I fatti di questi giorni, al di là del merito che li contraddistingue (accedere a tutta o solo a parte dell’informazione, avere o meno tempi di risposta certi, scrivere o meno la richiesta, grido al sopruso e rivendicazione di correttezza formale, ecc.) e che sono fondati su un equivoco di ruoli e che, purtroppo, finisce per alimentare un sospetto (che credo infondato).
Questi fatti sono, a mio giudizio, la spia di un malessere diffuso rispetto al meccanismo “democrazia” e alle sue regole di funzionamento. Sono poche note che propongo, sperando che il blog riesca, come in altri casi, a darmi ulteriori indicazioni per una riflessione più articolata che mi piacerebbe tornare a condividere. Come primo passaggio, dobbiamo distinguere tra le due opzioni di democrazia che convivono nei programmi presentati dai due gruppi principali dell’ultima competizione elettorale: la democrazia “deliberativa” che ha come criterio di funzionamento lo scambio di opinioni (informate) tra soggetti portatori di interessi diversi (i c.d. stakeholders) in un contesto assimilabile alla “piazza” o all’agorà greca – più o meno virtuale -.
All’ingrosso, il riferimento è la riflessione di Habermas sull’idea di “agire comunicativo”. Questo ipotizza un meccanismo partecipativo che si sviluppa a partire da contenuti informativi disponibili (almeno nelle intenzioni/desideri) ma che accade generalmente “a posteriori”, cioè dopo che è intervenuta la decisione politica – come “critica” o come “conferma” -.
Di qui tutti i richiami all’idea della “casa di vetro” che i programmi presentati hanno portato alla ribalta. La stessa proposta del Consiglio comunale in video è portatrice di questa logica. E’ vero che la discussione può intervenire prima che la decisione sia presa, ma anche in questo caso assume più l’aspetto di un “sondaggio di opinione” che un sistema di ascolto vincolante per l’azione politica. In sostanza, si tratta di una tipologia di partecipazione che ha come fine il consenso, conseguito mediante la formazione dell’opinione e l’adeguamento alla “volontà generale”.
Dall’altro lato si va affermando – e su un retaggio sempre più storico, ormai, visto che affonda le sue radici nei modi operativi dei gruppi tecnici del software libero – un’idea di democrazia “collaborativa” (utilizzo il termine nell’accezione che si è affermata ad es., nei gruppi di Wikipedia o di videogames come “World of Warcraft”). In questo contesto, la decisione politica arriva come prodotto finale, la “risultante” di una serie di interventi che, a partire dalla destrutturazione del problema da affrontare in “pezzi” più piccoli, omogenei dal punto di vista del contenuto tecnico che implicano, si offre alla competenza dei cittadini/partecipanti intesi non più come semplice quantum demografico, ma come portatori di skills, di competenze e tecniche che posso diventare condivise e concorrere alla formazione di una decisione politica consapevole, partecipata e fondata tecnicamente (l’idea di “tecnica” è mutuata direttamente dalla techné greca, cioè un saper fare qualcosa – non necessariamente di ambito “scientifico”-).
Un esempio (molto parziale) è il coinvolgimento della popolazione di Porto Alegre sulle decisioni di spesa di una parte del bilancio della municipalità. In questo contesto occorre chiaramente uno sforzo enorme di fantasia e di buona volontà. La scomposizione di un problema “in fattori” richiede un ripensamento generale del modo stesso di fare politica. Si pensi solo al problema della leadership per come viene ad essere disegnata in un quadro così articolato: perso il vertice della piramide, il leader è solo il centro di un cerchio di competenze che può/deve solo organizzare e sintetizzare.
Cerchio che, ogni volta, si ridefinisce e deforma. A questo scopo, una grossa mano può venire dalla struttura burocratica: troppo spesso visti come i depositari di un sapere e comportamenti esclusivamente legal-formali , si contrappone loro il sapere gestionale, come se fossero due paradigmi differenti. Vedremo che, a partire dal diritto romano e passando per Graziano, i due ambiti non sono così distanti. Ma è materia di altro (imminente) intervento.
Da sempre il diritto è stato pensato come antidoto all’ arbitrio. E’ un “dare a ciascuno il suo”. E’ evidente che il suo presupposto è che ci sia un potere che lo renda cogente. Il potere e l’ autorità sono indispensabili per la tutela dei più deboli. Ma la legge obbliga a relazioni minime quanto al “buono”. Spesso non bastano. Come dicevo prima, dominio e servizio sono relazioni che possono coesistere con il minimo di legalità richiesto.
La chiave più efficace per interpretare la qualità del governo è la quantità di “luce” che viene gettata sugli atti: (Gv 3, 20-21).
io credo che “resti” molto altro da fare!
Non resta che augurare buona fortuna
Bene diciamo allora che io ritengo che oggi sia praticata la democrazia “contrappositiva” dove le scelte sono determinate da gruppi di interesse (che possono essere anche interni alle stesse amministrazioni). Solo che ciò avviene in modo assolutamente riservato per emergere infine nelle azioni amministrative che diventano mera ratifica (senza andare troppo lontani l’ultimo Consiglio Comunale ne è un esempio cristallino). L’informazione preventiva e completa, consente viceversa la formazione di altri gruppi di interesse che possono “contrapporsi” e, siccome il consenso è il metro dell’agire politico, ne diviene anche il regolatore. Avere la forza di contrapporsi prima della decisione e riuscire ad influenzarne il risultato ha due benefici effetti. Se l’azione ha successo determina la modifica della decisione e la tracciatura delle responsabilità. In caso contrario assicura almeno la seconda. Il che, data la situazione italiana, non è cosa da poco. I cittadini poi avranno a disposizione le elezioni per prendere le loro decisioni. Trascuro per brevità i benefici effetti di lungo periodo che ha un simile agire per la formazione di consapevolezza civica/politica.
Sono assolutamente d’accordo con Romano. Non che la discussione sul “sistema” da scegliere non sia importante ma in questo momento si devono prima mettere in ordine le regole del gioco. E non si tratta solo di “forma”. Se si ripristinassero trasparenza, informazione e legalità, non è detto che certi risultati sarebbero poi gli stessi. Così come, personalmente, non mi piace l’idea di un Sindaco e di una Giunta che tirano solo le somme del volere dei cittadini, volta per volta. Tu cittadino mi dai fiducia perché io possa fare un percorso che può prevedere anche scelte impopolari; l’importante è che questo percorso non diventi arbitrio. E questo avviene solo con la massima trasparenza dei procedimenti, l’informazione e anche la discussione corale che parta dal programma elettorale presentato, di cui chiedere via via conto; poi il Sindaco e l’Amministrazione dovranno comunque fare autonomamente le loro scelte, prendersi le loro responsabilità e poi risponderne in sede di consuntivo finale.
Sono d’accordo sull’informazione. Occorre che circoli, che sia fruibile e ri-producibile. Ok. Siamo d’accordo. Ma sull’ambito della decisione, come intervengo? Il mio problema, come cittadino, è che posso solo dire: ma guarda che bravo, ha rispettato tutti i passaggi previsti, ha raccontato quel che voleva fare, come voleva farlo e l’ha fatto. Posso commentare. Ci basta? Direi di no, non può più bastare. Etimologicamente, decidere viene da de-caedo, tagliare via: ciò che sta dentro e ciò che sta fuori in quel “via” fa differenza (e parecchia). Guardiamo a questo blog. Se si potesse solo commentare quanto ci dice ogni giorno, che so, Paolo o Giovanni, senza poter pubblicare punti di vista nostri, avrebbe questo seguito? Il suo segreto è nel protagonismo che consente, nella possibilità di partecipare ATTIVAMENTE – ognuno con (e per) le proprie competenze -. Collaborazione, appunto 🙂
Qualunque delle due democrazie si preferisca (da praticare) entrambe necessitano di un prerequisito: l’informazione aperta, diffusa e strutturata in modo che ci sia la tracciabilità delle decisioni.
Oggi, qui a Chiusi questo è il punto in questione: la negazione dell’informazione, praticata anche tramite l’abuso.
Ci divideremo sul tipo di democrazia da praticare ma potremo farlo solo dopo!
Non era mia intenzione spostare la discussione altrove.
Volevo piuttosto dare manforte a Sorbera quando dice che “la democrazia senza aggettivo è una fregatura”.
D’accordo con le ultime precisazioni di Sorbera. Il punto ora è quello. C’è poco da fare.
Tanto per aggiungere ancora un po’ di sugo alla faccenda, ricordo di aver letto da qualche parte che c’è chi ritiene la dittatura essere la migliore espressione di democrazia.
Calmi, ché è (solo?) una questione matematica… Ma vedi quanto son democratici “queli”? 😉
http://it.wikipedia.org/wiki/Democrazia#Le_contraddizioni_della_democrazia
Caro Provvedi, la tua battuta conferma indirettamente quanto dico io.
Se posso scegliere di assumere l’una o l’altra modalità (servizio piuttosto che comando), significa che la mia scelta
è solo frutto di un volontarismo individuale che può completamente mancare. Significa quindi che la struttura è intrinsecamente autoritaria e che il “servizio” che propugno può assumere il volto paternalistico, ma ha una sostanza di comando.
Da qui il problema di garanzia per il cittadino: se dico di essere buono, come garantisco il cittadino rispetto alle
mie reali intenzioni? Io dico che anche i “buoni” vengono trasformati dall’esercizio del potere, perché è un qualcosa
che cambia la prospettiva da/in cui ci si muove. Ma il mio problema è soprattutto garantire che la decisione sia effettivamente di servizio, perché nasce come/dalla collaborazione. Precisarne modi, tempi e caratteristiche è il problema che mi intriga ora.
Caro Sorbera, detto molto brutalmente, c’è chi intende l’ autorità come dominio e chi la pensa come servizio per l’ interesse degli altri.
…..perchè non si parla della “riduzione del 10% delle paghe e pensioni” dei moltisimi personaggi politici (i “nostri servitor”)i……Forse è una richiesta assursda?….. O è assurdo il mondo in cui viviamo?
Quello descritto non è un modello teorico, ma la democrazia che abbiamo sotto gli occhi. Non basta più ed è congegnata su garanzie deboli (si pensi all’idea berlusconiana – ma che porta alle estreme conseguenze l’idea di rappresentanza – di far parlare il parlamento solo attraverso i capigruppo), rappresentativa fino all’esame del (prossimo) voto. Certo, piacerebbe anche a me che fosse senza aggettivi, ma se non c’è l’aggettivo c’è di sicuro la “fregatura”. Condivido con Giorgio l’idea dell’insufficienza di questo strumento e lo sfaldarsi del tessuto giuridico di impianto liberal formale che lo irrela(va). Probabilmente, mi converrà precisare meglio ciò che intendo per democrazia “collaborativa”. Per ora, grazie a tutti gli intervenuti.
“politica”…….Non sono nè un economista nè un matematico, ma ad occhio e croce credo che una riduzione del, diciamo, 10% sulle paghe e pensioni dei vari ministri. segretari, sottosegretari, etc. etc. etc. darebbe un notevole contributo nel risanare il cosiddetto “debito pubblico” (?) senza per questo ridurre in povertà i sopra menzionati ……ci rendiamo conto in che situazione ci troviamo?……i “servitori” che dicono ai “padroni” (i cittadini); – le cose stanno andando male per cui voi dovete “tirare la cinghia” mentre noi continuiamo con il nostro tenore di vita – . Stando cosi le cose mi sembra superfluo parlare di “partiti” o della loro “essenza”
o di questo o quel personaggio politico.
L’osservazione di Paolo Scattoni è giusta perché io avevo escluso la democrazia deliberativa “pura”, in quanto modello puramente teorico, di difficile applicazione pratica, se non in circostanze particolari e ristrette, dal momento che richiede una partecipazione ampia ed una decisione finale condivisa all’unanimità. Il mio riferimento era alla democrazia “rappresentativa” che avevo ritenuto, forse impropriamente, come una derivazione più pratica della “deliberativa” considerando deliberativo il processo elettivo che avviene al momento della scelta dei rappresentanti anche se avviene non all’unanimità ma a maggioranza.
La democrazia continuo a pensarla senza aggettivi, anche se capisco la necessità degli studiosi di definirne singoli aspetti e procedure.
Resto comunque dell’opinione già espressa diverso tempo fa da Wojtyla e Canfora: la democrazia è di la da venire, non è di questi tempi. E’ stato conquistato il diritto di voto (e non è poco, ma ancora non dappertutto) ma è solo un aspetto e forse neppure quello risolutivo.
Per quello che abbiamo sotto gli occhi credo che ogni tentativo e ogni passo avanti vada non solo salutato positivamente ma sostenuto e incoraggiato.
La trasparenza, la partecipazione e una corretta e tempestiva informazione vanno nella giusta direzione.
Anch’io sono per le discussioni ante-decisione e per un ridimensionamento-ridefinizione della leadership politica.
In effetti, per deliberativa intendo quel tipo di democrazia che, mostrando o meno la procedura seguita, delibera cioè esercita un comando mediante atti giuridicamente fondati. Questo tipo di democrazia è legata ad uno schema “informativo” in cui il risultato finale – l’operazione di comando, la decisione –, seppur giustificata ed argomentata , “acconsentita”, è comunque indipendente dalla partecipazione attiva della cittadinanza. Si, ci sono gruppi di “interessati” (che gli americani hanno istituzionalizzato attraverso il meccanismo del lobbying e che noi europei abbiamo in forma “implicita” 🙂 ), ma sono solo portatori di interessi specifici. La collaborativa, invece, ha a che fare con procedure e tecniche che, seppur presuppongano l’informazione, consentono pronunciamenti/azioni su singoli segmenti ben determinati della struttura problematica che affrontano PRIMA del decisionmaking e possono intervenire in maniera pesante sulla formazione della decisione. Non solo, ma è il decisore che organizza e sollecita – mediante un procedimento di “parcellizzazione”, “segmentazione” del problema che affronta – l’intervento delle competenze dei destinatari del suo intervento. E’ un cambio di prospettiva radicale. E’ anche un problema che occorre affrontare con una certa urgenza: ci sono gli stessi segnali, nell’ambito della politica, che abbiamo avuto modo di verificare in caso di sistemi mono/oligopolistici ad es., della musica o del cinema. Le mayors hanno osteggiato a lungo l’avvento delle tecnologie digitali a basso costo, ma hanno ottenuto soltanto di veder aggirati i problemi e si trovano a vedersi imposti comportamenti inattesi. Le nuove tecnologie e i soggetti che hanno portato alla ribalta piuttosto che “rubare” la musica o i films, hanno re ingegnerizzato l’industria: nel caso di decisioni politiche anche delicate, questo cambio potrebbe essere doloroso per i cittadini. Cmq, mi piace molto il dibattito che si sta creando su questo argomento, ed è davvero utile.
Scusa Giorgio (Cioncoloni) ma a me pare che tu ed Enzo (Sorbera) avete una concezione diversa di democrazia deliberativa. Il dibattito quindi rischia di andare “su pe peri”. Su wikipedia si può trovare una definizione di democrazia deliberativa Non è proprio perfetta, ma forse sufficiente per trovare un accordo sul concetto.
La riflessione proposta da Sorbera è molto interessante e coinvolgente, come sempre sono le sue osservazioni. Sarebbe bello avere una moltitudine di pareri, anche da parte di componenti della maggioranza amministrativa, che purtroppo non arriveranno, anche se non se capisce il motivo. Io ho già posto in consiglio comunale, e lo porrò continuamente anche in futuro, il tema del concetto di partecipazione perché ritengo fondamentale se ne dichiari la giusta interpretazione, al di là della semplice enunciazione, che da sola non è sufficiente a far capire che cosa si voglia intendere.
Io penso che la “democrazia deliberativa” come la chiama Sorbera, perlomeno come è stata intesa fino ad oggi, non sia più adatta a rappresentare gli interessi di tutti i cittadini ed a recepirne tutte le competenze, per due motivi principali: primo perché si è perso il contatto stretto tra eletti ed elettori, che permetteva agli eletti di portare un contributo che non fosse solo personale, ma la risultante di una serie di contatti con gli elettori; secondo perché i cittadini non sono più raggruppabili in pochi gruppi omogenei per cui è diventato difficile per gli eletti, anche se lo volessero, recepirne personalmente tutti i contributi. Quindi credo che oggi vada ricercata la “democrazia collaborativa” che presuppone la volontà di ricercare tutti i contributi possibili prima di giungere ad una decisione, perlomeno nei casi più significativi e complessi. Secondo me quella che si attua a decisioni già prese non è “vera partecipazione” ma “semplice comunicazione” perché non dà la possibilità di correggere eventuali errori, possibilità che invece dovrebbe stare alla base di un confronto vero e che poi è la base della democrazia. Il concetto, tutto berlusconiano, “gli elettori hanno votato noi ed il nostro programma e quindi siamo autorizzati a governare senza l’aiuto di nessuno” non mi sembra che abbia portato benefici.
Qualunque sia il modello ci sono delle precondizioni da affermare.. Negare la visione gli atti pubblicati sull’albo pretorio da parte di un paio di assessori è un segno di arroganza e ignoranza, insomma un a malevola cazzata (sinonimi: boiata, balordaggine, bestialità, corbelleria, etc.). Perché come ho scritto la pubblica amministrazione è un’altra cosa.
Sul tema posto “democrazia deliberativa o democrazia collaborativa?” sono d’accordo con Enzo (Sorbera) i due modelli possono convivere. Posso solo dire come lmposto io la questione da modesto studioso dell’urbanistica.
Se si tratta di stabilire le REGOLE si utilizzano i metodi della “DEMOCRAZIA COLLABORATIVA” Il riferimento al wiki è giusto: ognuno può portare un pezzo di conoscenza. Ma è sempre stato così. Il wiki aiuta soltantio a velocizzare il processo. Sul poro blog avevo riportato un’esperienza per la costruzione delle regole per il governo delle trasformazioni del paesagghio.
Se invece si tratta di prendere una DECISIONE dove ci sono interessi diversi allora prevale il modello “DELIBERATIVO”.
Faccio un esempio a caso, se c’è un amministratore che cerca di far passare un impianto che tratta merda proveniente da tutta Italia e che arricchisce fra gli altri anche privati (p.e. una banca) per favorire la propria carriera politica e in opposizione ci sono quelli che hanno interessi comprensibilmente diversi. In questo casso occorre confrontarsi e magari scontrarsi. Poi deciderà chi è stato eletto per questo, ma il processo della decisione deve essere comunque tracciabile.
Tema interessante ma al momento ci eravamo soffermati su quella che è solo la premessa di Enzo Sorbera: “I fatti di questi giorni…che sono fondati su un equivoco di ruoli e che, purtroppo, finisce per alimentare un sospetto (che credo infondato).”
Al di là dell’uso che se ne farà successivamente nella “cinghia di trasmissione” della Democrazia, il fatto che un cittadino si possa documentare su cosa abbiano fatto o stiano facendo gli amministratori – da lui eletti – è un diritto fondamentale.
Sarà anche un “sospetto infondato” ma siccome per fugarlo ci vuole solo un po’ di impegno – peraltro in linea con solenne promesse elettorali – meglio sgombrare in fretta il campo da questo genere di incomprensioni. Se si fa un Consiglio comunale alle ore 17, non lo si documenta in video o in audio e se ne redige poi un resoconto di massima, tutto questo alimenta il sospetto che del Consiglio si voglia tramandare ai posteri – me compreso che non ero presente – solo una vaga traccia. Così come se un cittadino – peraltro uno solo, non dieci o cento – si presenta a chiedere dei documenti pubblici, io amministratore pubblico sarei lieto di fornirglieli, cercando di favorirlo meglio che posso, non di intralciarlo.
Su allora, facciamolo questo sforzino di “legalità” e poi potremo discutere di quale Democrazia attuare.