La Bonifica…dopola Bonifica(III)

di Roberto Sanchini

I problemi idraulici del resto sussistevano ancora in tutta la Valle, come dimostrò la disastrosa alluvione del 7 novembre 1896, che inondò la pianura da Frassineto alle Chianacce, interessando i comuni di Foiano, Monte S. Savino, Lucignano e Marciano.

Alla base interventi non completati e insufficiente manutenzione dei corsi d’acqua e delle opere esistenti.

Quello che si lamentò all’epoca fu la mancanza di fondi per gli interventi idraulici, che occorreva invece garantire in modo organizzato e costante perché si agiva su un sistema che, pur funzionale, era stato costruito dall’uomo forzando la natura.

Inoltre, come era accaduto all’indomani della manomissione dell’argine di separazione, ci furono strascichi giudiziari, perché i Budini Gattai, proprietari di Montecchio, citarono il Prefetto di Arezzo per il risarcimento dei danni subiti dalla loro azienda nell’alluvione a causa della trascurata manutenzione dei fiumi.

Com’è possibile che una macchina potente e apparentemente perfetta come quella che in nemmeno un secolo aveva trasformato il volto della Val di Chiana in quegli anni avesse già accumulato un deficit di funzionamento tale da far addirittura insorgere contenziosi fra i proprietari e le Autorità civili?

Che cosa era cambiato nel frattempo?

I costi economici dell’Unità d’Italia, militari e sociali, erano stati rilevanti, per cui vennero subito a mancare, o comunque ad essere insufficienti, le risorse statali destinate alla manutenzione e alla difesa del suolo; anzi, almeno per la parte toscana della Valle, la vendita a privati delle proprietà granducali sottrasse al territorio anche parte di quelle da esso prodotte che in quelle fattorie nel recente passato erano state reinvestite a fini generali di miglioramento e tutela ambientale.

In ambito normativo intervenne la legge del 20 marzo n. 2248 sulle opere pubbliche.

Essa affidò al Governo la suprema tutela sulle acque e demandò le competenze territoriali agli Uffici provinciali del Genio Civile, che per la Toscana significava un passo indietro rispetto alla direzione centralizzata del Corpo degli Ingegneri granducale del 1825.

Nell’Allegato F introdusse poi la distinzione tra le opere idrauliche di 1° Categoria da eseguire esclusivamente dallo Stato, e quelle di 2° Categoria da eseguire in consorzio tra lo Stato, la Provincia e gli altri interessati.

Per la Val di Chiana toscana la sua attuazione con regio decreto del successivo 6 giugno fu rivoluzionaria e fonte di un lungo conflitto istituzionale, perché le sue opere idrauliche furono classificate di 2a categoria, salvo quelle delle Bozze Chiusine, prevalentemente ancora dibonificazione” e non di riordino idraulico.

Tale classificazione significava infatti accollare una quota consistente degli oneri di manutenzione e di miglioramento all’ente locale Provincia ed ai proprietari riuniti in consorzio, quando nel passato la politica dei grandi lavori pubblici, in particolare strade e bonifiche, era stata addirittura una scelta deliberata del governo granducale mirante a creare investimenti e occupazione per combattere i fenomeni dicarestìae di miseria indotti dagli altissimi prezzi dei generi alimentari.

La provincia di Arezzo contestò il decreto di classificazione e quello successivo del 28 marzo 1868 di sua conferma. La vertenza si chiuse nel dicembre 1876 con un parere del Consiglio di Stato a Sezioni riunite che respinse il ricorso, anche se nell’occasione riconobbe che le opere straordinarie avrebbero dovuto essere regolate da leggi speciali, una volta condotti a termine i progetti esecutivi.

Leggi speciali ci furono, nel 1865, nel 1875 e nel 1881, ma, esauriti i fondi, il rifinanziamento di quest’ultima avvenne solo nel 1898, sì da far risultare lentissimii lavori complementari di bonifica.

Nella Valdichiana romana e nella Val di Tresa, aldilà dell’Argine di separazione, il trapasso fu più morbido, perché qui esisteva già dal 1833 il Consorzio idraulico di Città della Pieve, prodotto dello scioglimento e della trasformazione della Pontificia Prefettura delle Acque risalente a quell’anno.

Da tempo, dunque, i proprietari e gli altri possessori dei relativi terreni posti ai piedi delle colline e in pianura si erano abituati a pagare la c.d. “tassa di scoli”.

Va da sé che l’istituzione dei consorzi idraulici di 2a categoria, se da un lato responsabilizzava la proprietà fondiaria nella manutenzione dell’ambiente e nel contempo rastrellava risorse private per integrare quelle pubbliche, dall’altro esponeva la gestione degli interventi ad egoismi e particolarismi, aumentando il peso degli interessi dei proprietari più influenti e acuendo le difficoltà di sintesi degli interessi coinvolti.

Tutto questo in contemporanea col defilarsi dello Stato centrale dalla gestione di un territorio dove esso non vantava più interessi diretti di natura patrimoniale e che inoltre – la notazione vale soprattutto per la zona di Chiusi e di Città della Pieve – aveva perso la sua peculiare importanza strategica non trovandosi più sulla frontiera.

Inoltre proprio la presenza sotto Chiusi dell’Argine di separazione aveva fatto sì che questo territorio si ritrovasse, allora come oggi, diviso in due distinti consorzi e avesse a riferimento autorità idrauliche diverse e autonome.

Sparita una frontiera vigilata da truppe, il Grotton Grosso divenne allora un confine teoricamente ancor più invalicabile per un’amministrazione razionale e coordinata di questa parte della Valle, tanto più che lo strumento dei concordati o concerti fra stati e loro organi deputati, che qui aveva trovato applicazione anche nel 1820 e nel 1844 per introdurre correttivi e miglioramenti in corso d’opera al Concordato del 1780, ovviamente non era più praticabile.

Sulla minore efficacia dei nuovi strumenti di gestione, soprattutto ai fini della concertazione territoriale, pesavano infine la vendita e la parcellizzazione delle proprietà granducali e, nel versante dell’ex Stato Pontificio, di quelle ecclesiastiche, dopo le leggi 7 luglio 1866, n. 3036, di soppressione degli Ordini e delle Corporazioni religiose, e 15 agosto 1867, n. 3848, per la liquidazione dell’Asse ecclesiastico, che avevano indebolito notevolmente quell’unità d’interessi fra i titolari dell’azione di governo territoriale e la proprietà fondiaria che era stata alla base dell’azione di bonifica.

Sin qui la lettura in chiaro-scuro delle vicende che in Val di Chiana segnarono il trapasso dagli stati preunitari al Regno d’Italia, liberale, borghese, ‘piemontese’…

È una lettura peraltro settoriale, che trascura ad esempio come prima dell’Unità d’Italia sarebbe stato impensabile che le ragioni di questo poco popoloso comprensorio a cavallo fra Toscana e Umbria potessero prevalere contro gli interessi di potenti lobby senesi e fiorentine quando il Ministero dei Lavori Pubblici andò a valutare i progetti per la congiunzione tra la ferrovia Centrale Senese e l’Aretina e scelse quello che prevedeva la realizzazione del tratto Tuoro-Chiusi (divenuto poi Terontola-Chiusi).

Il ‘miracolo’ fu infatti reso possibile dal Consorzio costituitosi fra i comuni di Chiusi, Città della Pieve, Paciano, Panicale, Castiglione del Lago, Sarteano, Cetona, San Casciano dei Bagni e Fabro e dall’azione influente del parlamentare perugino Coriolano Monti.

Anche la critica relativa agli effetti delle privatizzazioni post-unitarie sulla tutela idraulica del territorio non può disconoscere le concrete ragioni economiche di far cassa che la contingenza imponeva al nuovo Stato e altresì non considerare che prima o poi scelte analoghe sarebbero state decise anche dai governi toscano e pontificio, se mai fossero sopravvissuti ai moti risorgimentali.

È ovvio che completati i processi di bonifica lo Stato non poteva più accollarsi se non in modo marginale gli oneri della manutenzione dell’ambiente ‘risanato’ (“redento”) da cui ora i privati proprietari traevano profitto.

Non per nulla un consorzio idraulico era già stato costituito nella Valdichiana romana, dove la bonifica era più avanzata; non per nulla il problema di far contribuire i privati nella Valdichiana toscana non si era ancora posto solo perché la proprietà prevalente era demaniale e le reali Fattorie già reinvestivano parte consistente delle risorse prodotte in manutenzione ambientale.

Anche la vendita e la parcellizzazione del patrimonio granducale non sarebbero tardate ad avvenire, completata la bonifica.

Del resto già nel 1789 la fattoria del Bastardo era stata venduta a più proprietari nonostante l’opposizione degli affittuari e l’alienazione in lotti della fattoria di Dolciano, le cui colmate – si affermava – erano terminate, rientrava anch’essa nei programmi di Pietro Leopoldo (“La fattoria di Dolciano in Valdichiana va alienata spezzatamente”), tanto che il relativo iter fu interrotto soltanto dalla sua ascesa al trono imperiale l’anno seguente.

Inoltre, in campo idraulico, il nuovo Stato seppe servirsi di funzionari di alto profiloscientifico e forte impegno civile, come nel caso del Possenti.

Dobbiamo semmai riflettere sui rischi di un fenomeno, l’urbanizzazione del fondovalle, storicamente post-unitario, conseguente all’arrivo della ferrovia a sua volta agevolato da una bonifica nata per l’agricoltura e per difendere dalle inondazioni le grandi città.

L’immagine dell’alluvione di Chiusi Scalo del 7 ottobre 1937 sia un monito.

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Una risposta a La Bonifica…dopola Bonifica(III)

  1. Paolo Giannotti scrive:

    Siamo sicuri che l’ultima immagine risale al 1937? Sembra molto più recente. Non sarà l’alluvione degli anni 60?

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