Sono di ritorno da un breve periodo di ferie in Piemonte, tra regge Sabaude e vallate montane, castelli e ruscelli, dighe e laghetti, cime maestose, abbazie e certose di un fascino unico, ma anche ristorantini dove si può ancora riconoscere la tipicità delle cucina, dove non ci si cura di studiare nomi esotici alla polenta e dove pare si sia capito che i turisti sono in gran parte “affamati” di tipicità e non di tante balle e fronzoli da raffinati ristoranti gastronomici, almeno per quanto ho potuto verificare.
Dico questo perché mi pare che dalle nostre parti questo tipo di ristoranti, che potrebbero anche contribuire a caratterizzare un borgo antico, abbiano perduto molta della tipicità che invece dovrebbe contraddistinguerli.
Insomma, entrando in un ristorante o trattoria di paese è più facile sentirsi proporre un piatto con :“ foglietti di pasta saporiti con crema di gamberi rosa al caramello” e nel caso vedersi portare quattro quadrucci di pasta Barilla con una salsina insapore, in un piatto da mezzo metro di diametro riempito con quattro ghirigori di caramello da budino, che non: “ pici al sugo di nana” o all’aglione, tanto per esemplificare (ho un po’ estremizzato?) . Che tristezza …, soprattutto al momento del conto, che nel primo caso prevedrà senz’altro anche il compenso per “l’opera d’arte di uno chef di rango” o che si ritiene tale !?
E pensare che qualcuno, forse per passare da intenditore raffinato, di fronte a certe “deviazioni” della cucina, poi si mostra anche soddisfatto! Difficilmente però poi ritorna, anche se esistono pure i seguaci della moda ad ogni costo ed i masochisti.
Secondo me la tipicità di un borgo o di una zona, affinché i turisti ci vadano, magari ritornino e si facciano portatori di quella formidabile pubblicità che è il passaparola, non può prescindere dall’offerta culinaria, tenendo conto per di più,dell’esistenza di un turismo enogastronomico che raccoglie un numero sempre crescente di appassionati e che va anche alla ricerca dei sapori e delle tradizioni autentiche della cucina popolare e contadina, quella legata alle stagioni ed ai prodotti della terra, nonché dei vini del territorio, magari a prezzi accessibili.
Chi si propone di organizzare questo settore economico dovrebbe impegnarsi, con tatto, per cercare di coordinare anche questo tipo di attività, pur senza intervenire nelle libertà imprenditoriali.
Un’altra cosa che ho trovato abbastanza interessante, sono alcuni itinerari suggeriti in piccole guide, che non sono solo gli inflazionati “strada del vino” e simili, ma percorsi anche differenziati che valorizzano la particolare la vocazione turistica delle zone e mai si concentrano su una sola cittadina.
Anche a Chiusi potrebbe tornare utile inserirsi in maniera più concreta in diversi percorsi turistici, individuati con centri vicini e/o meno, anche al di fuori degli ambiti regionali, sfruttando tutte le sue potenzialità, unite a fare sistema con quelle degli altri luoghi.
Mi pare ben più difficile altrimenti realizzare uno sviluppo in questo settore, dove la concorrenza (non solo locale) è sempre più agguerrita e competitiva, in caso contrario potremo contare solo sul turista occasionale o di passaggio, non su un flusso concreto e costante, anche se… ci si può pure accontentare.
In occasione dell’attesa delle discussioni sul programma , poi avvenute solo sul blog, mi cimentai in alcune ipotesi che, almeno in parte, ritengo tutt’ora valide, inoltre, alle mie se ne aggiunsero anche altre.
Tutte cose logicamente da valutare in una visione complessiva, magari partendo dal progetto turistico della regione, senza trascurare il fondamentale contributo della locale pro loco, per sviluppare una progettazione territoriale del turismo che cerchi di utilizzare al meglio territorio, arte cultura, natura, enogastronomia, coinvolgendo attori privati e pubblici, popolazione e imprese in un piano comune e partecipato.
Chiudo con un suggerimento a chi si trovasse a passare senza fretta dalle parti di Torino, perché ad una quarantina di chilometri verso la val di Susa, posizionata lungo il cammino di S. Michele che va da Mont Saint Michel a San Michele al Gargano passando appunto per la Sacra di San Michele, da oltre un migliaio di anni, pur tra varie vicissitudini, splendore ed abbandoni, c’è un’abbazia che, se non la si è ancora vista, merita sicuramente una deviazione (vedete il link e fatemi sapere).
Le capesante e il tonno del lago di Chiusi sono conosciuti in tutto il mondo: un po’ meno il “corallo”. Scherzi a parte, Dirk, Maya, Roy e Estefanìa e gli altri avranno apprezzato roba più “ordinaria” ma quella che citi la potevano trovare anche a casa loro.
Roberto (Donatelli) ho sempre ritenuto che un buon “capo”, non è quello che “sa tutto lui”, ma quello che sa ascoltare e prendere il meglio dai collaboratori, integrandolo alla propria “scienza”, in poche parole che sa ascoltare. Purtroppo questa pare sia una qualità rara.
Non dico questo perché si dovrebbe dar credito alle mie proposte da dilettante allo sbaraglio, ma di suggerimenti, cui si fa orecchie da mercante, via via ,mi pare ne siano arrivati, anche da questo blog!
Filippo (Baglioni) grazie.
Concordo pienamente con lo scopo che, ce l’abbiano o meno in origine, si dovrebbe dare alle varie sagre, sfruttandone il richiamo che hanno, anziché criticarle “perché rubano clienti ai ristoranti”; a Chiusi non se ne fanno, ma ci sono altre occasioni simili.
Gran bell’articolo! Certo poter ragionare (fare) sarebbe interessante anche grazie a questi spunti…. diciamo che la specialità tipica è stata assorbita dalle varie sagre e sagrette che nel territorio son nate come funghi….e nel bene e nel male contribuiscono a mantenere un minimo di “tradizione”….. ma non è certo solo questo lo scopo delle feste di paese ma quelle di attrarre e magari far ritornare l’ospite in momenti più tranquilli e poter quindi far girare l’economia in maniera sostenibile senza dover per forza spennare il malcapitato d turno….con un prodotto a km x……
Grazie per il ‘Carlo’……proposte concrete come la sua a Chiusi non è che vengano recepite, o magari discusse….hanno altre cose a cui pensare!
Enzo, (Sorbera) pensa che alcuni giorni indietro, su uno dei giornaletti con la cronaca locale, c’era una pubblicità di un ristorante che si definisce: ” un locale caratteristico ….. ricavato nelle volte tufacee di origine etrusca… offre ai suoi ospiti piatti preparati con cibi di stagione …… propone specialità come(ne cito solo due) capesante rosolate, il suo corallo ridotto su passatina tiepida di piselli e fiori di zucca croccanti, …. medaglione di tonno ai semi di papavero…. ” Poi, ripeto, ognuno ha i suoi gusti rispettabilissimi, ma per favore si eviti di definire queste sciocchezze cucina tradizionale!
Donatelli, se può, per favore eviti quel sig. Giulietti, è sufficiente Carlo, poi le chiederei di precisare la sua domanda, non vorrei fraintendere, grazie
Due amici tedeschi e altri amici messicani stanno letteralmente “strippando” con pici e brustico. Proprio ieri sera (davanti a qualche specialità vinicola locale :-)) parlavamo delle varietà regionali nelle modalità di preparazione dello stesso piatto (in particolare, la porchetta – che i messicani fanno in una maniera diversa). Sono interessati a tutto quanto “commestibile”. La Sacra di San Michele vale da sola il viaggio. Non sapevo dei suoi collegamenti con il Gargano. Si impara sempre qualcosa.
Sig. Giulietti, ma dove vive a Chiusi, o sulla Luna?