondano il portone) e con l’autorizzazione di una suora in portineria che li fa entrare, arrivano agli uffici della curia. Si trovano davanti un anziano impiegato che urla “siete tutti comunisti”. E’ evidente che un errore di semplificazione è stato fatto e, almeno come la leggo io, questo viene riconosciuto dal vescovo. Non credo che si comporterebbe nella stessa maniera se la cosa dovesse avvenire di nuovo. “Sbagliando s’impara” vale anche per i vescovi.
    Sulla vicenda di don Antonio ho avuto la stessa impressione di eccessiva semplificazione e mi sono permesso di scriverlo, con il massimo rispetto.

  4. carlo sacco scrive:

    Sono andato al link che ha citato Paolo e sinceramente dalle parole del Vescovo non ho ravvisato alcun pentitimento nè alcun passo indietro da quanto aveva affermato in tale lettera. Non capisco di cosa avrebbe dovuto pentirsi o cosa riconoscere sbagliata del suo comportamento. Inoltre ha detto quella che a sua conoscenza era la verità e ha descritto la consecutività dei fatti così come si sono svolti. Le troup dei giornalisti televisivi (anno zero ed anche quasi tutti gli altri)sono portati professionalmente ad eccedere e a evidenziare in maniera brusca gli avvenimenti, anche e giustamente trattando tutti alla stessa stregua:politici,religiosi,colpevoli od innocenti che siano.Sta alla sensibilità dell’ascoltatore riuscire a distiguere il livello di eccessiva o meno forza di penetrazione e/o il non rispetto della privacy e della normale decenza relazionale.A me sembra che usando il metro della verità il Vescovo non sia indietreggiato per nulla dalle posizioni che aveva assunto di fronte alla vicenda,abbia tenuto un comportamento aperto e trasparente e non abbia teso a celare o sminuire nulla.

  5. Paolo Scattoni scrive:

    @ Enzo Sorbera. Ricordo a Maputo un quasi incidente diplomatico causato da ignare suorine italiane che nel rimettere in ordine il giardino del convento fecero tagliare un albero che rappresentava per alcuni dipendenti laici il collegamento con i loro avi (os paes). C’è però da dire che la Chiesa cattolica rispetta molto di più delle chiese protestanti i valori locali. In Africa l’animismo, quale rapporto con gli avi scomparsi, è cultura diffusa. Sarà per questo che i miei allievi mozambicani di religione cattolica erano in media più felici dei più disciplinati allievi protestanti.
    Per quanto riguarda don Antonio, io spero ancora che il vescovo ci ripensi, possibilmente dopo essersi confrontati con i parrocchiani. In passato ha dimostrato di saper riconoscere passi avventati come il suo comportamento nella vicenda AnnoZero. Rimeditare le decisioni non è segno di debolezza, ma di grande forza che può meritare soltanto grande rispetto.

  6. enzo sorbera scrive:

    scusate, l’etnia dell’indio era quiché e non guaranì. Sposta poco la questione, ma l’amore di precisione prevale. Quanto al fatto che il sostituto di don Antonio dovrà fare i conti con una figura enorme, spero che prevarrà il buonsenso dell’aiuto più che quello (sterile) della competizione. Colgo l’occasione per ringraziare don Antonio per quanto ha fatto e l’ospitalità che ci ha garantito (dal coro Arcadelt dei primi tempi, alle conferenze – l’ultima cui ho assistito quella del direttore di Civiltà Cattolica- ). Sull’uomo e sulle sue qualità credo non ci sia niente da aggiungere a quanto hanno scritto gli altri. Spero solo di reincontrarlo per du’ chiacchiere tra amici, se non sarà troppo in altre faccende indiffarato.

  7. enzo sorbera scrive:

    Molta della forza della Chiesa è nell’obbedienza e nella capacità di “assimilare”. Per quanto riguarda la seconda, ricordo, poco prima della messa, il sacrificio di un gallo sulle scale della chiesa di San Antonio Palopò, sul lago di Atitlan: a noi sbigottiti, il sacerdote fece un cenno d’intesa e l’officiante (un indio guarani) ci indirizzò una sorta di benedizione propiziatoria. La chiesa, per la messa, era piena al limite del soffocamento. Sulla prima caratteristica, don Antonio per primo saprà che il suo non è solo un gesto di subordinazione, ma anche l’apertura verso nuove possibilità pel suo lavoro di pastore. Lo saluto con affetto, anche se con un po’ di rammarico. Povero chi dovrà sostituirlo….

  8. pscattoni scrive:

    Certo che sì. Abbiamo forse mai censurato qualcuno che ha scritto seguendo le regole stabilite?

  9. lucianofiorani scrive:

    No, per i commenti c’è sempre il limite delle dieci righe.
    Se vuoi mandare un pezzo da pubblicare non ci sono problemi.

  10. carlo sacco scrive:

    Vorrei scrivere un Post su questa questione,io non credente e che non sono della Parrocchia, per avere un po’ più di spazio.Posso ?

  11. pscattoni scrive:

    Caro Carlo (Sacco) ho letto i tuoi 1516 caratteri 🙁 e credo possa rispondere a te che conosci bene l’Asia: ce lo vedresti un buddista della comunità di Fucecchio (se c’è) dirigere un convento di monaci in Tibet?
    Poi secondo me il problema è a più lunga scadenza, qui si sta discutendo invece dell’immediata profonda trasformazione della comunità parrocchiale di Chiusi Scalo con il trasferimento di don Antonio.

  12. carlo sacco scrive:

    La ritengo una posizione difficilmente concepibile la tua Paolo su questo argomento, mentre non ho difficoltà a credere su quanto dici rispetto ai fatti che riporti dell’Eritrea. Chiusi non è in una condizione speciale come tu dici; oggi le condizioni speciali sono in tutti i luoghi poichè le problematiche particolari ci sono dappertutto e di diversa natura, quindi questa tua idea di luogo speciale mi sembra non reggere. Ciò che però ritengo un limite del tuo modo di osservazione e della posizione tua che poi ne deriva, è il fatto che davanti una condizione innovativa attuata per fini generali si pensi che a Chiusi una persona proveniente da un altro paese non possa andar bene. E per quale recondito motivo? Mi appare contraddittorio anche e soprattutto rispetto alla condivisibile regola che le idee innovative sono spesso quelle più rivoluzionarie, e la Chiesa stessa se vuole progredire deve considerare tale cosa. Da una parte invece si frena, dall’altra si accetta obtorto collo la decisione dei vertici. Mi sembra che ci sia paura di scardinamento di qualche egemonia da entrambe le parti, e allora sommessamente dico che siamo in presenza di un meccanismo che la Chiesa ha sempre avuto nel tempo e cioè parlare, apparire innovativa, ma poi quando va a misurarsi con i problemi frena. E’ un andamento ciclico rivolto verso il basso del quale essa stessa conosce le ragioni ma che non riesce più a determinarne le manifestazioni. In pratica l’unica rivoluzione è quella con cui si ”mantiene”. Ma così si perde, anche se in un lasso di tempo limitato sembra di arricchirsi.

  13. pscattoni scrive:

    @ Carlo Sacco. Può un sacerdate straniero essere un parroco in Italia in situazione complesse? Forse si, ma la vedo difficile. In Africa ho conosciuto religiosi italiani che facevano un lavoro incredibile. In Eritrea, agli inizi degli anni ’90 ho avuto modo di vedere all’opera l’amministratore apostolico Luca Milesi. E’ morto pochi anni fa ultra ottantenne a Barentù una zona di confine di guerra, eppure aveva scelto di dare la sua opera fino alla fine senza risparmiarsi. Neppure lui, secondo me, se pur cresciuto in Eritrea, riusciva ad essere eritreo fino alla fine. Condivido la politica della Chiesa cattolica che è determinata nel favorire il clero locale..

  14. pscattoni scrive:

    @ Andrea Cappelloni. E’ evidente che la decisione spetta al vescovo, ma la libertà di giudizio rimane. Non credo si aiuti chi ha la responsabilità delle decisioni l’essere circondato da persone che si allineano sempre e comunque.
    Ritorno all’esempio dei guaranì alla metà del settecento, ma questa volta cito il film assai romanzato Mission. Se l’hai visto ricorderai che il cardinale chiamato a decidere sulle gestione delle reduciones ascoltava due posizioni contrapposte: quella dei gesuiti che affermavano che i guaranì erano uomini e quindi non potevano essere schiavizzati e i rappresentanti della corona portoghese che sostenevano il contrario. Forse ricorderai anche che si fecero cantare gli indios perché quella era allora la prova ultima che erano esseri umani. Poi il cardinale decise per i portoghesi, chissà forse lo Spirito si era un po’ distratto.
    Battute a parte io immagino che il vescovo in questi momenti stia meditando sul che fare e gli auguro di cuore che lo Spirito non si distragga.

  15. carlo sacco scrive:

    Paolo, io mi sono riferito ai parroci provenienti dall’estero non tanto per la loro presenza che è evidente ma perchè ho notato-e forse qui mi posso sbagliare- ma vorrei sentire qualcuno di loro intervenire,che a loro comunque sono riservati ruoli secondari,ruoli rutinari nel dispensare le pratiche di fede,e non ruoli che li pongano a dirigere parrocchie di una certa entità. Non ci pongo veramente tanto l’attenzione ma non ne conosco uno che sia a dirigerne una. Non a caso ho parlato sarcasticamente ”di sub-imperialismo”, nel senso che le Parrocchie sono amministrate e dirette da preti italiani e agli altri viene affidato un ruole secondario. Mi posso sbagliare, non sono un gran osservatore di queste cose come sai, ma spesso anche nel piccolo ci può stare il grande, riferito alla società intera.

  16. pscattoni scrive:

    Prova a vedere la concentrazione. Qui non si parla del comune di Chiusi, ma della parrocchia di Chiusi Scalo.

  17. marco lorenzoni scrive:

    @paolo: Sinalunga, Torrita, Montepulciano hanno un numero di stranieri pari, molto vicino, o addirittura superiore a Chiusi (siamo in tutti i paesi citati tra il 12 e il 15% della popolazione, con punte del 20-25% nelle scuole, tantomche quei paesi hanno visto rescere e non calare la popolazione) ); in alcuni di questi paesi è più forte l’immigrazione italiana; nell’Amiata la disoccupazione e i fenomeni di degrado (droga, per esempio) sono più evidenti che a Chiusi. Se mai a Chiusi, essendoci una stazione di un certo peso, c’è, forse, un più frequente “sbarco” di persone sole, emarginate, disperate… ma c’è anche un tessuto sociale, associativo, informativo, volontaristico che ha saputo dare delle risposte e che opera anche fuori da Chiusi… Insomma a me non pare che Sinalunga o Abbadia siano realtà meno complesse di Chiusi Scalo. Un tempo, quando avevano un’economia praticamente monotematica, forse sì, adesso no. Per non parlare di Chianciano dove l’immigrazione è forte e di diversi tipi e in qualche caso è intrecciata con fenomeni come prostituzione, traffici illeciti, droga , riciclaggio… Chiusi non è l’ombelico del mondo, né una frazione di Gomorra (per fortuna). E non è nemmeno un angolo di paradiso . Solo un paese come gli altri.

  18. Purtroppo in molti guardano al trasferimento (NON IMMEDIATO) di Don Antonio con un occhio prettamente pratico senza guardare il cammino di fede e il percorso per lui riservato dal Signore e dal Vescovo; lo rispetto. Anzi, sono il primo a preoccuparmi, in parte, anche di questo.
    Per chi crede però c’è anche altro. E non spetta di certo a me, ne a nessun altro parrocchiano stabilire quanto sia giusto spostare Don Antonio o meno. Dove sta scritto che Chiusi si merita un parroco come lui, mentre Montepulciano no? Specifico il fatto che molto probabilmente Don Antonio andrà a ricoprire il ruolo di parroco ma sarà d’aiuto anche al Vescovo in mansioni che prossimamente ci verranno illustrate.
    Detto questo, credo che la vicinanza al Don sia un atto d’affetto straordinario ma che tale deve rimanere. Le prime parole di Don Antonio sono state appunto quelle di pregare per lui e di rispettare la scelta del Vescovo alla quale lui ha obbedito. Chi non prega, saprà sicuramente quantomeno rispettare la scelta.
    Il problema di integrazione è uno dei punti più critici di Chiusi Scalo, e in questo punto Don Antonio è stato eccezionale nel suo lavoro di tessitura tra noi chiusini e coloro che vengono da fuori. Spetta anche a noi ora prendere di petto la situazione. Dal comune, alle associazioni, fino ad arrivare al singolo cittadino.
    Continuare nella polemica della scelta porta al nulla; mettere in pratica ciò che ci ha trasmesso Don Antonio, quello si che sarebbe concreto.
    Infine, e qui chiudo, il Don me lo disse chiaro l’altro giorno: “non pensate di liberarvi tanto facilmente di me”….

  19. pscattoni scrive:

    @Carlo Sacco. Non so se te ne sei accorto ma ormai da alcuni decenni le parrocchie di questa diocesi (come moltissime altre) ha molti sacerdoti provenienti da altri paesi, soprattutto africani. Don Emilio, proveniente da Butembo, è con noi a Chiusi Scalo da decenni e da poco è parroco di Querce al Pino. Tutti noi ricordiamo don Romano che è stato molti anni con noi, poi tornato in Congi è stato un martire dell’orribile guerra fra tutsi e hutu. Ora il vice parroco don Giovanni è anche lui proveniente dal Kivu. Il problema non mi pare sia la mancanza di sacerdoti, quanto piuttosto di un sacerdote che sappia relazionarsi in una realtà così complessa come Chiusi Scalo.

  20. carlo sacco scrive:

    Vedo che ci sono due “correnti di pensiero” se così possiamo definirle”.L’una che tiene conto della problematica vista da un punto di vista più alto e generale corroborata e giustificata dall’obbedienza ai dettami dei vertici, l’altra, forse più timorosa che si crea problemi di continuità e di relazione e dice di volersi impegnare direttamente per la continuità proprio come segno di una eredità positiva e solo modo di andare avanti sui binari tracciati.
    La crisi vocazionale è parallela e il problema -ma me lo domando io che non sono di tale comunità- non potrebbe essere risolto in parte, dando più spazio ai pastori provenienti dal terzo mondo portatori di una esperienza anche diversa? Osservato dal di fuori tale problema mi sembra che sia anche quello fiduciario verso tali persone e quindi in maniera onnicomprensiva si comprenderebbe anche la necessità di fare del cambiamento una virtù. Semplicistico? Forse, ma oggi i messaggi occorre darli in maniera sempre più anticonformista accompagnati senz’altro dalla ragionevolezza. I casi di ”sub-imperialismo” interno sempre meno si addicono alla Chiesa ,e se non ci saranno nuove aperture vedrà scoppiare sempre nuovi bubboni al suo interno. Sbaglio o lo stesso Concilio chiedeva di non isolarsi nella splendida torre d’avorio?

  21. pscattoni scrive:

    Lo dico io perché l’ho studiata. In questo blog (e quello precedente) sono stati pubblicati dati che lo dimostrano. Dove sono in questa diocesi luoghi con una maggiore densità di stranieri rispetto a Chiusi Scalo ? Dove sono state fatte politiche di integrazione come quella verso la comunità rumena che è quella di maggior peso numerico.

  22. marco lorenzoni scrive:

    Anche a me dispiace che Don Antonio venga trasferito. L’ho già detto e scritto. Capisco lo “smarrimento” delle persone che gli sono vicine, soprattutto i più giovani che sono cresciuti con lui, intorno alla sua tonaca (in senso figurato). Evidentemente però il vescovo ritiene che ci sia bisogno di Don Antonio altrove… E non mi convince chi afferma che Chiusi Scalo è una realtà più complessa di altre… Chi l’ha detto? C i sono realtà nel territorio della diocesi dove la presenza di stranieri e pari o superiore a quella di Chiusi, dove i fenomeni di degrado e povertà, sono anche più frequenti, dove la disoccupazione è più elevata, dove l’associazionismo e le occasioni di aggregazione sono più deboli… Se poi Don Antonio dovesse essere destinato solo a sbrigare pratiche burocratico-gestionali nelle stanze della Curia, allora forse la scelta sarebbe davvero discutibile… Don Antonio non è stato e non è un “prete di strada” (come si definisce don Gallo, per esempio), è sicuramente uno che sa come si sbrigano le pratiche, ma nelle vesti di grigio funzionario non ce lo vedo e mi sembrerebbe sprecato

  23. pscattoni scrive:

    per Andrea Cappelloni. Ho cercato di spiegare perché secondo me quella di sua eccellenza Rodolfo Cetoloni, vescovo della diocesi di Montepulciano, Chiusi e Pienza, sia stata una decisione sbagliata. E’ un’opinione, basata sulla mia conoscenza della realtà di Chiusi Scalo in relazione a quanto è stato fatto dalla parrocchia in questi ultimi venti anni. Ho appena citato un passaggio della storia della Chiesa cattolica (la scelta di allontanare i gesuiti dalle ex reduciones spagnole, solo per dire che non aver preso in considerazione la situazione di un popolo di fedeli ha determinato conseguenze pessime. Ho citato quell’esempio perché magari utilizzarne altri molto più vicini a noi stoicamente e geograficamente avrebbe dato luogo a polemiche improprie sulla buona fede di sua eccellenza. Detto questo, poi, se invece di lasciare la giustificazione di quella scelta forse sarebbe stato più opportuno farlo di persona. Lo dico con il massimo rispetto, ovviamente.

  24. Per PAOLO SCATTONI: non ci conosciamo benissimo ma non metto in dubbio la tua intelligenza; quindi credo tu possa capire benissimo da solo che non tutte le realtà parrocchiali e diocesane riescono a svolgere al meglio il proprio compito; credo che noi tutti sottovalutiamo il lavoro di Don Antonio. Provo a spiegarmi meglio… noi siamo stati dei privilegiati. E’ un caso più unico che raro trovare un parroco di questa portata; questo però è servito, (più che altro lo spero), a far crescere tutti coloro che lo hanno affiancato in questi anni. Facendo parte di una Diocesi, se il Vescovo ha ritenuto che ci fosse bisogno di Don Antonio per continuare l’accrescimento sociale e spirituale della Diocesi stessa, dobbiamo essere contenti, perchè vuol dire che ha visto in Chiusi un esempio da seguire.
    Ripeto: Don Antonio, da buon prete, ha scelto l’obbedienza; avrebbe potuto anche rifiutarsi. Ma per non venire meno alla sua vocazione pastorale ha deciso per l’obbedienza.
    Non pensate che il Vescovo non abbia considerato il trauma che Chiusi inevitabilmente subirà. Proprio per questo il nuovo parroco sarà affiancato dal Don per un periodo medio-lungo. Il che non è una cosa scontata.

  25. pscattoni scrive:

    Caro Carlo (Sacco) permettimi di osservare in tutta amicizia. Il mio post voleva mettere in rilievo come che la decisione di trasferire don Antonio Canestri, parroco di Chiusi Scalo, non aveva tenuto conto, a mio modestissimo parere, della complessità della parrocchia che invece, sempre a mio modestissimo avviso, don Antonio ha interpretato con grande intelligenza e grande efficacia. Avevo poi portato ad esempio una delle tante vicende della storia della Chiesa cattolica dove aver trascurato le complessità locali abbia abbia determinato conseguenze non certo desiderabili da parte della Chiesa stessa.
    Ora poi si può disquisire a lungo sulle colpe della Chiesa nella sua opera di evangelizzazione, con riferimenti a vari regimi come quello del Vietnam del sud e magari quello attuale sui Montagnard. Posso dire che stiamo andando un po’ fuori tema rispetto all’attualità del fatto che volevo porre in discussione e per il quale la citazione voleva essere soltanto esemplificativa. Il che mi ricorda quel personaggio di Caterina Guzzanti, di segno politicamente opposto ovviamente, che intercala il suo argomentare con il tormentone: “E allora che mi dici delle foibe?” 🙂

  26. carlo sacco scrive:

    Si il parallelo adesso è più chiaro ma forse era chiaro anche prima.Mi fa sovvenire alla mente -il tutto condito in salsa moderna-i famosi villaggi strategici,attuati con la deportazione della popolazione del Vietnam del Sud,attuata dal regime di Thieu sotto la supervisione dei consiglieri strategici americani che tale iniziativa avevano partorito alla fine degli anni ’60 onde evitare l’infiltrazione nella società civile dei vietcong.La popolazione era deportata di forza dai villaggi e dalle città(il parallelo con l’azione della corona spagnola c’è) e chi controllava che tutto avvenisse nelle regole erano i rangers sud vietnamiti.Che i gesuiti non fossero schiavisti(dediti cioè al commercio degli schiavi)era vero a differenza dei portoghesi,ma le maniere coercitive le trovavano perchè è noto che di tutto tale processo ne erano i controllori.Erano religiosi e quindi non appartenevano a nessun ordine militare ma erano stati-anche in precednza- gli ”apriporta”per lo stabilimento in Asia ed in Africa delle potenze coloniali.(vedi soprattutto Cina)Ancora all’epoca ogni tanto erano oggetto di assalti da parte di quelle popolazioni che intendevano evangelizzare.Forse proprio tanti torti chi reagiva con la violenza non li aveva.

  27. pscattoni scrive:

    @Carlo Sacco. La corona spagnola aveva nella prima metà del ‘700 organizzato le cosiddette reduciones dove venivanoaccentrati gli indios in piccoli aggr3egati urbani. In Paraguai queste reduciones erano “gestite” dai gesuiti. Il popolo guaranì si dimostrò molto fiero delle proprie tradizioni e strutture di governo, che i gesuiti interpretarono innestandovi forme di modernizzazione come la musica e la stampa. Quelle strutture non prevedevano lo schiavismo. Quando con il trattato di Madrid 1752 quelle terre passarono ai portoghesi, per i quali lo schiavismo era elemento essenziale, i gesuiti furono allontanati e quelle comunità per sopravvivere rientrarono in gran parte nella foresta anche perché i religiosi inviati a sostituire i gesuiti non riuscirono a capire la complessità di quel sistema. Una lettura interessante potrebbe essere “The Guaraní under Spanish Rule in the Río de la Plata” di Barbara Ganson.
    Forse ora il parallelo è più chiaro.

  28. Paolo Scattoni scrive:

    Una notazione tecnica. Gli ultimi tre commenti sono scritti dallo stesso autore e per più di 3000 battute. Vorrei sottolineare che un dibattito che si era svolta in maniera fluente e anche molto interessante si è bloccato.

  29. carlo sacco scrive:

    Complimenti a Lorenzoni,talvolta poche parole chiariscono il senso della confusione valoriale che vive la nostra epoca e soprattutto quelle di non saper riconoscere le motivazioni delle disfatte politiche e saperne capire i perchè.E’ come un impossibilità strutturale,che d’accordo possa dipendere anche dalle persone come sono costituite dentro, ma dipende anche da un meccanismo analitico del quale le persone non sono più abituate a fruire.Ma è un indice di ciò che passa…il Convento.

  30. carlo sacco scrive:

    Paolo, c’è un passaggio che mi sfugge, probabilmente per mia non conoscenza di tale questione,ma come e cosa hanno fatto i gesuiti per favorire il riscatto sociale in quelle reduciones nel ‘700 ? Mi sembrava che il messaggio di Sant’Ignazio di Loyola fosse un po’ divergente da quello che poi ha rappresentato nelle terre di confine quello che l’amministrazione di tali direttive ha fatto verso le popolazioni indigene,soprattutto per quello che riguardava la gestione del lavoro e delle terre ed il freno del fermento delle rivoluzioni di quanto avvenne poi dopo nell’ 800 e del ‘900 con Pancho Villa e lo schierarsi poi col potente vicino nordamericano sia nel Messico stesso che in tutta l’America Centrale per perorarne la politica.Talvolta ci sono cose che mi sfuggono….dal momento che esiste sempre quel detto universalmente riconosciuto che doverosamente farebbe sì che la storia non venga letta a compartimenti stagni e che recita che l’oggi non è che la diretta conseguenza di ciò che è stato ieri….

  31. carlo sacco scrive:

    Una semplice riflessione da laico.Entro in una” comunità” che non è la mia,ma pur sempre presente nel territorio e con la quale dialogare e confrontarsi.Una comunità religiosa che accetta supinamente le direttive di un vertice che avrà si una visione più alta delle questioni e dei luoghi dove esiste più il bisogno non può far sentire il proprio peso rispetto a tali decisioni? L’insindacabilità e l’accettazione supina di ogni decisione, è un fatto democratico? Perchè il metro di misura non è quello dell’ascolto della base e di tenerne debito conto? Mi sembra che sia un ambiente dove regni l’assolutismo al quale si uniformano le decisioni dei sudditi e che a decidere siano poche persone.Come vivono i fedeli tale problema? Non mi si risponda per favore con il senso di umiltà e l’essere servi di una comunità più larga perchè se no si va in un terreno dove tutto è possibile.Il pastore si uniforma ai dettami dei vertici ma non a quelli degli amministrati.Che visione del mondo è? Scusate se mi sono permesso di chiedere una informazione in un terreno che direttamente non mi riguarda in quanto non credente,ma sono problemi e questioni che mi pongo osservando le cose.Se qualcuno me lo spiega scevro possibilmente da interpretazioni di natura religiosa,lo ringrazio qualunque sia la sua risposta,daltronde credo che le monarchie assolute qualche problema lo portino.Grazie.

  32. marco lorenzoni scrive:

    caro Paolo: non tutti vanno alla messa la domenica mattina… Chi non ci va l’ha appreso dal tam tam di facebook… (in ogni caso quella lettera è stata letta anche all’assembea di ieri sera da Massimo Benicchi e l’articolo di primapagina on line già ne teneva in qualche modo conto… ). Don Antonio, contento o no della decisione del vescovo, ha dichiarato la sua “obbedienza”, come deve fare ogni buon prete… Per la verità c’è stato un prete che ha scritto e teorizzato che in certi casi “l’obbedienza non è più una virtù”. Ma forse non è questo il caso. E quel prete la Chiesa non l’ha mai amato…

  33. Bravo Andrea Cappelloni!

  34. pscattoni scrive:

    @Marco Lorenzoni. Quella che circolava domenica sera non era una voce, perché come scritto sul post la notizia era stata data la mattina alla messa delle 11 con la lettura di un testo scritto che è stato in parte riportato.

  35. pscattoni scrive:

    @Andrea Cappelloni. Se è arrivato il momento dei laici non si capiscono allora le difficoltà delle altre realtà diocesane. Comunque il vescovo non è infallibile e chiudere la discussione con “ma ci sono realtà problematica” non mi sembra obiettivamente un argomento di qualche valore.

  36. Sarà dura, durissima… Ma per non trasformare in cenere tutto ciò che ha costruito lui, è proprio ora che bisogna mettere in pratica tutto ciò che ci ha insegnato. Dal percorso di fede, al dialogo con le altre realtà sociali del paese. Se la nostra splendida comunità parrocchiale sparisse con la partenza di Don Antonio, vorrebbe dire che ha fallito. E io sono convinto che non è così. Così come a livello nazionale, anche a livello locale è arrivato il momento dei laici. In più, anche se capisco che sia difficile da assorbire, Don Antonio non è nostro ma della Diocesi. E Chiusi fa parte di una Diocesi. Perciò è giusto che altre realtà parrocchiali in difficoltà possano beneficiare del lavoro di una persona come lui. Forza e coraggio.

  37. marco lorenzoni scrive:

    Caro Giglioni, cambiano i tempi… sono rare davvero le “occasioni di colloquio”… Forse anche te, come tanti, hai scelto le parrocchie e gli oratori sbagliati

    “Sembra quand’ero all’oratorio
    con tanto sole, tanti anni fa…
    quelle domeniche da solo
    in un cortile a passeggiar…
    ora mi annoio più di allora
    neanche un prete per chiacchierar… ”
    (Azzurro, Paolo Conte… te la ricordi?)

    basterebbe forse essere tutti un po’ meno parrocchiani e più “laici” dentro, ma è una fatica che i più non vogliono più fare…

  38. marco lorenzoni scrive:

    La notizia circolava già da domenica sera su facebook (alcuni ragazzi della parrocchia avevano cominciato il tam tam), ieri è uscita pure sul sito di primapagina che ha registrato un picco di contatti, ieri sera c’è stata un’assemblea all’Eden autoconvocata… Personalmente mi sono permesso – sempre su facebook – una battuta rivolta a mons. Cetoloni: “Compagno vescovo ci pensi bene, anzi, ci ripnsi, se può”. Sono convinto infatti che il trasferimento di Don Antonio aprirà problemi non da poco allo Scalo, su molti fronti. Pur non essendo un credente, né un frequentatore della parocchia (ma Don Antonio è un amico con cui parlo sempre volentieri) ho capito che nella chiesa si può discutere su tempi e modi, ma le decisioni prese non si cambiano. Se si considera che anche il parroco di Chiusi Città, padre Daniele, è in via di trasferimento, si profila un bella rivoluzione nella chiesa chiusina, certamente non indolore.

  39. Paolo Giglioni scrive:

    Sinceramente, apprendo dal tuo intervento che Don Antonio dovrebbe assumere altri incarichi in altre diocesi e questo egoisticamente mi dispiace, perchè per me la presenza di Don Antonio è stato un motivo di integrazione a Chiusi Stazione, quando i primi tempi provenivo da Chianciano Terme. E’ diventata una consuetudine sbirciare se intravedo Don Antonio, quando vengo allo sportello della banca dove ho il conto corrente ! Sarà poco per definire la figura di Don Antonio ma è un aspetto importante per me, è un gesto istintivo che raffigura una certezza ed una possibilità di colloquio che ultimamente per me diventa sempre più raro !

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