Dall’Istituto Luce la “Festa del Grano” a Chiusi in una estate di 79 anni fa.
Era il luglio 1933, mio padre che, se fosse ancora in vita, oggi avrebbe festeggiato 87 anni, aveva 7 anni…
A Chiusi si festeggiava la Festa del Grano.
Un raro documento che sono riuscito a scovare negli archivi, che da poco sono on-line, dell’Istituto Luce:
Invito gli amici che mi scrivono sulla mail a fare uso del blog. Detto questo, l’ironia non è su San Rocco – ci mancherebbe -, ma su Voghera che ha fatto letteralmente la (doppia) “festa” al santo 🙂
La condivisione alimentare è data dall’occasione del mangiare l’oco (con scarsa soddisfazione del protagonista :-)), quindi non i classici “pane, cipolla e vino” o “pane e pugno di olive”: la “tribbiatura” era un’occasione che sottolineava alleanze e strategie sociali (anche matrimoniali). Curiosamente, era patrimonio comune anche di popolazioni distanti (Italia e Alentejo in Portogallo, secondo quanto testimonia José Saramago in “Viagem a Portugal”), segnate forse dalla stessa dominazione (romana). Mi informerò sull’esistenza di feste similari in Spagna (granaio dell’Impero romano) e di cui non ho notizia e in Francia (la Provenca).
Una festa antichissima non dovrebbe essere.
Si appoggia in parte sulle tradizioni cultuali romane, dovrebbe però essere legata a quei riti della fertilità che ebbero buona ripresa nel 700, quando il ritorno della peste restaurò devozioni sopite (in particolare a San Rocco).
Rammento che San Rocco è un medievale (nato a Montpellier, morì forse nel 1327 o nel 1379, c’è una discordanza in quanto afferma la fonte agiografica – “morto di martedi 16 agosto 1327”, data che corrispondeva alla domenica -), pellegrino, ne è attestata la presenza in questa zona (Acquapendente), e, guarito dalla peste, morì in carcere a Voghera – che peraltro vanta la più antica festa in suo onore (dal 1391). Ogni battuta ironica diventa lecita.
Per concludere, la trebbiatura e la battitura erano comunque momento di comunanza di uomini e di strumenti, occasione alimentare privilegiata (si mangiava la carne) e quindi fu facile farne una festa “di regime”
Paolo, io non voglio trasformare nulla, ma dal momento che tu ti chiedi se fosse stata una tradizione che veniva da secoli addietro oppure se era un mezzo di propaganda del regime, mi sembra che ti abbia risposto tenendo a significare che lo stesso regime aveva trasformato le antiche tradizioni in etica sociale del momento per servirsene, così come lo era nello sport, nella scuola,nelle adunate e nella coreografia.Tante persone oggi non sanno questo perchè la scuola non gliel’ha insegnato ed anche se superficialmente- dato la sparzio a disposizione-ritengo che detti temi possano essere oggetto di discussione.Non c’è nulla di male e non capisco perchè non lo si debba fare.Analizzare il fatto fine a se stesso non porta quasi mai a tirare le fila delle conclusioni se non si inquadra in un contesto e nei valori vigenti in tale spazio-tempo.I trattati di storia o di economia politica sono altra cosa e spesso oggi giorno tale separazione è quella che più si sta affermando sia nella scuola che nell’analisi dei fatti.
Troppa gente! Troppa gente!
@ Carlo Sacco. Non capisco perché tu debba trasformare ogni commento in un’occasione per un trattato di storia o di economia politica. Il mio commento era molto semplice. Se la festa del grano era una tardizione popolare consolidata allora varrebbe al pena capirne le origini. Se invece era un pretesto per consolidare l’ideologia antiurbana del fascismo allora il quadro è diverso. Una domanda per gli storici locali. As simple as that.
Paolo,ritengo che non sia facile usare dei distinguo in certi casi dal momento che il regime doveva contemplare tutto, e anche i capi locali, podestà compreso, erano evidentemente assoggettati a tale regola. L’etica del regime su quel piano non faceva sconti, e la civiltà contadina era messa in evidenza in maniera molto appariscente. Alla Muffa verso San Fatucchio ricordo il muro di una casa nel quale c’era scritto a firma del Duce:” Rimanendo rurali sarete sempre più vicini al mio cuore”. Era propaganda, ma per coloro che hanno vissuto quei periodi dimenticare non è facile. Era l’ Italia contadina che era servita a fare la carne da macello nelle trincee del Carso nel 1915-18 per la gloria di Casa Savoia distogliendo così milioni di uomini al pericoloso fermento sociale dei primi anni d’affermazione dell’idea socialista. Finita la macelleria sociale iniziò il ventennio nel quale masse umane furono mobilitate per la guerra che decisa a tavolino era destinata a scoppiare contro la Spagna repubblicana, i fronti popolari francesi, l’Inghilterra, Francia, America e Russia. E’ sempre il popolo che paga un prezzo durissimo con tragedie, miseria fame e sottosviluppo.
Potrebbe essere interessante approfondire. La festa del grano derivava da una tradizione antica? Come noto il fascismo avversava la crescita urbana ed esaltava i valori della ruralità. Nel caso che fosse stata una festa di lunga tradizione il filmato dell’Istituto Luce era strumentale, volto a piegare l’iniziativa alla propaganda politica. Se invece la festa era di nuova istituzione allora il filmato potrebbe essere stato sollecitato dalle autorità locali.
Ottima scoperta. Preziosissimo tassello nel mosaico della storia di Chiusi.
Bellissimo. Purtroppo sono riuscito a riconoscere solo Don Nello Mannelli che faceva l’assistente al sacerdote che dava la banedizione. Si può riconoscere qualcun altro?