Centro Studi di Orvieto: quando l’ideologia prevale sulla ragionevolezza

di Paolo Scattoni

 

Su chiusiblog abbiamo spesso discusso della necessità di una sorta di cabina di proposta per una prospettiva di sviluppo per Chiusi basata sull’economia della conoscenza.

Non troppo lontano da noi questo esperimento è stato fatto. All’inizio degli anni 2000 fu creata una fondazione per il Centro Studi Città di Orvieto. Doveva essere una fondazione “di conferimento” dove i due soci fondatori (Comune e Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto) si impegnavano per un versamento annuale per 150.000 euro circa ciascuno.

Con questi soldi si doveva finanziare il corso di laurea triennale in Ingegneria Informatica e Telecomunicazioni, Università di Perugia, che doveva fornire personale qualificato per le piccole e medie imprese del settore nate dopo la chiusura dell’Itelco. Poi c’era il progetto per un corso triennale di architettura, con la Sapienza– Università di Roma. Si era intanto iniziato con un Master sui centri storici minori. Nel tempo si sono aggiunte poi corsi semestrali di diverse università americane, la scuola di specializzazione di psicologia della salute e molte altre.

All’ordine del giorno del consiglio comunale di orvieto del 21 gennaio c’è un punto per la chiusura del Centro Studi.

La chiusura del Centro Studi ha una motivazione tutta ideologica. Lo posso dire tranquillamente perché ho lavorato per 15 giorni in una commissione di “esperti” nominata dal consiglio comunale. Il Centro Studi aveva nel 2010 trovato un suo equilibrio finanziario al netto dei debiti dovuti a un taglio di tutti i conferimenti sia comunali che della Fondazione Cassa di Risparmio dal 2008.
Il centro studi era riuscito a vivere con risorse proprie grazie ai proventi per il supporto ai corsi. Metà di questi provenienti da università americane. Il forzato abbandono dell’ex ospedale, situato in piazza Duomo, per la sede di Palazzo Simoncelli e il terrorismo degli amministratori con il loro mantra “tanto devono chiudere” ha determinato l’abbandono di alcuni dei corsi, ma sarebbero in gran parte recuperabili e incrementabili.
Che lezione possiamo trarne? La cultura fa male soprattutto per i conservatori che sono convinti che la cultura e cioè la “testa” di una comunità deve rimanere in reti “non istituzionali” e soprattutto opache.

 

 

p.s. Chi volesse esprimere solidarietà nei confronti del Centro Studi Città di Orvieto può farlo sulla pagina:

http://firmiamo.it/petizione-contro-la-chiusura-centro-studi-citta-di-orvieto

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