Sotto gli occhi degli altri

di Enzo Sorbera

Garcin, il personaggio maschile di Huis clos di Sartre, a un certo punto esclama (scena V): “Le bronze … (Il le caresse.) Eh bien, voici le moment. Le bronze est là, je le contemple et je comprends que je suis en enfer. Je vous dis que tout était prévu. Ils avaient prévu que je me tiendrais devant cette cheminée, pressant ma main sur ce bronze, avec tous ces regards sur moi . Tous ces regards qui me mangent … (Il se retourne brusquement.) Ha ! vous n ‘êtes que deux ? Je vous croyais beaucoup plus nombreuses. (Il rit.) Alors, c’est ça l ‘enfer. Je n’aurais jamais cru … Vous vous rappelez : le soufre, le bûcher, le gril… Ah ! quelle plaisanterie . Pas besoin de gril : l’enfer, c’est les Autres.” (J.-P. Sartre, Huis clos, Pièce en un acte, Ed. Gallimard, Paris, 1947; scene V, p. 89) *

Tous ces regards qui me mangent: questa sensibilità individuale rispetto allo sguardo altrui nasce relativamente tardi nella cultura occidentale. Colpito da interdetto, per l’antichità romana è solo lo sguardo del condannato: chi era destinato alla fustigazione mediante le verghe recate dai Littori, appeso all’arbor infelix a capo coperto veniva battuto fino a morte.(Tito Livio, Historiarum ab urbe condita libri, 1.26; si vedano anche le note di F. Cordero, Criminalia, Laterza, Bari 1985). Sottratti allo sguardo fascinante del reo, homo sacer, si può assistere tranquilli, adempiendo il proprio dovere visto che comunque ogni condanna dev’essere eseguita pubblicamente.

Nei romanzi cortesi, non si è mai da soli (l’esserlo denota uno stato particolare di separazione dalla comunità come la malattia o l’erranza cavalleresca): Artu, normalmente circondato da “trentemil chevaliers” (Lai du cor), si apparta per fare il salasso – faccenda privata al sommo grado: c’è in ballo la ferita al corpo regale e relativa expositio sanguinis – e lo assistono non meno di cinquecento tra i notabili di corte più “stretti” (Erec et Enide). Come vedremo in altri interventi, sono sottratte allo sguardo pubblico le donne della nobiltà: a loro sono destinate stanze e appartamenti dedicati, scatenando tutta una serie di rêveries tipiche del desideratum maschile. Dante, per poter lamentarsi in pace, si isola “…mi giunse tanto dolore, che, partito me da le genti, in solinga parte andai a bagnare la terra d’amarissime lagrime. E poi che alquanto mi fue sollenato questo lagrimare, misimi ne la mia camera, là ov’io potea lamentarmi sanza essere udito; e quivi….” (Vita Nova, XII, p.8), ma, in genere, tutta la vita ordinaria si svolge sotto gli occhi degli altri. Questo comporta tutto un rituale del decoro (l’onestà medievale) che, mentre vieta l’esposizione del corpo nudo (si è nudi solo quando destinati al supplizio: la honte de la charette è una delle prove di Lancelot per la liberazione di Guinèvre), insieme, comporta una serie di manifestazioni esteriori che garantiscano e portino all’immediata riconoscibilità. Al proposito, è illuminante la novella di Sercambi, De Simplicitate di Galfo Pilicciaio.**

Inoltre, tutta questa “pubblicità” porta alla definizione di un sistema di segni e segnalazioni particolarmente complesso e destinato alla comunicazione d’intesa. Ma ci torneremo.

E se nella Germania da cui proviene Felix Faber (Felix Schmid si chiama questo frate da Ulm) abbiamo l’esposizione allo sguardo altrui dei bisogni corporali – Norimberga, ad es., presentava una peculiare struttura per l’evacuazione dei bisogni corporali face to the river, che si sarebbe incaricato di far pulizia; ma, senza andare troppo lontano, basta fare un giro per uno qualsiasi dei nostri centri storici medievali -, nell’Evagatorium, in cui offre le proprie raccomandazioni ai pellegrini diretti in Terra Santa, il nostro frate Felix manifesta tutto il proprio disagio (siamo già nel 1480). A bordo della nave che raccoglie, stipati, i pellegrini, si può fare di tutto per ingannare il tempo e fra’ Felice descrive ed annota.

Però, “talvolta succede, durante la navigazione, che venga a soffrirsi una grande difficoltà (…) particolarmente quando occorra dare corso all’opera della natura sia (nella forma) di necessità della vescica che di pulizia del ventre (ventris purgationem), cose per le quali qualsiasi impedimento è molestissimo; per dirla in rima: maturus stercus est importabile pondus (lo sterco maturo è peso insopportabile). Dirò poche parole sulla maniera di urinare e cacare in nave. Ciascun pellegrino ha, vicino alla propria cuccetta, un orinale, recipiente fatto di terracotta, dove può sia urinare che vomitare. Dato che gli spazi per così tanta gente (pro tanta multitudine) sono stretti e oscuri, e, visto il movimento continuo che si fa, succede raramente che detti orinali siano svuotati all’alba. Talora qualcuno, ch’è spinto ad alzarsi da un bisogno urgente (forte aliqua necessitas cogit), passando, rovescia cinque o sei vasi, cosa che produce un fetore insopportabile (ex quo causatur foetor intolerabilis). Di mattina, quando i pellegrini si alzano e il loro ventre chiede perdono (et venter suum beneficium postulat), tutti salgono sul ponte e si dirigono a prora, dove, da ambo i lati dello sperone, sono sistemati i gabinetti”.

Possiamo immaginare quali “sanitari” corredassero il bagno.

Riprendiamo ad ascoltare il frate.“Ogni tanto là davanti si forma una coda di tredici o più persone che aspettano il loro turno per sedersi e non è imbarazzo ma rancore che si manifesta se qualcuno si attarda più del dovuto.[…] Di notte, accostarsi ai gabinetti è un’impresa molto complicata a causa della quantità di gente sdraiata e addormentata. Chi deve andarci, è costretto a scavalcare quaranta e più dormienti e, ad ogni passo, ne incontra uno, ad ogni gradino rischia di calpestare qualcuno, o, scivolando tra i gradini, rischia di piombare addosso a qualcuno che dorme. Se nel passare sfiora qualcuno, subito si levano insulti (maledictiones in prompu habet). Chi non ha paura e non soffre di vertigini (Si quis autem non esset timorosus et vertiginosus) può andare a prua arrampicandosi sui bordi della nave, spingendosi di corda in corda (et se de fune ad funem trahere), cosa che ho fatto spesso anch’io, correndo rischio e pericolo. Si può anche, uscendo dai boccaporti, passare da un remo all’altro: non è impresa da paurosi perché, sedendosi a cavalcioni sui remi, è pericoloso e ai marinai non fa piacere. Ma è con il maltempo che le difficoltà diventano considerevoli, quando i gabinetti sono continuamente sommersi dall’acqua (loca secreta continue sub fluctibus operta) e i remi ritirati sulle panche. Andare di corpo nella tempesta significa rischiare di bagnarsi da capo a piedi; è per questo che parecchi si spogliano e lo fanno nudi. In queste condizioni il pudore soffre parecchio, con il risultato di eccitare non poco le parti vergognose. Chi non vuole farsi notare, va ad accucciarsi in altri posti, insozzandoli e scatenando urla e litigi e perdita di stima per gente che sia stimabile. Altri ancora riempiono i recipienti vicino alle loro cuccette, cosa antigienica, che appesta i vicini ed è sopportabile solo se si tratti di malati, con cui è gran merito la pazienza (cum quo merito patientia esta habenda): non potrei raccontare in breve quanto ho dovuto sopportare da un vicino malato.”

E il nostro prosegue con una serie di consigli sulla necessità di evacuare anche per prevenire eventuali stipsi, ma con attenzione e prudentia perché troppo purgarsi fa correre rischi anche peggiori della constipatio. Cfr. Fratris Felici Frabri, Evagatorium in Terrae Sanctae, Arabiae et Egypti peregrinationem, vol. 1, Stuttgart 1843, cap. 139, Difficultas in operae naturae eundo ad secessum in galea, et remedia, et de quibusdam aliis gravaminibus.

* “Il bronzo… (l’accarezza). Bene, ecco il momento. Il bronzo è là, lo contemplo e capisco che sono in inferno. Vi dico che era tutto previsto. Avevano previsto che mi sarei messo davanti a questo caminetto, premendo la mia mano su questo bronzo, con tutti questi sguardi su di me. Tutti questi sguardi che mi mangiano…(Si volta bruscamente). Ah! Non siete che due? Vi credevo parecchio più numerose. (ride). Allora, ecco qui l’inferno. Non l’avrei mai creduto… Vi ricordate: lo zolfo, il rogo, la graticola.. Ah, che scemenza! Nessun bisogno di graticola: l’inferno, sono gli altri”. Trad. mia (ignoro l’esistenza di traduzioni in italiano di questo classico sartriano).

** Le novelle del Sercambi e l’edizione della Vita Nova di Dante sono disponibili su www.liberliber.it

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Una risposta a Sotto gli occhi degli altri

  1. carlo sacco scrive:

    …..e come disse ”Il Negus” di Chiusi quando da ubriaco col motom cadde e rimase dentro la spinaia: ” se non vo’ a casa a prende la roncola, da qui unn’ esco….”

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