Questo titolo è maturato nella bottega del mio barbiere. Si chiama Gianni ed è giovane.
Una volta questo luogo (barberia o salone che dir si voglia) era depositario di filosofia, o, quantomeno, di saggezza popolare. Oggi un po’ meno, ma tutti sanno qualcosa di Machiavelli che commentano in modo semplicistico con il motto: “Il fine giustifica i mezzi”.
Niccolò Machiavelli è una delle personalità più importanti del Rinascimento: letterato, storico, politico, drammaturgo, filosofo.
Quest’anno 2013, si celebra il cinquecentesimo anniversario, non della nascita (3 maggio 1469), non della morte (21 giugno 1527), ma della sua opera più importante: IL PRINCIPE (1513). Non un tomo, ma un piccolo libro (una cinquantina di pagine) del tipo, a prima vista, del manuale genere “Utili consigli per”.
Ma a rileggerlo e a ripensarlo, si avverte qualcosa d’intrigante che va oltre quanto affermato ed è ancor oggi oggetto di riflessione.
Ho chiesto aiuto alla mia amica Loretta, già docente presso il liceo classico di Cortona, che ha addirittura sceneggiato il Principe con i suoi allievi.
Ha messo in evidenza alcune caratteristiche fondamentali del pensiero del grande Fiorentino:
-
l’indipendenza della politica dalla morale;
-
la concezione naturalistica dell’uomo;
-
il protagonismo dell’essere umano nella storia, a motivo della sua intelligenza che gli permette di controllare gli eventi e la “fortuna”.
Così scrive Loretta a conclusione: «A capo dello Stato dovrà esserci un individuo (il Principe) dotato di particolare intelligenza e “virtù”, che userà le leggi e la forza unita all’astuzia; se è necessario dovrà “saper entrare nel male”».
Affermazioni che in un primo impatto mettono a dura prova la nostra sensibilità e suscitano diffidenza.
Provvidenziali divengono le celebrazioni che molte città organizzano con l’intervento di autorevoli esperti in materia.
Nessuna di queste iniziative ha avuto la fortuna di quella Firenze: “un faccia a faccia” (come oggi si usa) tra Niccolò Machiavelli e il sindaco della città, Matteo Renzi.
C’era un gran mucchio di gente e, tra questi, anche un certo Giacomino, che a Firenze non contava niente. Poco conta anche in questa storia, al punto che non ne parliamo più. Per ora.
Niccolò Machiavelli, come tutti i notabili dell’epoca, vestiva il suo bellissimo “robone” rosso sanguigno. Sarà bene descrivere questa lunga tunica. Robone: veste da cerimonia assai ricca, di raso, seta o velluto, usata un tempo da cavalieri, dottori, gentiluomini.
MAT – Toh, ma che ci fai tu qui?
NIC – Io che ci fo? Hai imbandierato Firenze con questo “Confronto col Principe”. L’hai forse scritto tu questo libro?
MAT – Non avrei mai pensato di avere Niccolò Machiavelli in persona.
NIC – Senti, Pispolino, prima mi inviti, poi fai il furbo.
MAT – Cominciamo bene. Pispolino a me? Guarda come sei conciato, Robone!
NIC – Ti riferisci a questa mia tunica rossa, o a qualcos’altro?
MAT – “Io le cose le dico in faccia”, mi fai un po’ ridere.
NIC – A me fai ridere tu, Pispolino, con codesto giacchettino di pelle e quel ricciolino sulla fronte.
MAT – Senti, Robone, sei venuto di tua iniziativa o ti ci hanno mandato?
NIC – Così oggi si ricevono gli ospiti a Firenze. Una volta si offriva da bere. Dal 1513 a questo vostro 2013 la strada è lunga e sono tutto fradicio di sudore.
MAT – Beh, già che ci sei, te lo “voglio dire in faccia”: questo tuo Principe è proprio un fascista. A Firenze oggi comanda il popolo di Firenze.
NIC – Ma fammi capire: comandi tu o comanda il popolo?
MAT – Comando io perché sono sindaco, col consenso del popolo. Qui siamo in democrazia.
NIC – No, questa storia del “consenso” non l’ho capita. Se comandi e hai il controllo della situazione, che ti serve il consenso?
MAT – Caro Robone, sei rimasto un po’ indietro, il tempo in cui si credeva che l’autorità venisse da Dio.
NIC – Guarda, che se tu vuoi “rottamare” anche me ti sbagli. Avevo 44 anni quando scrissi il Principe e ancora non sono vecchio.
MAT – Io rottamo tutti quelli che hanno la testa come la tua e vivono facendo i cortigiani.
NIC – Tu no, eh! Mi hanno detto che fai la spola tra Arcore e la Sardegna, per avere la santa benedizione e l’investitura.
MAT – Il sindaco di Firenze, caro mio, non ha bisogno né di Ber, né di Bri. Perché è il sindaco di Firenze, la più bella città del mondo.
NIC – Ah, sì? Li hai conosciuti tu Santa Maria Novella, Santa Maria del Fiore, l’Ospedale degli Innocenti, Palazzo Vecchio, Palazzo Strozzi, gli Uffizi con tutti i quadri che ci sono dentro, tanto per citare qualcosa?
MAT – O Robone, a me non mi puoi dare del bischero. Pensa piuttosto alle vostre congiure di palazzo, tipo quella dei Pazzi, con avversari vinti alla forca, squartati e sparsi per la città, cibo per cani.
NIC – Mi dicono che quanto a congiure anche voi non state male. Tradimenti allo scoperto, davanti agli occhi di tutto il popolo per via di quello specchio che chiamate TV. Noi almeno si faceva al chiuso, con le fave.
MAT – Bella questa storia delle “fave”; in che consiste?
NIC – Si votava con fave bianche e fave nere (sì e no) messe in un bussolotto. Capisco la vostra difficoltà, dal momento che siete più di mille. Dipende da come va l’annata.
MAT – Già, per voi ne bastava solo una: la fava del Principe. Il solito sistema fascio.
NIC – Non ti gonfiare, Pispolino, che quello che c’è di buono a Firenze l’ha fatto il Principe. Basta dare un’occhiata alle tue periferie. Mi dicono che centinaia di fiorentini, gira gira, sono morti per strada tra Calenzano e Sesto, prima di ritrovare l’uscio di casa.
MAT – Senti, Robone, non è che porti sfiga? O ti senti troppo furbo perché dotato di “virtù” che per noi è cosa ben diversa dall’astuzia e dalla scaltrezza del tuo Principe?
NIC – Invece voi avete trovato la soluzione: ciascuno vota per se stesso e tutti governano. Che bellezza! Però vi lamentate che c’è la Casta. Come la mettiamo?
MAT – La mettiamo così: che noi possiamo fare a meno del tuo Principe e voi no, perché il popolo è sovrano.
NIC – Come dire che non ne avete bisogno di uno solo, ma vi servono molti principi. Ma se tutti sono principi non c’è più il popolo e nessuno obbedisce.
MAT – Ho riflettuto su questo, caro Robone, e la cosa mi turba un po’. Per questo ho dato immediatamente la mia disponibilità. “Io parlo chiaro”: non mi tiro indietro.
NIC – Quindi sarai il principe dei principi.
MAT – Mettiamola così.
NIC – Tu sai come la pensa il mio Principe: che l’uomo è malvagio e che lui, il principe, deve essere sempredisposto a “scendere nel male”.
MAT – Piano, Robone, non mi assillare. Vedremo situazione per situazione. Non mi chiedere ammissioni che un politico non può fare.
NIC – In questo hai ragione. Infatti anche il mio Principe in carne ed ossa non l’andava a dire in giro cosa pensava dell’uomo e come intendeva contenerlo.
MAT – Lo vedi che cominciamo ad intenderci, vecchia volpe. D’altra parte c’è anche la questione dell'”interesse pubblico” che non sempre si riesce a distinguere da quello privato.
NIC – Bravo, Pispolino: pensa alla fatica che fa un politico e uno storico, come me, a parlare a gente che non è ancora nata.
MAT – Come ti capisco. Tra noi principi ci intendiamo.
NIC – Quindi, il mio viaggio dal cuore del Rinascimento fino a quest’anno 13 del terzo millennio, non è stato inutile. Anzi il 13 porta fortuna.
MAT – Credo che io e te coltiviamo un comune ragionevole dubbio: che l’uomo di governo non possa mai pensare, sentire, agire come un comune uomo della strada.
NIC – Su questo siamo sicuramente d’accordo; ed aggiungerei anche che è bene che il comune uomo della strada non pensi e non agisca come il Principe.
MAT – Ma tu mi sembri un brav’uomo, Niccolò, e mi viene voglia di abbracciarti.
NIC – Anche a me, Matteo. Hai la stoffa del Principe, ma stai attento perché “gli uomini sono cattivi”.
MAT – Ciao. Niccolò, io credo che non sia così, ma i tuoi consigli mi mancheranno.
NIC – Ciao, Matteo, tienimi d’acconto Firenze.
MAT – Che fai ora, ritorni giù?
NIC – Eh, sì. Per fortuna che è tutta in discesa
Giacomino lo guardava mentre si allontanava sotto il peso dei suoi cinquecento anni e pensava: in fondo, se poniamo come fine ultimo la “pubblica utilità” e il “bene della persona”, possiamo ben dire che “il fine giustifica i mezzi”.
Gianfranco Barbanera
Il dubbio è, a dir poco, amletico (?). Penso che se si prestasse più attenzione al ‘fine’ di qualsiasi sovrano e meno ai mezzi usati, forse si potrebbe cominciare a distinguere dove i sovrani fondano la loro potenza. Ci vuole poco….imbarbarimento di tutti i livelli sociali nella gran parte del mondo credo sia un segnale (forte) che c’è qualcosa che non và al di sopra dei vari sovrani. Non sono pessimista, ho descritto la situazione attuale in cui ci troviamo. Basta dare uno sguardo intorno per accorgerseni, e non ho parlato del clima.
Donatelli, il mio è un problema di “ordinaria amministrazione”: è un appello al costituzionalismo e al rispetto delle regole. E’ chiaro che, in uno stato di eccezione i mezzi diventano eccezionali. E, anche qui, nessuna contraddizione: i mezzi sono adeguati al fine da perseguire. Il presupposto è che ci sia un sovrano, “colui che decide lo stato di eccezione”, cioè capace di decidere in quel senso. Resta da sciogliere il dubbio se il sovrano abbia i crismi per essere tale e dove fonda la sua potenza.
Mi permetto di contraddirre il Sorbera…….il fine giustifica i mezzi….dipende dal fine non dai mezzi usati. Se cosi non fosse oggi, tanto per esempio, Churchill non avrebbe
‘ fermato’ Hitler.
Nessun fine giustifica i mezzi: ogni fine dev’essere perseguito con i “giusti” mezzi. L’affermazione di ser Niccolò “funzionerebbe” perché parte dalla premessa che il Principe è “il migliore”, incarna, cioè, il Geist del Volk (ogni richiamo al Gott mit uns è decisamente voluto) ;-), ma che dire di un Principe “guasto” – contraddizione in termini, per Machiavelli, ma non per noi -? Siamo proprio sicuri che i suoi fini saranno utili? E quali mezzi adopererà “per lo fine suo”?
In effetti il fine del “principe” è quello della conservazione del potere. Questa è la lezione di quel libro. Una sorta di manuale scritto dal primo scienziato della politica.
Poi c’è anche il sistema politico che Machiavelli prefersce: la repubblica. Una repubblica che deve comprendere che il conflitto sta alla base della sua stessa esistenza. Mi piace ricordare ai miei studenti un passaggio di un’altra opera fondamentale di ser Niccolò, i Discorsi:
“Io dico che coloro che dannono i tumulti intra i Nobili e la Plebe, mi pare che biasimino quelle cose che furono prima causa del tenere libera Roma; e che considerino più a’ romori ed alle grida che di tali tumulti nascevano, che a’ buoni effetti che quelli partorivano; e che e’ non considerino come e’ sono in ogni republica due umori diversi, quello del popolo, e quello de’ grandi; e come tutte le leggi che si fanno in favore della libertà, nascano dalla disunione loro (…)”
…..si’, il fine giustifica i mezzi, il problema è nella domanda: quale fine si vuol raggiungere? Se il fine è il proprio ed esclusivo interesse allora il fine non giustifica assolutamente i mezzi.