Il più bravo è quello che dice in una manciata di secondi più parole. Questo è il messaggio corrente dell’agone politico e in particolare del dibattito televisivo.
Un’immane stupidità che nessuno osa contraddire, anche perché non ne ha l’opportunità: nessuno invita chi ha il vizio della riflessione, chi usa un linguaggio elementare, chi parla troppo lentamente. È quindi inadatto al talk show televisivo.
Per fortuna Papa Francesco non ha bisogno di un invito per porsi all’attenzione dei media.
Pronuncia frasi di una “banalità” disarmante: “Pietro non aveva il conto in banca”; “Fa male vedere preti su auto si lusso”; “Alla gente serve tenerezza”.
Il mondo si chiede da dove venga uno così. Lui l’aveva detto: “Quasi dalla fine del mondo”. La gente semplice ha orecchio, per fortuna, di lui si parla amabilmente nei mercati rionali, nei bar di periferia, nei luoghi di lavoro. Sembra un minore francescano, ma non lo è: è un gesuita che però si chiama Francesco.
Francesco primo. Per forza, non ce n’era un altro! Ma dove lo è andato a pescare questo nome tra tutti i Paolo, Benedetto, Giovanni, Pio che cominciando dal primo, si arriva quasi al trentesimo.
Viene da pensare – anzi è quasi una certezza – che questa scelta l’abbia fatta tutto da solo, in silenzio, senza confidarsi con alcuno. A quale cardinale o alto prelato poteva venire in testa un nome simile: Francesco, il poverello d’Assisi.
Parla di una “chiesa povera”, papa Bergoglio, e molti della Curia e della Segreteria di Stato, dello Ior, sorridono pietosamente, come dire: “Ti voglio bene Francesco, ma vacci piano… sei su un terreno minato”. È gente intelligente, navigata (speriamo anche pia) che vede questo evento della “chiesa povera” molto improbabile. A rigor di logica non hanno torto: basta valutare il patrimonio immobiliare che ha lasciato il poverello d’Assisi. Certo non è mai stata sua intenzione capitalizzare e non ha mai comprato né venduto.
Si dice: i frati sono poveri, il contento è ricco. Magra consolazione.
Il poverello d’Assisi vestiva di saio, dormiva sotto le stelle, esposto alle intemperie, ed è morto disteso sulla madre terra. A 44 anni, per tumore osseo. Come poteva sopravvivere oltre?
Quest’anno 2013 si celebra l’ottocentesimo anniversario del Dono della Verna da parte di Orlando Catani a quel simpatico fraticello.
“Prendilo pure quello scoglio”, avrebbe detto il conte, “lassù non ci pascolano neppure le capre”.
Il Papa si è proposto di visitarlo questo luogo santo, con annesso un grande complesso che accoglie una delle più grandi collezioni di Robbiane (tavole invetriate di Luca e Andrea Della Robbia).
“Altro monte non ha più santo il mondo”, recita l’Alighieri, e indugia sulla descrizione del luogo e dell’evento miracoloso delle Stimmate:
“Nel crudo sasso intra Tevero ed Arno
da Cristo prese l’ultimo sigillo,
che le sue membra due anni portorno”.
Papa Bergoglio non può non andarci a la Verna, come ad Assisi: ha bisogno di un miracolo!
Questo grande comunicatore parla d’amore anche quando accenna al conto di Pietro o alle automobili dei prelati; meglio se in bicicletta.
La gente umile lo capisce molto meglio degli intellettuali e degli uomini di potere.
Usa un’altra banda dell’etere e parla in un canale finora sconosciuto ai grandi della Terra.
I “piccoli” lo sentono come uno di loro, perché conoscono il suo linguaggio, e loro sono la stragrande maggioranza del genere umano.
Sentono che Papa Francesco ce la farà a tirar fuori il mondo da questa “frigida palude”. Lui lo dice quasi quotidianamente, con quelle sue parole “povere” di grande comunicatore.
È di portata mondiale questo suo recente incontro a Lampedusa con i migranti, quelli che ce l’hanno fatta e quelli che giacciono – giovani donne, bambini – in fondo al mare.
Una “lectio magistralis”, senza parole, ai grandi della terra, con un finale che è raccomandazione e profezia: “Voi governanti, politici, sopravviverete solamente se saprete parlare al “popolo degli innocenti”.
I veri rivoluzionari sono quelli che rinascono nella storia, anche dopo ottocento anni, come il poverello d’Assisi.