Quale commercio per la nostra realtà?

di Daria Lottarini

Nelle pagine della cronaca toscana di Repubblica del 16\06\2011 c’è un articolo in cui si parla del commercio, in particolare della previsione di ampliamenti e insediamenti di nuovi centri commerciali e outlet nella zona di Firenze.

L’argomento non ci riguarda da vicino, però può essere uno spunto per riflettere sulla situazione del commercio locale.

Non voglio fare una valutazione sull’effettiva utilità dei centri commerciali, si è detto che andavano a soddisfare le esigenze dei consumatori aumentando l’offerta commerciale e la concorrenza, sebbene riguardo agli outlet ci sarebbe da ridire sulla reale qualità dei prodotti offerti rispetto alla quantità dei negozi e degli spazi occupati. E’ risaputo che le grandi firme hanno delle linee di produzione riservate esclusivamente al mercato outlet, quindi non è propriamente merce in saldo.

La questione affrontata nell’articolo, e che a me sembra interessante , è quella della creazione di nuovi spazi commerciali che vanno in contrasto con la salvaguardia del negozio tradizionale insediato dentro i centri abitati.

Che se ne vuole fare?

Certo raggiungere un centro commerciale è comodo, li fanno apposta vicino agli svincoli autostradali, e poi c’è sempre il parcheggio.

Ma non considerare che queste scelte porteranno a uno svuotamento e impoverimento dei centri abitati mi pare assurdo.

Alcune iniziative per il commercio, nella nostra realtà, sono state fatte, ma complice la crisi economica e un regime fiscale inadeguato (non voglio apparire la solita commerciante che si lamenta delle tasse ma chi conosce gli studi di settore sa quanto spesso siano inadeguati) il commercio non si risolleva.

Penso che una strada su cui ragionare è anche quella di una pianificazione degli insediamenti commerciali sul territorio e uno studio sulle esigenze di mercato (indagine su quali prodotti merceologici inserire).

E’ vero che la liberalizzazione delle licenze favorisce la concorrenza ma ho dei dubbi sull’effettivo miglioramento del servizio commerciale. Altra cosa su cui è necessario investire è l’innovazione delle conoscenze professionali degli addetti coordinando le professionalità che i vari enti e scuole del territorio possono offrire.

Nel settore alimentare sarà importante lavorare sulla filiera corta.

La strada principale da percorrere è quindi quella della programmazione e confronto che investa tutti i protagonisti del settore (enti pubblici associazioni ect.) soprattutto chi nel commercio opera tutti i giorni.

Non voglio far finta che la questione di Querce al Pino non abbia influenzato le mie considerazioni, ma ancora prima di quella preoccupazione viene la reale necessità di un confronto continuo sui problemi del commercio che hanno bisogno di interventi più strutturali che estemporanei.

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2 risposte a Quale commercio per la nostra realtà?

  1. Noi miseri consumatori di chiusi città, non pretendiamo mica la “movida” tutta la notte, ci basterebbe essere sicuri di poter trovare un bar aperto per prendere un gelato la sera dopo le 21.

  2. lucianofiorani scrive:

    Penso che le questioni sollevate da Daria (Lottarini) siano cruciali per il settore, ma continuo a ritenere che senza una crescita complessiva della nostra città il commercio continuerà ad avere vita grama.
    I centri (lo scalo e soprattutto Chiusi città) devono tornare a popolarsi e tutta la città ha bisogno che torni ad avere maggiore appeal; quindi più cura in tutto (dalla viabilità, ai parcheggi, al verde, alle iniziative frequenti).
    Credo anch’io che con le manifestazioni estemporanee, seppur lodevoli, si risolva poco.
    Occorre un lavoro serio e di lungo periodo.

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