di Nicola Nenci
Riprendo la parola su questo blog per tornare sui problemi della cultura e del turismo che sembrano del tutto scomparsi dal dibattito pubblico. I lettori si chiederanno quale utilità potremmo ricavare oggi, con tutti i gravi problemi che ci sono, dal discutere di queste cose.
Nonostante sembrino argomenti marginali rispetto ai grandi temi politici come quello delle primarie, c’è chi se ne occupa: è uscito da pochi giorni un rapporto -redatto dall’Unione Europea– che svela i tratti distintivi del nostro approccio alle risorse culturali nazionali, e di quanto il nostro essere all’avanguardia nell’evitare accuratamente di metterle a frutto, influisca negativamente nella nostra crescita economica (e forse anche civile).
Il rapporto è stato curato da Pier Luigi Sacco, e un passo di una ben redatta sinossi del documento recita:
“Al massimo in Italia la cultura è assai spesso semplicemente «ancillare», dice il rapporto, al turismo tradizionale. Con un effetto perverso: la “museizzazione” delle città d’arte. «Lo stesso turismo culturale – avvertono ancora gli esperti – soffre del progressivo impoverimento della scena e della vitalità culturale delle “città d’arte”, che stanno progressivamente rimodellando il loro tessuto urbano e sociale per adattarsi in modo incondizionato ai bisogni e alle attese dei turisti, trasformandosi così, gradualmente, i “parchi a tema” senza vita».
Tutto questo, in realtà, a leggere il rapporto è anzitutto il frutto di un sistema profondamente guasto. Cominciando dal fatto che «grosso modo un italiano su due in sostanza non è interessato alla cultura, e in particolare alla sua produzione, conservazione e sostegno». E poi c’è, neanche a dirlo, la politica che ha occupato in modo pernicioso il comparto. «Il principale ostacolo a una svolta – leggiamo infatti – è la tendenza della dirigenza politica italiana a usare la cultura come una misura anticiclica e come ammortizzatore sociale, o come aree protette per la creazione di rendite di posizione», costituendo «sacche di privilegi ed inefficienza nei settori culturali». Potremmo continuare con la demotivazione per i giovani, cui viene ripetuto, ricorda ancora il rapporto, che studiare materie culturali «non porta lavoro», perché per gli italiani, denuncia Bruxelles, la cultura è simbolo di perdita e di sussidio. E così chi invece ha osato fare scelte culturali, si trova costretto molto spesso a cercare posti all’estero dove gli italiani sono ancora ricercati e dove la cultura è business redditizio.”
Credo che queste righe costituiscano una chiave di lettura esemplare anche per ciò che avviene nella nostra piccola realtà di provincia, che da sempre si è caratterizzata come un parvum simulacrum urbis.
In questo frangente vorrei far riflettere su un giacimento archeologico di indubbio spessore, ovvero quello di via de’ Longobardi.
Molto ci sarebbe da dire su questo sito archeologico, non solo sulle sue condizioni di sotto-sfruttamento, ma soprattutto sulle pessime condizioni nelle quali è stato abbandonato. Solo per dirne una, l’ultima volta che sono passato da quelle parti, nell’Agosto passato, molte delle opere temporanee di protezione erano in palese stato di deterioramento, evidentemente sfondate dalla nevicata invernale.
Questo non è un problema solo chiusino; l’intera comunità scientifica internazionale e gli specialisti del settore si stanno interrogando sull’opportunità di continuare ad investire in scavi archeologici sistematici in un’epoca in cui mancano risorse per conservare ciò che già è stato portato in luce, e si stanno rispondendo che forse non è più il caso di scavare come si è fatto finora. C’è stato un interessante in contro sull’argomento alla Scuola Archeologica Italiana d’Atene il Maggio scorso, in cui si è discusso proprio di questi problemi.
Qualsiasi cosa –anche la più umile– che proviene dall’antichità, infatti, necessità di cure costanti e periodiche, di locali idonei e di persone che ne sorveglino l’integrità per sempre. In un’epoca di tagli e recessione, fare ciò con efficacia è estremamente difficile e spendere ingenti risorse per alimentare l’insieme di oggetti e di contesti in nostro possesso non farà che aggravare costantemente le difficoltà legate alla loro conservazione.
Mi chiedo che senso abbia stanziare dei fondi per continuare a scavare un sito che non si riesce a conservare nemmeno adesso che è stato solo parzialmente scavato, ma che non può essere lasciato nello stato in cui è, soprattutto dopo che il Comune vi ha investito risorse.
Come fare, quindi, per portare avanti gli scavi, produrre cultura, incentivare il turismo, restaurare le emergenze archeologiche e musealizzare l’area, tutto allo stesso tempo?
La soluzione -strano a dirsi- non è troppo complessa, e se ben studiata permetterebbe di utilizzare la risorsa economica del turismo a favore della ricerca scientifica e della produzione culturale, ribaltando la tendenza nazionale descritta nel rapporto UE.
In poche parole, per la villa romana di Chiusi sarebbe necessario far partire un progetto che preveda la raccolta di finanziamenti -pubblici o privati- finalizzati alla sua conservazione, al suo recupero ed alla sua musealizzazione, mentre per lo scavo archeologico andrebbe impiegato un bacino internazionale di studenti di discipline archeologiche e di restauro (ma anche, in prospettiva, appassionati e cultori dell’archeologia) disposti a sottoscrivere una quota di partecipazione. Le quote dei partecipanti servirebbero a coprire i costi vivi del cantiere, nonché la retribuzione di archeologi professionisti e specializzati, ai quali si spetterebbe il compito di supervisionare le operazioni di scavo e di redigere la documentazione.
La villa si trova in pieno centro storico, ha dimensioni monumentali e non presenta problematiche strutturali che ne impediscano l’utilizzo a fini non solo scientifici, ma anche didattici. Questa soluzione consentirebbe di portare avanti gli scavi a costo zero, mentre gli investimenti pubblici in restauro e musealizzazione andrebbero a ricadere sui cittadini, garantendo loro la riappropriazione di un patrimonio comune che fino ad oggi rimane celato e inaccessibile.
Un progetto del genere non avrebbe ricadute positive solo in posti di lavoro, ma credo che appaia senz’altro chiaro che la presenza di un nutrito gruppo di persone -il sito potrebbe ospitarne fra le due e le tre dozzine- che risiedono nel centro storico per diversi mesi all’anno, contribuirebbe in maniera sostanziosa all’indotto della comunità.
La villa, infatti, ha il vantaggio di essere nel centro storico, in cui ci sono strutture ricettive, ristoranti, alimentari e bar.
Per far capire quanto ciò che scrivo possa solo all’apparenza sembrare campato in aria, alcuni anni fa riflettevo di queste opportunità con un mio amico e collega che lavora in un paese dell’Umbria, il quale, prendendo spunto dalle nostre conversazioni, ha messo in piedi una realtà che lavora e funziona a tal punto che raccoglie ormai una trentina di presenze (per lo più studenti paganti) che stagionalmente soggiornano nella cittadina umbra la vorando a ciò che di fatto è una ricerca scientifica, e quindi vitale, vibrante e redditizia produzione di cultura.
Idee del genere per Chiusi esistono già da molto tempo e non sono state solamente elaborate, articolate e e spiegate, ma anche scritte, stampate, rilegate e presentate sotto forma di progetto, che però non è stato tenuto in considerazione da chi di dovere; sarà forse perché un progetto del genere non garantisce rendite di posizione alla politica che occupa perniciosamente il comparto?
In ogni caso sembra che la politica, anche quella locale, sia intenta a pensare a tutt’altro.
È sparito un post di Nicola
Mi suggeriscono che è opportuno spiegare cosa fosse il progetto PAUTAC, fra l’altro a suo tempo consistemente finanziato. L’idea base, ideale per quanto Chiusi può offrire, era quella di coniugare contenuti archeologici e ambientali diffusi, nel centro urbano (musei, monumenti, centro di documentazione…) e nel territorio (tombe, catacombe, lago, itinerari naturalistici e archeologici…). Esso ha portato alla creazione di nuove strutture (il Museo Civico, il c.d. Centro di Documentazione nel complesso delle ex Scuole Elementari, sezioni maschili e femminili, di Chiusi Città, l’area archeologica attrezzata della necropoli di Poggio Renzo) e credo, ma potrei sbagliarmi sull’utilizzo al riguardo dei relativi finanziamenti, anche al riallestimento del Museo Nazionale, alla sistemazione delle aree a parcheggio al Lago, al restauro, con affaccio, di un tratto di mura crollate al Prato.
Roberto, grazie per il commento. Purtroppo essere espliciti cambia poco la sostanza dei fatti, che è spesso più complessa di quanto a volte si vorrebbe supporre o far credere. Farebbe la differenza, invece, essere precisi, ma la puntualità obbliga ad essere prolissi e ad affrontare questioni molto tecniche che si rivelano noiose e controproducenti, poiché sviano l’attenzione dal nocciolo del problema. Le discussioni sul PAUTAC sono ormai sature, anche se condivido in toto l’analisi di Roberto, alla quale aggiungerei che sulle persone si investì, e lo si fece anche con discreti soldi, ma in maniera clientelare e cooptativa che, come al solito, ha creato più danni che benefici. In questo, mi sembra, la situazione non è cambiata affatto. Alessandro ha ragione: ci sarebbe bisogno di un funzionario comunale che si occupi del settore, al quale spetti l’elaborazione e la realizzazione dei buoni progetti, come più o meno avviene in alcuni comuni limitrofi. La bontà dei progetti, infatti, si determina discutendo le idee nel merito, e non cestinandole a priori per favorire le rendite di posizione. Ovviamente il funzionario andrebbe scelto tramite un concorso genuino, ma le persone che non devono niente a nessuno, dalle nostre parti, sono considerate più come un pericolo che come una risorsa.
Le idee che ha esposto Nicola ovviamente le condivido, per averle discusse con lui più volte. Peraltro vorrei invitarlo ad essere più esplicito, citando “nome e cognome” del centro umbro che sta vivendo la bella esperienza (se ricordo bene Umbertide) e il soggetto che ha presentato il progetto per Chiusi (forse la Cooperativa Clanis?) e quello che lo ha ricevuto ed avrebbe dovuto pronunciarsi (in questo caso il Comune?). Voglio anche sottolineare che la bellezza delle idee non è la panacea di tutto, non equivale a buon progetto. Il PAUTAC, il Parco Archeologico Urbano Territoriale Ambientale di Chiusi dell’Amministrazione Ciarini per esempio era una bellissima idea, avanzata per i tempi… però aveva bisogno di una solida struttura tecnico-scientifica che lo definisse nei particolari, che lo calasse nella realtà, che poi ne fosse il motore capace di creare cultura ed operatori culturali validi, coinvolgendo innanzitutto la società locale… ma questa struttura sin dall’inizio non ci si è preoccupati di crearla, non si è investito sulle persone ed ora si vedono i risultati
Il tema è tra i più importanti per il nostro futuro sia spirituale che materiale e cioè perseguire quella che si prospetta una fondamentale quadratura del cerchio: un indotto economico importante e duraturo basato proprio sul riappropriarsi e sull’esaltazione della nostra identità; un giacimento inesauribile non soggetto ai volubili scenari del Mercato perché patrimonio unico del nostro paese. Uno scenario futuro di questa portata ha però bisogno di una larga base di consenso e infatti, per ora, stenta ad organizzarsi; non solo per colpa degli oppositori – consci o inconsci che siano – ma anche di alcuni dei suoi stessi promotori, spesso avvitati in logiche di autoreferenzialità a base esclusivamente teorica o elitaria. Serve mettere attorno ad un tavolo vari e a volte insospettabili interlocutori. Speriamo che qualche soggetto territoriale se ne faccia carico o almeno si cominci a parlarne fuori dai circoli ristrettissimi in cui per ora si trova. In campagna elettorale si parlava – mi pare – di Chiusi Promozione……ovvero?
Per gestire questo genere di cose occorre una persona preparata ed efficiente che possa gestire tutta la rete museale della nostra città, che possa trovare soluzione ai numerosi problemi dell’archeologia di Chiusi che non sono solo la Villa Romana ma Poggio Gaiella, le tombe etrusche, prima fra tutte quella dell’Iscrizione, che ripristini il biglietto unico, che valorizzi il laboratorio di restauro che adegui gli orari di apertura dei musei e delle Catacombe Cristiane che istituisca una scuola di archeologia e via discorrendo ma tutto questo non è nelle menti dei nostri amministratori che con l’istituzione dell’assessorato “sistema Chiusipromozione” (turismo, commercio, cultura) e della Fondazione Orizzonti d’arte hanno risolto tutti i problemi. Potrei dirti che queste cose c’è chi le dice in Consiglio Comunale ma risultano come fumo al vento.
Caro Nicola complimenti per l’articolo ma la tua lontananza da Chiusi non ti permette di essere aggiornato e sapere che il progetto sulla Villa Romana è già stato realizzato infatti il Comune in accordo con la sopraintendenza hanno deciso di lasciare le cose così come stanno. Il progetto è questo: sul Piano Strutturale per il centro storico non si è previsto nessun parcheggio se non l’ampliamento di quello di Porta Lavinia che dovrà ospitare le auto dei residenti, anche quelle che ora sostano in alcuni luoghi del centro storico come ad esempio all’Olivazzo il prato etc, le auto dei dipendenti del Comune e della Banca, quelle degli studenti quindi il parcheggio sarà facilmente pieno. L’idea di lasciare tutto come è permetterà al turista venuto a Chiusi di vedere prima la Villa Romana poi i lavatoi e gli ex Macelli cosichè dirà: ma dove sono arrivato? Senza fermarsi, girerà e se ne andrà via cosichè il Comune potrà dire che i parcheggi sono sufficenti. Un commento più serio sul tuo articolo cercherò di farlo più tardi con la speranza di vedere interesse di altri sul tuo scritto
Grazie Paolo per i tuoi addenda. A Orvieto c’è un progetto di ricerca scientifica molto grande, importante e di respiro internazionale. Purtroppo, però, non facevo riferimento a Orvieto, bensì ad un progetto molto più modesto che si svolge ormai da qualche anno in una cittadina dell’Umbria interna che prima di allora non ha mai nemmeno sentito parlare di archeologia. Lì da circa tre anni scavano un sito che si attesta fra la fine del Medioevo e l’inizio del Rinascimento, finora con ottimi risultati.
Probabilmente la cittadina umbra citata da Nicola è Orvieto. Conosco abbastanza bene il caso. A Orvieto, ospitati dal Centro Studi, si tengono i corsi dell’Arizona University e di altre università diretti e coordinati dal professor Claudio Bizzarri. Gli studenti hanno operato in vari scavi. Ricordo l’interessante convegno sul porto romano di pagliano dove gli studenti americani, ma anche quelli di altre università italiane e volontari di gruppi archeologici, hanno riportato risultati assai significativi.
E’ vero quello che scrive Nicola: quegli studenti sono anche un’importante risorsa economica per il centro storico.
Dono da condividere le conclusioni di Nicola. Infatti al centro studi sono stati tagliati tutti i finanziamenti e anche l’opera del professor Bizzarri potrebbe risentirne. Evidentemente certi comportamenti politici sono più comuni di quanto si pensi.