Da qualche tempo discutiamo dell’isolamento del nostro territorio a causa dell’Alta velocità ferroviaria. Purtroppo, le penalizzazioni non riguardano solo la mobilità. Realtà periferiche e piccoli centri, che rappresentano la storia, la bellezza e le migliori qualità del paese sono privati progressivamente di essenziali servizi e presidi pubblici.
. Ancora subiamo gli esiti, non sempre positivi delle gestioni privatizzate di alcuni servizi e già è partita l’operazione per attuare il forte ridimensionamento e la chiusura d’importanti strutture pubbliche: sedi giudiziarie spostate, scuole accorpate o private delle dirigenze e dei relativi servizi. Uffici postali, Stazioni di pubblica sicurezza ridotti nelle aperture o addirittura chiusi. E’ di questi giorni la soppressione di postazioni di guardia medica e stiamo certi, altri servizi socio sanitari, se non interi ospedali.
Così, attraverso scelte discutibili un pezzo dell’Italia è abbandonato. Razionalizzazione e riduzione degli sprechi sono le parole illusorie e di facile consenso, portate a giustificazione di scelte miopi che ridisegnano un’Italia ancora più squilibrata e povera.
Non sono bastati tutti i provvedimenti con i quali sono stati taglieggiati gli enti locali, la sanità, l’istruzione, il trasporto. Ora si creano divisioni e disparità anche tra grandi aree urbane e piccole realtà locali, che così perderanno ruolo e funzioni, sia in termini sociali sia economici.
In questa razionalizzazione non c’è nessuna visione di futuro, di miglioramento delle nostre vite, né prospettive di sviluppo. Si determina, invece, un arretramento delle opportunità e di prestazioni che dovrebbero essere uguali per tutti. Un ulteriore indicatore che ci dice che, sempre più andiamo verso un paese e cittadini di serie A e un paese di cittadini di serie B.
Eppure i piccoli centri costituiscono l’ossatura portante del paese: i comuni con meno di 15 mila abitanti sono il 91,8%, con una superficie territoriale pari al 79% e con una popolazione che arriva al 42% del totale. Le zone collinari e montuose rappresentano il 76% del territorio.
Peggiorare i servizi e le prestazioni in questa parte dell’Italia, significa impoverire presidi vitali per il mantenimento del paesaggio e dell’ambiente. Avrà l’effetto di peggiorare la qualità della vita di milioni di cittadini che vivono nei territori, nelle città minori di quello che era definito “il bel paese”. Spingerà i giovani ad andarsene verso le grandi città.
Siamo guidati da una politica povera di idee e da economisti ottusi che guardano tutto solo attraverso i numeri. Stanno ridisegnando il paese in base ad una modesta visione economica, dimenticando gli effetti sociali, i bisogni delle comunità e delle persone.
La qualità della vita, l’uguaglianza, la sostenibilità sociale, l’ambiente, il governo del territorio sono stati sempre temi della sinistra. Ora, dinanzi al fallimento di un’economia che ha guardato solo alla crescita quantitativa, ai grandi numeri che fanno massa critica, servirebbe un cambio di rotta, nel segno dell’equità sociale e, attraverso scelte di riequilibrio territoriale. Invece, si prosegue a difendere i ceti più forti, penalizzare le istanze locali, marginalizzare i territori, impedendogli di tornare a essere un motore del paese.
Quando si parla di fusioni di comuni e accorpamenti vari, occorre fare molta attenzione. I problemi non sono solo le questioni di campanile o le resistenze dei piccoli gruppi di potere. Il rischio è omologarsi al solito pensiero e contribuire a creare le condizioni per la marginalizzazione e l’abbandono di piccoli centri.
Leggendo i vs. interventi mi si rafforza una convinzione. Fino a quando questa”sinistra” che è tutto il contrario di”sinistra” perchè è stata creata e realizzata da un ceto politico che è andato avanti a forza di succhiare risorse e barcamenandosi e soprattutto spargendo una cultura di sviluppo bacata e falsa,si reggerà con la sua presa sociale nel corpo della società, le condizioni delle persone saranno destinate a peggiorare.Adesso sono concentrati tutti contro Grillo e sembra questa la loro principale occupazione,hanno gioito del suo ridimensionamento,credono e sperano che questo proceda ancora e gli permetta a loro di ritagliarsi maggior spazio.Le grandi intese sono destinate a proseguire fino a quando il sistema strozzato dalla propria politica non collasserà.Chi dissente da tale discorso credendo che le motivazioni che il sistema mette in campo lo possano rimettere in piedi si sbaglia,poichè ritengo che si continui in quel processo che i ricchi diventino di meno e sempre più ricchi ed i poveri sempre di più e sempre più poveri. E’ schematismo ? E’ catastrofismo? Credo che sia guardare la realtà vera,non quella artefatta propinataci con le tv.
XSorbera. Piano piano ma inesorabilmente ci stiamo avvicinando al nocciolo della questione.
Le cose sono arrivate a un punto tale che è difficile scorgere soluzioni ragionevoli.
Quanto al voto, ormai è chiaro da un pezzo che è stato ridotto a nient’altro che una delega in bianco a lor signori.
Luciano: classe “digerente” è un concetto più adatto. Quello che vedo a tutti i livelli – da quel vecchio infernale che medita indulti e sconti fino all’ultimo assessore della più periferica stazione di posta – mostra una desolazione assoluta: c’è un’omologazione che rende “i politici” indistinguibili. Preda di funzionari che ne sanno meno di loro, si arrogano di decidere su cose di cui non hanno nemmeno mai sentito parlare. Mi sto convincendo sempre più dell’inutilità del voto: finché ci sarà qualcuno che vota, chiunque si sentirà legittimato a fare cazzate.
“…servirebbe un cambio di rotta, nel segno dell’equità sociale e scelte di riequilibrio territoriale” dice Nasorri.
D’accordo, ma chi dovrebbe attuarlo questo cambio di rotta, gli stessi che hanno creato questo disastro?
O crediamo davvero che ci penserà Renzi con i suoi tamburini (e sbandieratori)?
Siamo in mano ad una classe politica corrotta, inetta e per giunta strapagata a cui non si può più chiedere o proporre alcunchè.
Una volta si usava appellarsi alla parte sana del paese ma oggi, temo, che anche quella si sia ridotta ai minimi termini.
Che fare allora? Provare a far crescere nuove figure politiche non basate sul principio di appartenenza ma su quello della responsabilità e delle storie personali. Un lavoro che sarebbe da iniziare subito perchè ci vuole tempo per costruire una nuova classe dirigente.
Il problema è che una certa classe politica si è omologata all’altra che rappresenta la peggiore specie di quella povertà di idee (sane e di buon senso). I cittadini, quelli più riflessivi e consapevoli di questo declino, non si sentono più rappresentati e c’è pessimismo verso la possibilità di cambiamento. Viviamo nell’era dell’Alta Velocità Comunicativa…ma siamo impotenti davanti a questo stallo della capacità innovativa. Se poi si continua a confondere o a mettere sullo stesso piano i problemi tra un pendolarismo… con l’opportunità di spostarsi velocemente da una città all’altra…siamo proprio del gatto!!!
A questa visione folle degli economisti purtroppo si è accodata tutta la politica, la sinistra, da anni ormai, è orfana di un partito che sappia proporre una visione alternativa, siamo vittime, tra l’altro, della mancanza di una generazione di dirigenti e questi sono i risultati.Per anni ci hanno voluto far credere che così doveva essere,che questo era il migliore dei mondi possibili, purtroppo ci hanno creduto in tanti. Stessa cosa è successa e succede nel mondo del lavoro con i sindacati non più impegnati a difendere i lavoratori ma a fargli digerire i bocconi amari imposti da questo sistema.