Il declino di un territorio

di Luciano Fiorani

Stretti nella morsa della crisi e dei tagli tutti i comuni della zona mostrano chiari segni di decadimento e declino. Il nostro più di altri, ma anche per quelli meglio attrezzati si profilano tempi bui. E’ il venir meno di un modello che ha visto nel tempo una diffusione sul territorio di servizi e opportunità economiche.

Credo siano sufficienti pochi esempi per capire la portata dello smottamento di cui siamo spettatori.

La stazione di Chiusi solo una decina anni fa permetteva ai cittadini di queste zone di raggiungere facilmente non solo le più importanti città nazionali ma anche diverse capitali estere. Il traffico merci che vi si svolgeva, il numero di persone che ci lavoravano, i servizi che avevano la ragion d’essere per la mole di lavoro che la stazione generava sono rapidamente svaniti nel nulla. In attesa della completa separazione tra la vecchia linea e la direttissima con la scomparsa degli ultimi intercity il nodo ferroviario di Chiusi vive la sua lenta agonia. Ormai solo Roma e Firenze (e Siena) sono a portata di treno ma con tempi di percorrenza pressochè raddoppiati solo rispetto a pochi anni fa. Il danno è evidente e a pagarlo non sono certo solo i chiusini.

L’ospedale di Nottola nato in sostituzione dei tanti piccoli ospedali della zona vive forse il suo periodo più nero; e senza aver mantenuto le promesse di un servizio sanitario eccellente rischia, se non di scomparire, di diventare un insignificante ospedale di campagna. Per gli abitanti della zona già ora gli ospedali di riferimento sono sempre più quelli di Siena e Perugia. Le distanze si allungano e crescono i rischi in caso di urgenze serie. Svanito anche l’ospedale unico del Trasimeno per decine di migliaia di abitanti di queste zone anche il servizio ospedaliero si è trasformato da una certezza in un problema serio.

Il tessuto economico, composto in prevalenza da piccole e piccolissime imprese che fino a poco tempo fa garantivano occupazione e reddito ad una fascia non trascurabile di popolazione, sotto i colpi della crisi appare sempre più lacerato tanto che non pochi sono quelli che cominciano a recitare il de profundis del settore manifatturiero della zona. Da cosa verrà sostituito? All’orizzonte non c’è nessuna soluzione credibile.

Da questo generale depauperamento non si sono salvate nè le scuole nè il paesaggio. E anche turismo, cultura ed enogastronomia che potrebbero essere l’ancora di salvataggio, allo stato attuale, sono solo delle ipotetiche potenzialità perchè prive di solide strutture e standard qualitativi (eccezion fatta per una parte della produzione di vino nobile) ormai indispensabili.

Questi accenni solo per dire che non si tratta del piagnisteo di qualche menagramo ma che siamo immersi in una difficilissima fase di trasformazione. La crisi ha accelerato la fine di un modello proprio mentre scontiamo l’improvvisa scomparsa del nostro zio d’America (il Monte, per chi non l’avesse capito).

Senza politche territoriali che travalichino i confini dei singoli comuni la vedo dura anche per quei paesi che sembravano messi meglio (e non è il nostro caso). Ma se si continua con la poltica del tappabuchi o peggio ancora a far finta di niente in poco tempo impareremo sulla nostra pelle cosa vuol dire “zona depressa”.

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5 risposte a Il declino di un territorio

  1. “Nelle categorie economiche”, Marco. Solo in quelle.

    Uno degli enormi problemi tutti italiani è che dal dopoguerra l’economia è stata incentrata su mattone ed asfalto. E’ quella la catogoria economica che ancora conta e che oggi cerca la sopravvivenza coi modi (certo un po’ rozzi) che ha sempre usato.

    Non importa se tutta l’Italia s’impoverisce, purché si facciano i lavori del campo sportivo, le “inutities” della stazione e, ovviamente, l’alta velocità franco-italiana.

    (La Francia è in questo un po’ simile all’Italia, tant’è che il cemento armato è invenzione francese)

  2. marco lorenzoni scrive:

    “solo qualche settimana fa ci si doveva confrontare con coloro che vedevano nel mercato dell’edilizia residenziale la la chiave di volta dell’uscita dalla crisi, è facile comprendere quanto siamo lontani dall’obiettivo.”, scrive Paolo, bene. Ma adesso, dopo qualche settimana c’è qualcuno colà dove si puote (cioè nelle stanze del Comune , al vertice del Pd e dei partiti di maggioranza, nelle categorie eoconomiche) che ha cambiato idea e comincia a pensare che il mattone non sia l’unica via d’uscita? Io non li ho sentiti. Dipende da me?
    ..

  3. marco lorenzoni scrive:

    Chiusi è stata per decenni e lo è ancora “fuori dalle normative” previste per le zone depresse, mentre paesi vicini magari più vivaci, sono ancora inseriti in quei parametri comunitari… Era considerata una città ricca, per reddito procapite e altri indicatori. Ora è in declino – checché ne dica la propaganda di regime – non slo per le fabbriche che chiudono (e non è cosa da poco anche se tutti fanno finta di niente), ma anche perchè si sta inesorabilmente impoverendo anche il tessut dei servizi che ha fatto a fortuna di questo luogo: la stazione sta diventando marginale, l’ospedale territoriale pure, le banche occupano la metà dei dipendent che avevano negli anni ’80, le poste non fanno più servizi che facevano dieci anni fa; il trasporto merci si ferrovia è scomparso,i supermercati sono stati surclassati dagli iper dislocati lungo le grandi arterie (Querce al Pino, Bettolle, Corciano,,,) … anche il locale a luci rosse non tira più come una volta. Chiusi somiglia sempre più alle mine town americane che esaurita la vena aurifera, passavano dallo svilupo frenetico alla desolazione delle città morte… Per avere un’idea non servono letture complicate: basta Tex Willer…

  4. carlo sacco scrive:

    Come a far finta di niente ? Notti Blu,Tria Turris,Fiera di Chiusi,Mercatini Etruschi, Servizi di visita alle Tombe Etrusche, Inaugurazione di posteggi,Contrade e Pensilone,Centro Naturale Commerciale, Campi Sportivi,Piano Strutturale.E tutto questo come si chiama se non si chiama sviluppo ? La risultante è una: o c’è qualcosa nel mio discorso che non va bene oppure c’è dentro a chi ha guidato e guida Chiusi.Il dramma è che chi applaude pensa alle Notti Blu ed a qualche aperitivo e chi dovrebbe dire qualcosa di diverso non lo dice.Fra poco saremo come Radicofani dopo l’avvento della nuova Cassia, un paese morto.Tagliati fuori dall’Italia se pur avevamo tutte le strutture e condizioni per starne al centro,esercizi pubblici in netto calo, tre bar,popolazione in diminuzione,i giovani a lavorare fuori,solo pensionati e fatiscenza architettonica e morale.Continuiamo a pensare ai marciapiedi che debbono legare Chiusi con la Stazione,al mattone destinato ad ospitare nessuno,ad investire una valanga di soldi come sono stati investiti nel tempo passato in opere inutili.Siccome penso che molti non siano d’accordo su tale bilancio,allora mi si dica se quanto fatto in passato abbia portato nuova occupazione,perchè è da quella che si dovrebbe ripartire.Ma i direttori dei lavori sono altri, sia nel passato che adesso. La risposta è già data.

  5. Paolo Scattoni scrive:

    Secondo me non è tanto una politica sovra comunale, comunque necessario, a determinare la chiave di una nuova fase di sviluppo, quanto piuttosto le caratteristiche di un nuovo modello di sviluppo. Se si pensa che solo qualche settimana fa ci si doveva confrontare con coloro che vedevano nel mercato dell’edilizia residenziale la la chiave di volta dell’uscita dalla crisi, è facile comprendere quanto siamo lontani dall’obiettivo.

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