Le Torri di Beccati Questo e Beccati Quello

di Fulvio Barni

Per i chiusini l’uso delle acque delle Chiane è sempre stato di estrema importanza ed è proprio per questo che ogni anno, nel giorno in cui la chiesa festeggiava la domenica in Albis, vale a dire la domenica successiva alla Pasqua, il “Sindico generale” del Comune di Chiusi si recava “nel più chiaro delle acque” per confermarne la giurisdizione.

La cerimonia, prima verso i confini del territorio e lago di Montepulciano e poi verso quelli di Castiglione del Lago e Città della Pieve, avveniva alla stessa maniera dello “Sposalizio delle acque” che Venezia effettuava sul mare. Da noi, però, non c’era il “Bucintoro”, ma una semplice barca dal quale “il Tubicine”, dopo aver fatto squillare le chiarine, dichiarava solennemente la potestà di Chiusi sulle acque delle Chiane ed il Sindico gettava nel lago un anello d’argento dorato.

Questa usanza, ricordata nelle “Memorie e Riformagioni” dell’archivio comunale chiusino, come “antica e consueta”, ci fa pensare che esistesse già intorno al 1240. Di fatto, un diploma di Ottone IV del 13 dicembre 1209, confermava al vescovo di Chiusi, Gualfredo: “ogni diritto che hai sul fiume Chiani, come ti era stato riconosciuto giustamente avere fin dal tempo dell’imperatore Enrico sesto”. Successivamente, sempre tramite due diplomi, uno del 1219 e l’altro del 1230, anche Federigo II ribadì tali privilegi.

Una descrizione particolareggiata di come si svolgesse la “Desponsatio Clanorum”, però, l’abbiamo soltanto a partire dal 19 aprile 1444, data la mancanza di libri precedenti. Nei secoli successivi le furiose liti per la possessione delle Chiane con i comuni limitrofi, da sempre avvenute, non ebbero fine e si placarono soltanto quando i confini cominciarono ad alterarsi causa le terre emerse dovute alla bonifica.

Cessarono del tutto soltanto quando il nostro lago, il 27 maggio 1859, fu venduto allo “Scrittoio delle Regie Possessioni” del Granducato di Toscana. Unici testimoni “oculari” di queste interminabili diatribe giunti sino a noi, sono le antiche torri di Beccati Questo e Beccati Quello. Della torre in territorio umbro, un tempo appartenuta al marchesato di Castiglione del Lago, meglio conosciuta come Torre Beccati Quello (qualcuno dice Beccati Quest’altro), possiamo dire ben poco, se non il fatto che sia di modesta fattura, a differenza dell’altra, Beccati Questo, in territorio toscano, (oggi visibile soltanto per due terzi: la parte nascosta è stata interrata dalle colmate della bonifica) un tempo sotto la giurisdizione della Repubblica Senese e dalla stessa fatta innalzare.

La sua elegante forma ottagonale con merlature è lì a ricordarci, se ce ne fosse ancora bisogno, l’innegabile senso artistico che avevano i senesi in tutte le loro espressioni. Per avere notizie più dettagliate sulla “nostra torre”, però, dobbiamo ricorrere, come al solito, agli scritti e ricerche del nostro compianto concittadino don Giacomo Bersotti. E così veniamo a sapere che quella attuale sostituì una precedente costruzione ormai cadente, per non dire in rovina. Il contratto di vendita della città di Chiusi e del suo territorio, che Sforza Attendolo da Cutignola concluse con i senesi nel 1416, ce lo conferma.

Si trattava, in realtà, di una piccola fortezza con annesso edificio, usato quasi esclusivamente come posto di guardia e punto di riscossione delle gabelle sul passo delle Chiane. L’altro edificio, situato in territorio umbro, era usato da Perugia e Città della Pieve per gli stessi fini. Venuti definitivamente in possesso della città di Chiusi, i senesi, nel 1426, commissionarono l’edificazione di una nuova torre da costruirsi, come si legge nel manoscritto, al “passo del Bagnolo”.

La cura per l’esecuzione dell’opera fu affidata a Biagio di Francesco Dini. Gli architetti progettisti furono il maestro Santo di Simone e il maestro Antonio del Terna. Il maestro Androccio da Montepulciano, nel 1427, insieme ai suoi operai, demolì il fatiscente fabbricato e portò a termine la struttura della nuova torre. E per rimarcare ancor di più quanta importanza davano gli antichi chiusini al loro lago, sappiate che nel 1491, e successivamente nel 1551, si opposero duramente alla sua “esicatione”, (bonifica) perché lo ritenevano la maggiore fonte di entrata per le finanze pubbliche e l’unico sostentamento per le famiglie che vivevano con la caccia, la pesca e la raccolta di erbe palustri.

E questo accadeva nonostante l’impaludamento delle terre sottostanti la città, avesse ormai raggiunto uno stadio tale da rendere la vita degli abitanti quasi impossibile. A testimonianza di quanto detto basti leggere alcuni versi che Fazio degli Uberti(1), nella metà del 1300, dedica a Chiusi nella sua opera “ Il Dittamondo”:

Mi disse: Vieni. E trassemi ver Chiusi,

Come andava la via di lama in lama.

Quivi sono volti pallidi e confusi,

Perché l’aere e la Chiana è lor nemica.

Sicché gli fa idropici e rinfusi.”

Capitolo X pag. 232 libro III

 

1) n. prob. a Pisa 1305 o 1309- m. prob. a Verona dopo il 1367. Fu un poeta didascalico fiorentino del XIV secolo. L’opera per cui Fazio gode di una modesta fama è proprio “Il Dittamondo”, al quale vi lavorò dal 1346 alla morte, senza completarlo. Si tratta di un lungo Poema in cui racconta di un viaggio da lui intrapreso per percorrere tutto il mondo allora conosciuto, dopo un incontro con la figura allegorica della Virtù, in compagnia del geografo romano Gaio Giulio Solino, che gli offre la possibilità di descrivere i panorami e le particolarità delle città visitate.

 

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