<Si può fare uno spettacolo sul sangue e su una stagione cupa come fu quella degli “anni di piombo?”>. Si sono domandati Primapagina e Collettivo Semidarte.
Ci hanno provato inventando e realizzando lo spettacolo <Bianco, rosso e nero> presentato sabato 27 al Mascagni alle 10.30 per le scuole e alle 21.15 per il pubblico tutto. Ne è venuto fuori un bel lavoro di teatro – documento che racconta quegli anni, più o meno dal ’68 al ’78, pieni di <passioni, speranze, ma anche di violenza, morte, delusione ..> e di come loro, i giovani di quegli anni, li hanno vissuti e li hanno discussi nelle <case, nei collettivi studenteschi, nelle scuole>. La visione è chiaramente di parte, ma non più di tanto, e soprattutto è sincera e ardita, in particolare quando si avventura in congetture molto verosimili e ragionevoli tra le pieghe della storia che pochi o nessuno hanno raccontato.
Efficaci sono state le aperture sulle ricadute sul nostro territorio dei grandi eventi nazionali come l’attentato alla casa del popolo del Moiano ed i blitz della polizia tra i fiancheggiatori delle brigate rosse ad un tiro di schioppo da Chiusi Scalo. Grazie al testo di Marco Lorenzoni sono stati appropriati gli agganci culturali al pensiero di Pasolini, Moro, Berlinguer o al Concilio Ecumenico da poco concluso.
La forma teatrale è stata accattivante per la sapiente regia di Francesco Storelli che ha saputo ben miscelare immagini, dialoghi, letture-testimonianze e i brani musicali del giovane e promettente complesso <Kandischi>. E’ stata una bella lezione di storia ma soprattutto di vita vissuta … intensamente … come avveniva tra i giovani di quegli anni. E come tutte le storie anche questa ha avuto una morale che è venuta fuori in una sorta di nostalgia per quella passione politica e quei valori che allora c’erano ed oggi non ci sono più. Colpa del tramonto delle ideologie a cui erano ancorati il Partito Comunista e la Democrazia Cristiana.
Dietro le ideologie c’erano correnti di pensiero, filosofie, valori, principi etici, anche diversi e talora contrastanti ma pur sempre degni di spenderci una vita. E’ scomparso il confronto, il dialogo e con essi sta vacillando la democrazia. Quando si condanna il ’68 in toto si butta via il bambino con l’acqua sporca. Oggi per chi cerca di appellarsi a certi valori, va controcorrente, osa contraddire la casta dei politici o semplicemente criticare i potenti di turno è stato coniato il termine <ideologico> con sapore dispregiativo. Come per indicare chi non è concreto, fuori dalla realtà che è fatta di cose che contano e che vanno per la maggiore come l’apparenza, i soldi, il potere. Che sono solo per i furbi, i forti, i lucidi che hanno abbandonato, appunto, le ideologie.
Nello spettacolo non manca una flebile speranza nell’auspicio che possa permanere nei giovani d’oggi quell’ <indignazione> che è la molla che fa scattare la distinzione tra le cose che sono giuste e quelle che sono ingiuste e che fa crescere lo spirito critico e la passione per cambiare le cose. E nel far cadere nell’oblio il vecchio fucile mitragliatore, gelosamente custodito dal padre partigiano, c’è la pudica condanna della violenza e l’apertura alla pace. Tra il rosso ed il nero della violenza delle opposte fazioni di quel decennio c’è il bianco. Il rosso è notoriamente il colore del sangue, del sacrificio, dell’ardore, della violenza. I fisici dicono che il nero è il colore che assorbe tutti gli altri e li trattiene per se’, è il colore egoista per eccellenza. Al contrario del bianco che riflette e rimanda tutti gli altri colori. Dopo il nero ed il rosso del passato il futuro potrebbe essere colorato di bianco. E’ forse la speranza dello spettacolo, documento e lezione, presentato a Chiusi da Primapagina e Semidarte.
Grazie a Marco della bella recensione. Son cose che fanno piacere. Quanto al Bianco al rosso e al nero, dico semplicemente che que titolo vuole semplicemente dire che l’Italia di quegli anni non era bianca rossa a verde, come segnala il tricolore, ma era bianca (cioè democristiana, un po’ bigotta, dove la maggioranza era… silenziosa…), rossa (perchè la sinistra era forte, in subbuglio, le piazze piene di bandiere) e nera (perchè il neofascismo rialzava la testa, veniva usato per strategie oscure)… Da quella stagione esaltante, perchè ricca di ideali e speranze (da una parte e dall’altra) ma piena di piombo e macerie alla fine tutti e tre i colori sono usciti sconfitti…
Che strano Marco,trovare la riflessione valoriale sui colori.Forse è troppo breve lo spazio per parlarne a fondo,ma almeno superficialmente consentimelo.E’ strano il fatto che il rosso ricordi infine la violenza perchè -tu dici-è il colore anche del sangue.Parli di violenza,ma la violenza avviene in mille modi, forse uno di quelli più profondi di tali modi è il reagire alla violenza di dove uno nasca e si trovi ad operare e vivere perchè il sistema non gli dà spazio e ne viene soffocato.”Ribellarsi è giusto”ti dice nulla?Il Bianco forse consentimelo-è stato quello che ha gioito e che ha procurato di più del crollo delle ideologie-intendendone una sola di ideologia,quella comunista che è implosa,perchè il capitalismo lo propugnava il bianco e non è una ideologia? Poi si cerca di riflettere sul danno dell”abbandono delle ideologie;ma quella del bianco che ideologia propugnava se non quella del sistema che ancor oggi regna e che si chiama con un solo nome e che sta affossando il mondo: il capitalismo,alias il mercato.Nessuno si è mai sognato di essere dalla parte totale della giustizia ma almeno una analisi corretta degli avvenimenti occorrerebbe farla da parte di chi richiama il senso critico.Abbiamo vissuto il Capitalisno ed ancor oggi lo viviamo nella sua fase recessiva mica il comunismo od il socialismo.Sennò si ribalta tutto.