All’inizio è sempre così , ma il vero senso lo recepisci dopo. Se ti regalano un oggetto dei sogni lì per lì sei al settimo cielo, ma puoi arrivare anche al decimo se ti impegni a comperarlo con i tuoi soldi.
Così fu quando decisi di comperarmi la prima Nikon ed uno stipendio non bastava,così la presi a rate. Era quasi uno status symbol nel campo della fotografia, una camera versatile che consentiva ogni tipologia di impiego. Precisa, rapida, flessibile, si adattava ad ogni situazione che trovava intorno, aspettava solo di essere comandata.
Ci mise un mese per arrivare,la richiesi con il corpo nero ma arrivò cromata e mi presi quella, ma un po’ mi dispiacque poiché il corpo nero mi piaceva di più. La dotazione era con un Nikkor di serie 50 mm.f/2,8.
Consapevolmente sarebbe stata la fedele compagna di tanti viaggi, di decine di migliaia di scatti. Era il Novembre 1968 e quella notte non dormii, tanto l’avevo desiderata ed adesso l’avevo in mano, tutta mia: era una Nikon F Photomic TN.
Misi la sveglia e mi alzai alle 6 del mattino. Alle 6,30 ero già in mezzo alla nebbia che si diradava sotto i primi raggi del sole, accanto al corso della Chianetta, fra il fango e l’acquitrino che si era creato e che ad ogni pioggia piccola o grande compare anche oggi.
Caricata con pellicola diapositiva Kodak Ektachrome a 64 ASA incominciai a scattare contro la nebbia attraversata dal sole, alle piante che sembravano tendere i loro rami secchi verso il cielo e che scomparivano degradando in mezzo a quella nebbia.
Compresi subito che era uno strumento eccezionale che consentiva una creativitàche all’epoca era unica.
A parte la visione diretta dell’esposizione ed il controllo della profondità di campo,ma le facoltà misurate di esposizione fino alla tendenziale cifra di 6400 ASA ed una istantanea che arrivava a 1/1000 di secondo che per quegli anni era il massimo, facevano di quello strumento un ‘’mostro’’di versatilità. Ancora oggi dopo 45 anni funziona perfettamente ed ancora dopo decine di migliaia di scatti il millesimo di secondo della sua tendina al titanio è ancora un millesimo di secondo.
Dopo quella breve escursione di circa 2 ore rientrai a casa e spedii il film per lo sviluppo. Ero ansioso di vedere il risultato del mio esperimento perché mi ero appuntato i dati tecnici su un block notes che avevo con me e che ad ogni scatto riempivo.
Una settimana dopo il risultato al ritorno del film mi dette totalmente ragione, non ne avevo ‘’toppato’’ nessuna. Mi sentii al settimo cielo. Ancora oggi se ci ripenso sorrido , chissà che cosa mi sembrava tutto questo!
Potevo comunque contare totalmente su quel mezzo e nel tempo attorno al corpo macchina incominciò una ridda incredibile di decisioni del tipo se fosse possibile che considerassi prima l’acquisto di un tele oppure di un grandangolare.
Scelsi la dotazione di un teleobbiettivo e comperai in un negozio di Napoli in Galleria Vittorio Emanuele un Nikkor 200 mm f / 4, uno delle ottiche più riuscite della Nippon Kogaku in quell’epoca.
Durante la guerra del Vietnam i fotografi erano tutti dotati di tale ottica e raggiungevano risultati eccezionali. Ebbe il battesimo del fuoco in Marocco ed in Algeria in un viaggio di un mese fatto assieme all’amico Paolo Fabre nel Luglio del 1969 ed i risultati furono molto positivi e di qualità inattesa, ma anche quelli dove lo impiegai a ‘’quota 1000 sul Vesuvio’’in una serie di autoscatti creativi dove saltando velocissimo sopra la lava nerasolidificata da secoli riprendo me stesso
mentre lancio un grande sasso contro il cielo.
Impiegai una velocità di scatto elevata ad 1 / 1000 di secondo con pellicola Ilford a 400 ASA sviluppata in Microphen .Le Palle di Grana erano grandi come cocomeri ma il risultato fu piacevole. All’epoca faceva tanto ‘’Blow Up’’di Antonioni e qualche donna ogni tanto abboccava…. A qualcuna feci caso che forse interessava più la Nikon Photomic che il sottoscritto e quindi dopo andavo da solo sul Vesuvio. Ricordo che indossai un barracano da arabo e durante la stampa in una foto appoggiai sulla carta una di quelle spugnette rotonde che servivano ad inumidire le dita quando si dovevano attaccare i francobolli.
Il cerchio era perfetto poiché lo spazio della spugnetta aveva fatto sì che la carta non avesse ricevuto il colpo di luce della stampa e quindi in mezzo alla grana sembrava proprio il disco della luna al suo levarsi di notte. Il sasso davanti al disco fece il resto. Sembravo Belzebù che col barracano che mi arrivava fino alle caviglie scagliava il sasso a mo’ di Polifemo che si stagliava sul disco della luna: la titolai ‘’Infernal Moonrise’’, chissà cosa mi sembrava di aver fatto ….
Ah, come era bello il mondo, una volta!
Caro Donatelli,so che lei ha abitato a Londra per tanti anni e quindi ha assimilato molto del modus vivendi e dello spettacolo quotidiano che avveniva nella capitale a quel tempo della beat generation.Precisamente il 12 Settembre 1970 ero a fotografare un concerto ad Hyde Park dove suonavano i Rolling Stones ed altri che adesso non ricordo.Nel pomeriggio piovoso proprio per fare fotografie agli hippyes ed all’acid peoples convenuti rischiai grosso.Mi inseguirono un drappello di Hells Angels ai quali avevo rivolto quel 200 mm di cui parlo nel post.Mi videro ma riuscii a nascondermi in mezzo alla gente e mentre scappavo fotogra-
favo.Quella degli Hells Angels di spalle la riuscii a vendere alla Roy Rogers Jeans and Jackets di Campi Bisenzio(Flli Bacci) pagatami la somma di 100 mila lire che all’epoca era qualcosa.Qualche mese dopo al salone del Jeans di Parigi c’era un poster di 8 metri x 8 con la mia immagine degli Hells Angels presi di spalle scattata un secondo prima della fuga.Mi sembrava un sogno.Ad oggi conservo sempre il manifesto. Altri tempi Donatelli…. oggi potrebbe fotografare anche Eta Beta ma con rispetto parlando è come fosse carta igienica.
…..e la fotografia ( ah la vecchiaia!)
Grazie per lo splendido articolo.