Nel l’ultimo numero dell’Espresso ho trovato un interessante articolo di Giuseppe Berta dal titolo “Rinasceremo con una stampante 3D”. Si tratta in sostanza di una bella recensione del libro “Makers. Il ritorno dei produttori. Per una nuova rivoluzione industriale” di Chris Anderson. L’articolo a sollecitato la mia curiosità e così ho scaricato il libro che si legge tutto d’un fiato.
Cosa sostiene Anderson? La rivoluzione digitale oggi consente di produrre facilemente alcune categorie di beni attraverso una “stampante” che invece di produrre documenti, produce oggetti anche molto complessi.
Di queste stampanti si possono trovare versioni economiche a due o trecento euro. Con meno di cinquecento euro se ne trova una: “RepRap”, che è capace di riprodurre se stessa. Così comprandone una è possibile produrre i singoli componenti produrne altre.
Fino a quale complessità di prodotto? In un altro articolo avevo scritto di Arduino, un versatile microcontrollore elettronico, anch’esso open source, di costo minimo ma che può essere ancora ridotto tramite l’autoporoduzione che una stampante 3D può consentire.
Anderson spiega come forma di produzione complesse (con le “stampanti” attuali) siamo ancora agli inizi, ma che potrebbero portare a produzioni limitate e decentrate. Insomma una grande opportunità per zone “periferiche” come le nostre. Ci racconta come suo nonno, un immigrato svizzero in America. Era un operaio specializzato che era riuscito ad inventare molti prodotti, ma solo uno di questi riuscì ad avere un certo successo perché venduto a un’impresa. Ora con l’innovazione della stampante atre dimensioni quel nonno potrebbe essere imprenditore di se stesso.
Mi ha un po’ ricordato il mio di nonno che era ingegnosissimo. Mi raccontava come c’erano in ferrovia operai degli anni ’30/’40/’50 che riuscivano a inventare, anche se poi i brevetti se li prendevano gli ingegneri. Ora l’ingegnosità e l’inventiva possono essere amplificatila tecnologia può aiutare a decentrare le produzioni. Si aprono sicuramente nuovi orizzonti.
Si può produrre anche quantità ridotte con la stessa “stampante”. La piccola impresa si può muovere sulla tecnologa avanzata, a costi relativamente modesti e non necessariamente in grandi distretti industriali..
Torniamo allora al nostro vecchio pallino: perché le nostre scuole non si attrezzano? Si tratta di investimenti limitati, ma che potrebbero portare all’invenzione di prodotti. Allora la stampante 3D si affianca ad altre attrezzature a basso costo per valorizzare i nostri giovani.
Ma si può andare oltre. Si possono creare i cosiddetti FabLab, piccoli laboratori attrezzati con macchinari non costosissimi ma ce il singolo “inventore” non potrebbe permettersi come stampanti 3D più sofisticate o un “laser cutter” e cioè un macchinario che guidatio da un computer puà tagliare materiali di diversi tipi. Allora se ci fosse uno di questi piccoli laboratori presso le nostre scuole tecniche o professionali, si potrebbe, non solo servire i corsi, ma anche gli utenti esterni, incoraggiando creatività e invenzione.
Per la partecipazioni degli studenti non ci sarebbe alcun problema. Per il resto, cioè coinvolgere la scuola in un progetto di innovazione, a me personalmente non parrebbe vero, ieri sera ho girato una mail ai miei colleghi che dovrebbero essere più competenti di me sulla materia del fablab, anche chiedendogli di intervenire, evidentemente il giorno prefestivo non è dei più favorevoli, ma credo che potremmo parlarne in un tavolo allargato. Sull’argomento sarebbe necessario coinvolgere aziende del territorio, non solo di Chiusi, ma di tutto il bacino di utenza dell’Istituto. Recentemente con la scuola abbiamo attivato un Comitato Tecnico con Istituzioni e associazioni di categoria (Confindustria, CNA ecc.) e prima possibile vedrò di interessarle. Stamani parlando della cosa con un ingegnere di Chiusi, che lavora con noi, in merito a questa collaborazione scuola imprese, mi ha dato un suggerimento come si dice a “fagiolo”: – Mi ha detto che da tempo vorrebbe acquistare un Plotter, ma ha sempre rinviato in quanto lo userebbe solo poche volte all’anno. Se trovassimo altri con la stessa esigenza, potrebbe essere acquistato insieme e tenuto a scuola a disposizione degli studenti e degli acquirenti, alla necessità. Al “Tecnologico”, ne serve proprio uno nuovo. Stessa cosa potrebbe essere tentata per le attrezzature necessarie al fablab
E’ molto interessante il dibattito ce si sta sviluppando su questo tema. Sostiene Carlo (Giulietti) che l’ipotesi è politicamente poco realistica. Benissimo partiamo allora con prudenza. Propongo di costituire una sorta di “associazione per l’innovazione della Valdichiana”. Le iniziative possono essere le più varie: corsi su argomenti diversi, progetti (e fra questi anche il fablab).
vediamo di partire esclusivamente con le nostre forze. Io ho un compagno di “pendolarismo” a Roma che sarebbe disposto da settembre a fare un corso sulle reti (tipo CISCO academy) gratuitamente. Unico vincolo è che si tenga il sabato mattina. Allora la domanda è: la scuola giustificerebbe questa assenza del sabato per gli studenti del professionale e del tecnico interessati?
Penso la cosa più interessante di questa tecnologia risieda nel fatto che è possibile giungere ad una prototipazione a costi bassissimi. In un prodotto industriale la fase di prima sperimentazione del prodotto aveva sin ora costi molto elevati tant’è che negli ultimi dieci anni erano fioriti sistemi informatici per la modellazione degli oggetti che potessero riprodurre il più fedelmente possibile le proprietà dei prototipo. Quello delle stampanti 3D è un passo notevole non tanto per l’oggetto in se quanto per la rivoluzione che propone: la possibilità di dar corpo alle proprie visioni e proporle al più alto numero di persone a bassissimi costi…si, sono convinto che il prossimo sviluppo passerà da qui come asserisce Anderson.
Vanno benissimo i fablab, ottima idea. Così come trovo utile che il nostro Professionale si doti di attrezzature di questo tipo.
Lo vedo però poco probabile, vista la penuria di risorse economiche nella quale versa l’istruzione italiana.
Se però i soldi non ci sono, l’inventiva non manca: basta vedere il recente articolo sul grill di recupero pubblicato su questo blog. Allora perché non usare quell’inventiva per realizzare un cutter od una milling machine a costi ridotti, anziché comperarne di professionali a costi alti? Tra l’altro, non c’è niente di meglio che realizzare qualcosa per capirne il funzionamento e sfruttarla al meglio.
Tanto per fare un esempio, Vinicio Massai,, ben noto geniaccio chiusino, s’è fatto una milling machine a 3 assi recuperando motori passo-passo e slitte da vecchie stampanti ad impatto e montandole opportunamente su (mi pare) un vecchio cassetto metallico. Ha poi progettato e realizzato l’elettronica di pilotaggio dei motori e l’ha collegata alla parallela di un PC che funge da controller. Va che è un amore! Ci ha pure fatto un cameo (con l’immagine della figlia, del figlio o della moglie, non ricordo).
Se volete ammirare l’opera di Vinicio, potete andare alla sua officina al 51 di Via della Pietriccia.
Vinicio è un ex studente del Professionale. Mi pare che abbia studiato da “elettrico”. Infatti è a volte un po’ scontro, come tutti i geniacci elettrici: avvicinatevici con cautela.
Ma è di cuore: pratica uno sconto sull’ingresso a militari e ragazzi!
Il libro di Anderson non pretende di “vendere” l’idea che con una stampante 3d sui fa la rivoluzione. E’ soltanto il primo passo per passare come scrive “dal bit all’atomo”. Il passaggio successivo è quello dei cosiddetti “fabrication laboratories”, una sorta di centro servizi che permettono di accedere a “tagliatori laser” (laser cutter e altre attrezzature che consentono a un “inventore” di reali9zzare le proprie idee a prezzi contenuti e passare a una produzione commerciale senza i vincoli della produzione di massa.
Porta l’esempio della 3D Robotics che è una società fondata proprio da Amderson, partita dalla progettazione di modellini di aerei e ora è all’avanguardi anella produzione di droni. Tutto opensource, chiunque volendo può copiare senza vincoli se non l’impegno a rendere “aperti” glui eventuali miglioramenti. Si tratta allora di capire se un “fabrication laboratory” che può utilmente servire una scuola tecnica può essere aperto all’utilizzo di tutti.
Uno dei miei figli che studia da disegnatore ha avuto modo di preparare dei lavoretti da stampare con queste stampanti 3D e mi risulta quanto ha ben spiegato Tomassoni, anche se le stampanti sono delle più professionali. Un suo professore, a quanto mi raccontò, ne possedeva una pagata varie decine di migliaia di Euro, e la cosa più curiosa che aveva raccontato di averci prodotto, oltre ai più svariati tipi di modelli, erano delle scarpe che potevano essere indossate, dalle modelle durante sfilate di moda.
Ho letto che i prezzi scendono rapidamente e di contro le potenzialità aumentano.
Certamente, anche queste sono cose che possono interessare i laboratori scolastici, forse al momento più quelli ad indirizzo artistico, ma le scuole spesso non riescono neppure a sostituire il computer che si guasta, quindi di questi tempi non ci dobbiamo aspettare grosse innovazioni .
Speriamo…, che qualcuno si decida a investire nella formazione pubblica, ma finora “tutti lo hanno promesso e nessuno lo ha fatto” .
Paolo lo conosco da anni ed è sempre molto proiettato nel futuro: come dice la pagina sulla RepRap, l'”autoreplicazione” si limita alle sole parti in plastica (e non tutte, se consideriamo il “contenitore” dei circuiti integrati del governo).
La stampa 3D è in giro da +o- un decennio e si basa su due o tre tecnologie diverse.
La RepRap usa la “modellazione a deposizione fusa” (FDM), nella quale un pezzo di plastica viene fuso ed espulso da un ugello, dotato di 3 o più gradi di libertà, il quale deposita la plastica fusa su più strati fino a formare l’oggetto voluto. Un po’ il principio delle stampanti termiche a cera, nelle quali però il prodotto finale è una stampa su superficie bidimensionale. Altre tecnologie usano la capacità di alcuni polimeri di cristallizzare se esposti a luce di opportuna lunghezza d’onda e potenza (Digital Light Processing o DLP), oppure l’ablazione termica o meccanica (la classica fresa, ma su 3 o più assi).
Purtroppo, tutte le tecniche attualmente usate dalla stampa 3D richiedono l’uso di materiali base con caratteristiche particolari, in grado cioé di fondere alla temperatura giusta e di disporre di una giusta viscosità allo stato fuso, ovvero di avere proprietà ottiche particolari ovvero meccaniche specifiche. Ciò tende a limitare gli usi dei pezzi prodotti da queste macchine: quelli che si fondono durano ben poco ad alte temperature o sono pessimi conduttori di calore (sopratutto se fondono a basse temperature), quelli fotosensibili tendono ad essere fragili.
La tecnica con il range un po’ più ampio è l’ablazione meccanica, ma anche lì ci sono limiti (non si lavorano bene materiali fragili).
Insomma, siamo secondo me lontani da una diffusione di massa di stampanti 3D perché i loro prodotti hanno un range di applicazioni piuttosto limitato.
Questo non significa, però, che non ne abbiano affatto o che siano inutili in ambiente didattico.