Quando cade un mito

di Gianfranco Barbanera

La gente piange e si dispera quando perde un mito. È morto un padre, un marito, un fratello, un protettore, un ideale.

Si piange sempre per se stessi. Di fatto, l’evento luttuoso è già accaduto prima ancora del fatidico 30 luglio, qualunque sia la sentenza della Corte di Cassazione.

L’aspetto emotivo di una minaccia funesta si consuma già prima, anche se poi risulterà essere un falso allarme.

Non si può non condividere lo stato d’ansia e di preoccupazione di gran parte dei nostri connazionali che, in tale buona fede, hanno riposto nell’uomo Silvio Berlusconi fiducia ed aspettative. Si dovrebbe anzi attivare particolare attenzione a che questa possibile fine di “ventennio” non si risolva come già accaduto nella nostra recente storia, in risentimento e turbamento della normale vita di relazione sociale.

 

Le vicende di un solo uomo non possono trascinare verso l’ignoto le sorti di una formazione politica liberal-moderata, di lunga tradizione.

Troppe cose ci accomunano sul piano del vivere quotidiano, per far prevalere inutili tifoserie: una guerra perduta e una faticosa ricostruzione economica, l’attuale debolezza del nostro sistema produttivo, l’aumento della povertà, la disoccupazione giovanile, la perdita dei grandi valori tradizionali, l’incertezza del futuro.

L’evento che trapassa non può tuttavia essere liquidato “come non fosse mai accaduto”, o con la sfrontatezza del trasgressore abituale che addirittura mena vanto del “come bere un bicchier d’acqua”.

Ciò che sta per accadere, e intanto accade, rappresenta un momento storico di rilevanza etica, più che politica, che ha impregnato intere masse, più o meno consapevolmente. Una costruzione pseudopartitica in cui l’intenzionalità e la strategia appartenevano solo ad alcuni, pochi, che ne sono stati ideatori e beneficiati.

L’evento annunciato per il 30 luglio prossimo è già nella coscienza degli italiani. Il nostro benemerito Presidente della Repubblica non cessa di fare appello all’unità nazionale e alla solidarietà dell’intero popolo.

In questo quadro non ha molta rilevanza la salvezza delle rappresentanze politiche incatenate al capo. Si salveranno da sole. Già sono in volo stormi di “usconi reali”, con lo scopo d’individuare aree d’atterraggio morbido e nidi vuoti da occupare.

Una nuova specie di uccelli questi “usconi reali”, dalla testa di piccione e dal corpo di folaga. Uno scherzo della natura o, ancora una volta, una magia del Pifferaio Magico?

Non preoccupiamoci comunque per loro, la complessa natura di cui sono dotati li rende adatti a tutte le variazioni climatiche e a qualunque tipo di habitat. Molti di loro hanno fatto esperienza di infinite migrazioni.

Se saranno chiamati a governare, vedremo gli “usconi reali” sui tetti delle nostre case, saltellanti sui coppi per suonare la musica sacra dell’organo; se relegati all’opposizione li vedremo piombar con improvvisi voli radenti nel cuore del potere per poi sparire tra le canne palustri.

Sono uccelli capaci di affrontare grandi distanze. Non moriranno di fame: c’è tanto “becchime” (a suo tempo ammassato) ad Antigua e nelle “isole felici”.

Una migrazione fuori stagione questa che richiama strani fenomeni, tipo il disorientamento delle balene, la moria delle api. Gli animali, per primi, lanciano segnali d’inquinamento fisico ed umano di questo nostro pianeta.

Cosa servono le profezie di Nostradamus o dei Maya se noi sappiamo già tutto prima che accada? Da buoni italiani siamo capaci (meno male) di ridere di noi stessi e degli eventi: gli “usconi reali” si trasformeranno ancora e tutto rimarrà come prima in attesa di una nuova cova. Non c’è alcuna certezza: è tutto in rapida evoluzione anche per improvvisi balzi di protagonisti nell’area della sinistra.

Le esemplificazioni fanno coraggio, ma limitano l’approfondimento delle questioni. Qualcosa sta sicuramente cambiando: buona parte del “popolo degli usconi” (non quelli reali) si chiedono come possa la politica distanziarsi così tanto dalle leggi della natura.

A buon diritto, gli scienziati sostengono il principio delle “biodiversità” a salvaguardia della specie vegetale ed animale.

È terrificante pensare che una specie particolare di fiore, di mammifero, di pesce, di essere vivente dipenda da un solo seme, da una sola coppia, da una irripetibile muffa. Proprio come quel naufrago che nell’isola deserta può fare affidamento su un solo fiammifero per accendere il fuoco.

La natura si diletta spesso a creare il “monstrum” (portento, prodigio), forse per tenerci sempre all’erta e pronti ad affrontare il nuovo.

Gli uccelli, quelli veri (non quelli creati dalla fantasia del narratore) non fanno uso di vecchi nidi vuoti, ma ne costruiscono dei nuovi ad ogni stagione.

La politica dovrebbe uniformarsi almeno alle leggi del creato.

 

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