Bianca, figlia di Bartolomeo Cappello e Pellegrina Morosini, nacque a Venezia nel 1548. All’età di 10 anni perse la madre, ed il padre, sempre più impegnato nella vita pubblica veneziana, si risposò poco dopo con Lucrezia Grimani, nipote del doge Antonio Grimani e sorella del patriarca di Aquileia Giovanni Grimani. La vita della giovane dovette essere piuttosto solitaria.
Reclusa in casa poteva guardare la vita che scorreva al di fuori della sua prigione dorata attraverso le finestre che si affacciavano sul “rio de le becarie”. Un giorno, però, sempre da quelle finestre, vide anche un giovane del quale fece poca fatica ad innamorarsi. Si trattava di Pietro Bonaventuri, figlio di Zenobio Bonaventuri, quest’ultimo un fiorentino che lavorava alle dipendenze della famiglia dei banchieri Salviati. Nella notte tra il 28 ed il 29 novembre 1563, quando aveva solo quindici anni, Bianca e Pietro fuggirono rifugiandosi a Firenze. La fuga suscitò molto clamore a Venezia, anche per il rango sociale di Bartolomeo Cappello, che dopo essere stato membro della Quarantìa e Uditore Vecchio, era stato nominato Provveditore sopra i Dazi.
Il padre non si diede per vinto e tramite gli ambasciatori veneziani, si rivolse a Cosimo I de’ Medici, Duca di Toscana, per ottenere la restituzione della figlia e la condanna di Pietro Bonaventuri. I due giovani vennero convocati alla presenza del Duca il quale non prese alcun provvedimento, forse per la buona impressione che gli diedero e per la determinatezza con cui Bianca si difese. A Firenze si sposarono ed andarono ad abitare in un palazzo in piazza San Marco. Nel 1564 ebbero una figlia alla quale diedero il nome della nonna materna, Pellegrina. Nel 1564 il Duca Cosimo I de’ Medici abdicò in favore del figlio, Francesco I, che nel 1565 sposò Giovanna d’Asburgo, Arciduchessa d’Austria, figlia minore dell’Imperatore Ferdinando I e quindi sorella dell’Imperatore Massimiliano II.
La vita matrimoniale di Francesco I sembra non fosse delle più felici. Le cronache dell’epoca descrivono la moglie Giovanna, scialba, noiosa ed insignificante, tanto fisicamente che nel carattere. Culturalmente non all’altezza del marito che era un personaggio dai più svariati interessi. Bianca, al contrario, era famosa per la sua bellezza e raffinatezza. Aggiungiamo anche che Giovanna non era stata in grado di dare un erede maschio alla dinastia dei Medici. Tra il 1566 ed il 1575 partorì sei femmine che, per il diritto dinastico, erano escluse dalla successione granducale. In realtà anche Bianca era delusa dal marito e ben presto si accorse che non era quello che le aveva fatto credere a Venezia. Conducevano una vita di stenti, ben lontana da quella brillante cui aspirava e che il marito Pietro non era in grado di darle.
Bianca e Francesco I un giorno si conobbero, s’innamorarono e ben presto divennero amanti, e neppure tanto segreti, perché della loro relazione adulterina si spettegolava in tutte le corti europee. Bianca, in seguito, venne assunta come dama di corte ricevendo un appannaggio che le consentiva una vita comoda ed agiata mentre il marito, evidentemente compiacente, ottenne un lavoro come intendente al guardaroba. Pietro, che i fiorentini avevano soprannominato “cornadoro”, forse per consolarsi della moglie che lo tradiva, o forse perché non aveva mai rinunciato alla sua vita sregolata, aveva nel frattempo intrecciato una relazione con una certa Cassandra Bongiovanni Ricci.
Una mattina del 1572, Pietro, venne trovato morto per la strada. C’è chi sostiene che sia stato ucciso da alcuni sicari mandati dai parenti della Ricci, desiderosi di vendicarsi e soprattutto di proteggere il cospicuo patrimonio di famiglia; ma c’è anche chi suppone la possibilità di un coinvolgimento diretto dello stesso Granduca. Per averla vicina, Francesco fece ristrutturare per lei un’edificio nei pressi della residenza granducale di palazzo Pitti. Un forte oppositore di Bianca fu il fratello di Francesco I, il potente cardinale Ferdinando de’ Medici, che cercò in ogni modo di ostacolare la relazione tra i due. Nel 1576 Francesco ebbe un figlio, Antonio, le cui origini vennero mantenute nascoste dagli intrighi di palazzo. Non era figlio della moglie Giovanna d’Austria, e forse nemmeno di Bianca. Molto più probabilmente fu solo il frutto di una relazione tra il Granduca e una serva di Bianca, poi, in qualche modo, “adottato” dalla coppia.
D’altra parte far passare per proprio figlio il neonato avrebbe fatto buon gioco a Bianca: il Granduca avrebbe potuto ripudiare la moglie, incapace di dargli un erede maschio, e legittimare il piccolo Antonio alla successione dinastica. Ma il cardinale Ferdinando intervenne e non ebbe difficoltà a far passare Antonio per figlio illegittimo, garantendogli però un appannaggio di tremila scudi all’anno e numerosi possedimenti in cambio della rinuncia a qualsiasi pretesa dinastica. Un anno dopo nacque Filippo, l’atteso figlio maschio di Francesco I e dell’arciduchessa Giovanna d’Austria. Quest’ultima poté godere poco della presenza del figlioletto, infatti, con la sua ottava gravidanza, nel 1578, morì subito dopo il parto. Francesco e Bianca poterono dunque sposarsi.
Il matrimonio avvenne quasi segretamente, nella cappella privata di palazzo Pitti, dopo circa due mesi dalla morte di Giovanna. La celebrazione pubblica, invece, fu fatta il 10 giugno 1579, nella basilica di San Lorenzo in Firenze. A regolarizzare la loro unione fu padre Masseo Bardi(1), della nobile famiglia fiorentina dei Bardi, frate minore osservante di San Francesco, confessore dello stesso Granduca, ed eletto poi il 29 maggio 1581 vescovo di Chiusi. L’erede maschio, Filippo, doveva essere una presenza scomoda tra la coppia, ma non lo fu per molto. Infatti, causa la sua salute sempre più cagionevole ed incerta, morì nel 1582, quando non aveva ancora compiuto il quinto anno d’età. A matrimonio avvenuto, con il quale a tutti gli effetti Bianca Cappello era divenuta Granduchessa di Toscana, il Senato veneziano si affrettò a dichiarare Bianca «…vera et particolar figliuola della repubblica…», accantonando il processo contro di lei che era ancora in corso dal tempo della sua fuga da Venezia. Addirittura, il 12 ottobre 1579, le venne data in dono una collana di diamanti ed un diadema granducale.
Nella corte toscana Bianca seppe esercitare grande influenza, forse addirittura maggiore di quella del Granduca, che spesso si disinteressava delle questioni di Stato, preferendo rinchiudersi nel suo studio a fare esperimenti alchemici. Lei non si dimenticò mai della propria famiglia, facendo grandi donazioni al padre e, quando ancora non era sposata con il Granduca, donò al fratello Vittore un palazzo nel centro di Venezia. L’8 ottobre 1587 Bianca, assieme al marito, si trovava nella villa medicea di Poggio a Caiano. Si era svolta una battuta di caccia durata alcuni giorni, in un’area agricola coltivata a risaia terreno fertile per il propagarsi della malaria, alla quale era stato invitato anche il cognato, cardinale Ferdinando. La sera stessa, subito dopo cena, Francesco si sentì male lamentando forti dolori addominali accompagnati da febbre alta e conati di vomito. Il giorno di poi anche Bianca venne presa da febbre alta e intermittente, con gli stessi sintomi del marito. L’agonia dei due coniugi si protrasse per una decina di giorni.
Il Granduca Francesco I morì il 19 ottobre e Bianca l’indomani, giorno 20. Il cardinale Ferdinando de’ Medici, che si era sempre opposto all’unione del fratello con Bianca, non volle che essa venisse inumata nella tomba di famiglia, ma dispose che il suo corpo venisse seppellito in un «carnaio comune» e fece anche rimuovere da tutti i luoghi pubblici lo stemma della Granduchessa. I medici di corte Baccio Baldini, Pietro Cappelli e Giulio Cini, che si incaricarono dell’imbalsamazione del corpo di Francesco, asserirono che la morte fu causata da «terzana maligna», ovvero «malaria perniciosa». Tuttavia, presto cominciarono a girare voci circa un presunto avvelenamento della coppia. Fiorirono storie fantasiose sull’avvelenatore: la più accreditata vedeva nel cardinale Ferdinando l’autore del misfatto, altre attribuivano a differenti personaggi la responsabilità del duplice omicidio effettuato con le modalità più disparate, compresa la classica torta avvelenata.
In realtà il cardinale non aveva necessità di togliere di mezzo il fratello per assumere il potere granducale, in mancanza di eredi legittimi che avrebbero potuto sbarrargli la strada, sarebbe divenuto Granduca comunque. Potremmo anche aggiungere, però, che la stirpe dei Medici aveva già dimostrato di essere di salute debole e cagionevole.
Nel 1585, il vescovo di Chiusi Masseo Bardi, fece costruire la cella campanaria che sorge tuttora sopra la torre del duomo, un tempo torrione del sistema difensivo chiusino. La leggenda dice che tale costruzione gli fu imposta per penitenza, perché alla corte romana non piacque affatto, anche se pur regolarmente celebrato, il matrimonio tra Bianca Cappello e Francesco I Dei Medici, che il frate fiorentino benedì. In realtà le cose andarono in tutt’altro modo.
Fu lo stesso Granduca, in segno di amicizia e gratitudine verso frate Masseo, a scrivere al Papa per ottenere dalla Santa Sede il Vescovado di Chiusi, ed il Pontefice esaudì il desiderio di Francesco I. Ecco cosa diceva la lettera in proposito(2): “[…] Sendo gravemente malato il Vescovo di Chiusi [Salvatore Pacini], et per l’età sua molto pericoloso, vengo a supplicarla con ogni mio affetto maggiore ^caso che vacasse^ a farmene gratia per Fr. Masseo de Bardi mio Confessore dell’ordine Osservante di San Francesco, il quale è d’età di 70 anni, di vita essemplarissima, pieno di lettere greche et ebraiche, bonissimo Theologo, et ha hauto molti governi nella sua Religione da regger quel peso con molto servitio di Dio et satisfattione universale […]”.
1) Della nobile famiglia fiorentina dei Bardi, fu frate minore osservante di San Francesco e professore di teologia. Venne eletto vescovo di Chiusi il 29 maggio 1581. Costruì la cella campanaria sulla torre di San Secondiano. Nel 1585 venne eletto come suo coadiutore (con diritto di successione) il nobile fiorentino Lodovico Martelli. Il 18 maggio 1581 il consiglio generale deliberò di spedirgli un ambasciatore per pregarlo di intervenire presso il nunzio apostolico, al fine di ottenere per il duomo gli argenti lasciati dal vescovo Pacini. Un suo ricordo si ha nel santuario della Madonna di Mongiovino, allora diocesi di Chiusi e poi di Città della Pieve. Il vescovo fu guarito “da orribile e spaventosa cancrena nella faccia che lo rendeva deforme”. Proprio per questo risiedé poco a Chiusi. Morì nel 1597 a Firenze. Fu sepolto nella cattedrale di Chiusi e lasciò alla stessa i suoi beni. (da “La diocesi di Chiusi”, di Enrico Barni e Giacomo Bersotti – 1999)
2) Estratto della lettera inviata dal Granduca Francesco I Dei Medici al Pontefice Gregorio XIII , al secolo Ugo Boncompagni, datata 22 gennaio 1581. (da “the Medici Archive Project”)