Per la docenza di un corso che non si terrà, avevo raccolto parecchio materiale. In più riprese, pubblicherò quella parte che mi sembra più interessante e allineato con le finalità “localistiche” del blog. Trattandosi di un corso con una diacronicità dal medioevo ai giorni nostri, i materiali presentati saranno, per forza di cose, eterogenei – dato che non ci sarà l’unitarietà della lectio – e però credo che potranno essere ugualmente utili. Inoltre, destinati a un blog, saranno giocoforza, (spero non troppo) sintetici .
Nella seconda metà del XII secolo si assiste ad una doppia rivoluzione: da un lato, abbiamo uno sviluppo economico piuttosto tumultuoso e l’affermarsi di un sistema sempre più basato sullo scambio e sul commercio (tant’è che storici come Fanfani e Sapori dateranno proprio in questo periodo la nascita del capitalismo), dall’altro lato abbiamo un processo di gerarchizzazione della società che si determinerà nei tre ordini che ritroveremo immutati più o meno fino alla Rivoluzione Francese (i Guerrieri, i Produttori e i Chierici).
Questo ordinamento si basa su una diseguaglianza essenziale che fonda la nobiltà (guerriera, sostanzialmente) sia come depositaria della “forza” – economica, militare, potenza sociale, ecc. -, sia come depositaria di caratteristiche specifiche che la distinguono come “cortese”. In questo senso, per es., le lingue europee hanno un significato comune declinato nei vari modi: arm, chudy, pauvre, pauper, pobre, poor, ecc., e che stanno tutti a indicare nel “povero” un soggetto socialmente debole contrapposto all’idea di noblesse, mentre in opposizione a cortese incontriamo l’idea di “villano”.
Tutto questo meccanismo trova la sua forma di riflessione nel romanzo cortese. Se la letteratura è una maniera di interpretare e comprendere il mondo, il romanzo cortese è una peculiare modalità di porre e risolvere il rapporto tra l’individuo in quanto tale e in quanto membro di una comunità e la società cui appartiene. Detto in altri termini, traduce il tentativo di adattare un ideale – l’ideale feudale – e la realtà sociale – quella del XII secolo – poiché, conviene sottolinearlo, il romanzo cortese o arturiano o cavalleresco che si voglia chiamare, nasce tra (ed è destinato a) un certo tipo di umanità e quindi di società di cui esprime l’ideale.
E’ un tipo di struttura che si costituisce come espressione di una visione di sè e del mondo tipica dell’aristocrazia. Più che riflettere la società che descrive, esso ne fa parte. La nobiltà, cioè, cerca di elaborare un modello di umanità universale e insieme esemplare e riservato al proprio uso e consumo. E’ il romanzo che dovrà dare alla nobiltà questa visione o, meglio, immagine ideale di sé. Ed è mediante il romanzo che riusciamo a ricostruire la struttura caratterizzante l’ordine sociale. E’ una struttura mossa su un doppio registro: il registro individuale – preoccupazione relazionale tra sé e l’altro – che si gioca sul tema dell’amore, e il registro sociale – tra gruppi sociali e individui e/o tra gruppi e gruppi – che si inscrive sul tema della carità.
Si badi, non è la carità intesa come virtù teologale (che pure viene perseguita come “ideale”), e neppure un sistema di scambio come conosciamo dagli studi di Mauss, ma un sistema di scambio simbolico (e asimmetrico) che mantiene tutte le caratteristiche di strutturazione e rinnovo del legame di vassallaggio. Questo sistema vige a lungo e ne troviamo un esempio – che devo alla segnalazione di Stefano Bistarini – in una tradizione chiusina.
I documenti datano al 1549 e parlano della tradizione di un ballo (durata almeno fino alla fine del 1600), e altre manifestazioni di carattere “paliesco”, da tenersi nel periodo della Pasqua Rosata, cui partecipavano dodici fanciulle appartenenti ai ceti poveri ed estratte a sorte dalle autorità tra le possibili “aventi diritto”. Pasqua Rosata è il giorno di Pentecoste, chiamato così per via della tradizione che faceva piovere dall’alto, durante la messa, una pioggia di petali di rose, simbolo della discesa dello Spirito Santo. Il premio veniva assegnato alla migliore ballerina e consisteva in “uno paro di scarpe pavonazze”. Sembra però che ci fosse una donazione più consistente, tale da funzionare da dote per consentire alla “fortunata” di potersi sposare. Molto interessante è la forzatura dogmatica che si trova in un documento:
“A dì 6 Giugno 1672 – Congregati li Signori Gonfaloniere e Priori nel loro solito palazzo con l’assistenza del Signor Capitano di Giusuzia per solennizzare la festività della nostra Avvocata Santa Mustiola, in questo secondo giorno di Pentecoste, diedero li soliti doni all’infrascritte fanciulle ad imitazione delli dodici frutti dello Spirito Santo:
Prima fanciulla, nominata dal Signor Capitano di Giustizia;
Seconda fanciulla, nominata dal Signor Gonfaloniere;
Terza fanciulla, nominata dal Signor 2° Priore;
Quarta fanciulla, nominata dal Signor 3° Priore;
Quinta fanciulla, nominata dal Signor 4° Priore;
Sesta fanciulla, nominata dal Signor Giudice di Palazzo;
Settima fanciulla, nominata dal signor Cancelliere delli SS.ri Priori;
Ottava fanciulla, nominata dal Signor Camerario di Pecunia;
Nona – Decima – Undicesima e Dodicesima fanciulla, nominata da lì due Signori della festa con due doni per ciascuno, che in tutto sono dodici = 12”
– Archivio Storico della Città di Chiusi – Memorie e Reformazioni – Libro XXVII(CC).f.100v
Lo Spirito Santo reca sette doni e nove frutti. Evidentemente insufficienti per tutte le dodici donzelle, si pensò bene di forzarlo un pochino.
Davvero interessante! Un paio di scarpe color porpora e una dote… cosa può desiderare di più una fanciulla?
Grazie Fulvio. La segnalazione di Stefano Bistarini (e l’invio, da parte sua, di un bel po’ di materiale, di cui lo ringrazio ancora) è nata da una conversazione casuale. Chiederò a Luciano la tua mail per poter chiederti alcune notizie su una “istitutio” che probabilmente Chiusi ha conosciuto solo marginalmente o, almeno, non in forma codificata come Firenze. A presto.
Articolo interessantissimo. Volevo solo aggiungere che per chi volesse approfondire l’argomento, per quanto riguarda la tradizione chiusina della Pasqua, o Pascuccia Rosada, ed altre feste della chiesa nei secoli passati, esiste il dettagliatissimo libro di Don Giacomo Bersotti “Feste e folclore nella storia e nelle tradizioni di Chiusi”.