Improvvisamente, immediatamente prima dell’inizio della Quaresima, Benedetto XVI, mite successore di Giovanni Paolo II, il papa teologo che ha denunciato le disastrose conseguenze del relativismo imperante, dando le dimissioni da sommo pontefice di oltre un miliardo di cattolici, ha compiuto un fatto epocale che ha sorpreso i popoli ed ha testimoniato, per l’ennesima volta nella storia, come la Chiesa è nel mondo ma non è del mondo.
Nel dna del suo corpo mistico, infatti, ha una saggezza ed una lungimiranza che possono appartenere all’umano ma pongono degli interrogativi che vanno al di là dell’uomo. Di fronte alla grigia uniformità della mentalità corrente che vorrebbe tutti gli uomini tristemente uguali, Benedetto XVI ha proclamato il verbo dell’unicità e dell’originalità della persona e quindi della santità, che è diversità, di ognuno. I santi, essendo uomini, non sono fatti su un modello standard.
Per questo i paragoni con Celestino V e Giovanni Paolo II non reggono: altri tempi, altre situazioni, soprattutto altre persone, altro modo, quindi, di essere santi. Di fronte alla sete di successo e di denaro, all’arrivismo arrogante, alla strumentalizzazione dell’autorità trasformata da servizio a potere, di fronte al predominare dell’ apparire, dell’ avere e del fare sull’essere, mali sia della Chiesa che del mondo, Papa Ratzinger ha fatto un passo avanti ed ha messo tutti fuorigioco affermando il primato dell’ umiltà che è verità. E la verità libera l’uomo da tutti i suoi più deteriori condizionamenti e lo pone nella possibilità di superarsi.
In questo tempo pervaso da paura, indecisione, debolezza di pensiero, il Papa è stato un fulgido esempio di coraggio nel saper andare contro corrente ed indicando, con estrema lucidità e determinazione, nella ragionevolezza, nella libertà e nella verità, i punti di orientamento per ogni ripresa della morale, sia nella Chiesa che nel mondo. In questi tempi lasciare il servizio di Papa per dedicarsi allo studio, alla meditazione, alla preghiera non è stato un atto di viltà o di rinuncia alla croce.
E’ stato piuttosto ingaggiare una battaglia con se stesso, condizione irrinunciabile per ogni autentica conversione o affinamento spirituale, perché lui sa bene che la preghiera è soprattutto una lotta, con Dio, contro il male che ferisce chi lo combatte. Non a caso i mistici di ogni tempo hanno indicato come icona della preghiera la lotta di Giacobbe con Dio nel guado dello Iabbok (cfr Gen 32). Ma soprattutto ha affermato il primato della spiritualità che, nel più delle volte, è umiltà e nascondimento. E’ riconoscere i propri limiti per far posto alla potenza di Dio che ha una sola “debolezza”, quella di esaudire il grido di preghiera degli uomini, quando questo è fatto con fede e rettitudine d’intenti.
Nella mattina del 17 febbraio, prima domenica di Quaresima, il Cardinal Ravasi, commentando il festival di San Remo, distingueva il concetto di vuoto da quello di assenza. Nel vuoto – precisava – non c’è nulla, nell’ assenza sussiste invece la nostalgia di una presenza. L’ ovazione mondiale che si è alzata dinanzi al fatto eclatante delle dimissioni di Bendetto XVI sta a dimostrare quanto sia viva, in questi tempi burrascosi, la nostalgia di quel mondo fatto di verità, umiltà, libertà interiore e spiritualità di cui Giuseppe Ratzinger è stato ed è araldo e testimone. Ed è stata la sua più grande lezione. Alla Chiesa e al mondo.
Morale: più preti contro corrente e meno preti con il conto corrente.