Da una collaborazione di Carlo Sacco con Stefano Vitali
Questo Post non vuole assegnare valutazioni preferenziali che assegnino nella storia della fotografia collocazioni che privilegino un brand invece che un altro, ma aiutare il lettore interessato a farsi un quadro storico-evolutivo delle forze tecniche in campo e che hanno contrassegnato un lungo duello espletato a colpi di pubblicità nel mondo della guerra delle fotocamere professionali SRL 35 mm, sia analogiche sia digitali.
Ho pregato un mio caro amico fiorentino ’’ leicista‘’ da sempre di scrivere un breve cenno di quella che è stata e forse che continua ad essere la fotocamera d’eccellenza se non altro per le sue ottiche e per la sua robusta meccanica nonché per la sua storia : La Leica.
Ecco ciò che scrive Stefano Vitali, riparatore self made man di Leica : La Leica è una fotocamera che ha fatto la storia della fotografia. Veniva fabbricata in Germania a Wetzlar dalla ditta Ernest Leitz.
Il suo progettista Ing.Oskar Barnak la ideò nel 1925 partendo da una pellicola cinematografica ed intorno vi costruì una fotocamera con il formato 24x36mm.
Le piccole dimensioni e la buona qualità ne decretarono il successo. Tutti i grandi fotografi nella loro storia hanno avuto una Leica,una fotocamera indistruttibile,con ottiche dalla resa straordinaria.
Dal 1925 in poi i modelli si susseguirono sempre più perfezionati,con ottiche intercambiabili. Sul mercato non aveva rivali e neanche la mitica Zeiss poteva reggere il passo al successo delle Leica, che peraltro costava una cifra molto più alta.
Nel dopoguerra e negli anni ’50 si toccarono numeri di quantità prodotte molto alti ed il mito della Leica è già consolidato : i professionisti la usano,molti facoltosi benestanti la esibiscono e per tanti appassionati resta un sogno e chi ne veniva contagiato difficilmente poteva passare ad una altro marchio ma ne restava fedele a vita. In pratica una vera e propria filosofia scollegata dal consumismo produttivo giapponese. La sua produzione dal 1925 al 1954 è con obbiettivi a vite per poi passare ad un attacco a baionetta,mentre va considerato che la forma ergonomica della macchina rimane le stessa fino ai giorni nostri,come sinonimo di un progetto nato pressoché perfetto. Del tipo di ciò che poteva rappresentare la Linhof nella macchine a banco ottico : un non plus ultra.
Vedesi nelle immagini :
Foto n.1: Leica 1 Vite 1925.
Foto n.2: Leica IIIF vite Foto 1954
Foto n.3:Leica M3baionetta 1954.
Veniamo allora per un momento ad inquadrare i ‘’Brand’’ che si contrapponevano a ciò che Stefano Vitali ha detto e che hanno fatto si che nello scenario evolutivo si fossero presentati nel mercato globale dopo gli anni ’50: Nikon e Canon principalmente.
A tali marchi hanno fatto più che altro riferimento i battesimi sul campo specialmente nel fotogiornalismo di guerra negli anni ’60 e ‘70 ed oggi appaiono essere gli strumenti che si contendono il mercato a suon di innovazioni costosissime soprattutto per quanto riguarda i teleobbiettivi spinti di lunga focale ma anche di media e corta.Sia nell’analogico che nel digitale la produzione ed il livello tecnico ingegneristico ha raggiunto livelli quasi parossistici negli ultimi 10-15 anni.La scelta dei vetri alla fluorite ha consentito alle ottiche di lunga focale di raggiungere dei gradi di luminosità tempo addietro impensabili ma chiaramente aumentando il costo dei prodotti, frutto di un connubio continuamente ‘’dialogante’’ fra corpo macchina ed obbiettivi stessi. Esistono obbiettivi messi regolarmente in commercio ed in dotazione a chiunque li voglia acquistare con decine di lenti all’interno che si muovono elettricamente l’una sull’altra e che i motori all’interno degli obbiettivi stessi possono seguire costantemente su tutta l’immagne inquadrata un punto ‘’mobile’’ che viaggia a centinaia di chilometri all’ora tenendolo costantemente a fuoco e scattanto fino ad 8 e più fotogrammi al secondo. In pratica quasi una cinepresa.
Nikon e Canon perciò oggi si contendono il mercato a forza di innovazioni in questo campo, mantenendo ognuna le proprie caratteristiche peculiari iniziali sia di ingegneristica costruttiva delle lenti sia di apparati di hardware costruiti e progettati oggi dalla Sony nel caso di Nikon per esempio.
Ma la vera emozione che davano le vecchie Nikon F Photomic ed a prisma degli anni ’60 e ’70 nei risultati che venivano fuori dall’uso che ne facevano uomini come Larry Burrows, Donald Mc Cullin, Kyoichi Sawada, Co Rentmeester e tanti altri che hanno coperto la guerra del Vietnam ed i conflitti nel Sudest Asiatico non si sono più riscontrate ai giorni nostri, nemmeno in quelle di un maestro come Steve Mc Curry nelle sua immagini dall’Afganisthan.
In tali casi l’analogico conserva intatta la sua ‘’dignità emotiva’’ in tali immagini,mentre il digitale è l’espressione ormai di un mondo teso alla velocità a tutti i costi, strutturato per una produzione continua di immagini che possono essere spedite dall’altra parte del mondo in pochi secondi dopo scattato.
Con una digitale Nikon o Canon di alto livello oggi può scattare anche un bambino e si ha una resa tecnica la maggior parte delle volte che non ha nulla a che invidiare ad un fotoreporter di professione,basta inquadrare, premere il bottone e la macchina muove l’otturatore ed apre il diaframma tenendo presente le migliori condizioni di esposizione esistenti in quel momento e scatta.Le foto che si decide di tenere e che ci sembrano ok si trattengono, quelle errate o che consideriamo tali si gettano via , ma la creatività e l’emozione sono altra cosa e prendono anche i momenti che seguono allo scatto e che vanno verso l’ottenimento totale della foto.
Parlando di comodità non si hanno paragoni ma quando personalmente viaggiavo le fotografie analogiche le vedevo un mese dopo quando tornavo a casa e non sarei senz’altro ritornato a rifarle di nuovo.Oggi decido un secondo dopo e spesso se non piacciono si cestinano e si scatta di nuovo.
La creatività invece è altra cosa. Oggi per essere creativi occorre possedere un substrato di cultura dell’osservazione affiancata da una esperienza fotografica rodata e che spesso provenga dall’analogico per comprendere e disegnare con la luce. Spesso è indispensabile l’osservazione ed il tener conto degli errori compiuti ma oggi i nostri giovani non hanno tale pazienza e tendono ad inanellare scatti su scatti di un solo soggetto relegandolo inevitabilmente nella spazzatura per poi magari affidarsi ai costosi workshop di fotografi di grido che promettono di insegnare una professione a suon di centinaia e migliaia di euro ad illusi che si rivelano poi oggetto di veicolazione di iniziative che non portano a nulla.
Per fare buone fotografie non servono macchine strabilianti e sofisticate, occorre innanzitutto usare il cervello, mettere in campo la nostra sensibilità ed essere attenti a quanto passa davanti a noi di quell’immagine che abbiamo ricercato ed immaginato. Le conoscenze tecniche occorrono, ma ugualmente occorre saper veder prima che si manifesti ciò che vogliamo fermare con il nostro click. E qui si dimostra che la conoscenza tecnica non è tutto.