Fusioni dei piccoli comuni? Non è una soluzione.

di Fabio Di Meo

“Vorrei raccogliere la “sfida” lanciata da Carlo Giulietti nel suo post “piccolo è bello ma non sempre funzionale” dedicato alle fusioni tra piccoli comuni, quando afferma di non “aver avuto modo di discuterne con persone che si dissociassero per motivi non definibili in maniera diversa da campanilistici“.

Ecco, vorrei tentare, in maniera schematica, non tanto di dissociarmi, quanto di esprimere un diverso punto di vista, spero non mosso da campanilismo, affermando che tutti gli effetti virtuosi delle fusioni tra comuni possono essere raggiunti attraverso le Unioni di Comuni, evitando al contempo le conseguenze negative in termini di ‎riduzione della partecipazione democratica e di cancellazione delle identità comunali insiti nei processi di fusione.

Premetto che nei casi di comuni con dimensioni insostenibili (sotto i 500 abitanti) o di realtà limitrofe comunali già unite di fatto per storia, assetti sociali e strutturazioni del tessuto economico, le fusioni sono un esito naturale, auspicabile. Ma negli altri casi sono preferibili le Unioni per i seguenti motivi. 

 

1)   I costi nei piccoli comuni non sono certo riconducibili agli organi istituzionali, Giunta e Consiglio, visto che le indennità di Consiglieri e Assessori sono pressoché simboliche (un consigliere non arriva a prendere venti euro a seduta), e quelle dei sindaci esigue. E dopo le ultime riforme non si producono nemmeno costi indiretti significativi in termini di rimborso ai datori di lavoro per assenze istituzionali, visto che le ore a disposizione degli amministratori per il loro mandato sono pressoché nulle (un giorno e mezzo a settimana per i sindaci, nemmeno più l’intera giornata dei consigli comunali per i consiglieri). Se poi si ritenessero tali costi ancora troppi elevati, sarebbe sufficiente considerare tutte le cariche senza alcun onere, e avremmo eliminato il problema alla fonte. Introduciamo magari anche un contributo che gli amministratori versino per luce e riscaldamento, e l’argomento può essere chiuso;

 

2)    cancellare dunque le municipalità facendo di più giunte e consigli un unico consiglio ed un’unica giunta dentro un unico comune risultante dalla fusione non produce risparmi tali da legittimare la cancellazione. O comunque gli stessi risparmi si possono produrre in altra forma. (poi lasciamo stare come si farà a trovare persone disponibili a fare gli amministratori, ma questo sarebbe un lungo discorso…)

 

3)   la cancellazione di Giunte e Consigli produce invece una drastica riduzione della partecipazione democratica all’interno delle comunità. Basti pensare che un comune sotto i 3000 abitanti avrà già dalle prossime elezioni sei consiglieri in tutto tra maggioranza e minoranza, sei persone che decidono le sorti di un’intera comunità. Si pensi attraverso un processo diffuso di fusioni in tutta Italia di quanto si ridurrebbe la partecipazione‎ complessiva. Significativo un titolo di qualche mese fa dell’ansa: “fusi X comuni, scomparsi X politici”. Se poi l’obiettivo è dunque ridurre le persone che si dedicano alla cosa pubblica, come risposta all’inefficenza della politica, mi permetto di dissentire. Non si cedono pezzi di democrazia sull’onda di una pur giusta, ma storicamente contingente, critica all’inefficenza di una classe politica;

 

4)    tutto questo aggiungo il danno derivante dalla cancellazione di identità comunali che esistono da secoli. E qui mi rifaccio al modello francese, Paese dal quale abbiamo tratto molti lineamenti ‎del nostro assetto amministrativo. In Francia ci sono ben 36.000 comuni. Altro che le dimensioni medie dei Comuni italiani! Ma nessuno dei comuni francesi di piccole dimensioni svolge servizi singolarmente, bensì sempre in forma associata;

 

5)   e qui arriviamo al punto: gli effetti di razionalizzazione della spesa, di efficentazione degli uffici, di riduzione delle posizioni manageriale o para-manageriali si raggiungono comunque, senza produrre gli effetti negativi dei punti precedenti, attraverso la “fusione degli uffici” se così vogliamo definirla, cioè attraverso il trasferimento dell’esercizio delle funzioni comunali dentro le Unioni di Comuni. Ciò che davvero costa sono i servizi, sono i dipendenti, la struttura tecnica, non gli organi istituzionali;

 

6)     dentro le Unioni i piccoli comuni possono trasferire l’esercizio delle loro funzioni, così da avere per farla breve un unico settore tecnico, un unico settore contabile, un unico settore affari generali e così via per tutti Comuni che fanno parte dell’Unione. Quanti se ne vuole.  E producendo nel tempo quegli effetti positivi, esattamente gli stessi, prodotti attraverso le fusioni ma senza scelte punitive nei confronti delle municipalità. Per spiegare meglio: se fondendo più comuni si riduce all’unità la molteplicità degli uffici, lo stesso può avvenire dentro le Unioni, con lo stesso personale oggi operante nei comuni che si ritroverebbe a lavorare in un unico ufficio presso l’Unione;

 

7)   a scanso di equivoci: gli organismi istituzionali delle Unioni già oggi non costano nulla, tutte le cariche sono svolte a titolo gratuito, Presidente, Assessori e Consiglieri. E tali organi sono composti dagli ‎stessi amministratori dei comuni, sindaci e consiglieri comunali, a smentire che si tratti di un ente “altro” rispetto agli stessi comuni;

 

8)   i comuni, intesi come comunità di cittadini liberi e consapevoli che ragionano e decidono su se stesse, mantengono però in questo sistema la facoltà di esprimere un indirizzo politico, una volontà politica, attraverso i propri organi istituzionali che continuano ad approvare bilanci, regolamenti e atti d’indirizzo. Atti che poi l’ente Unione realizza tecnicamente, attraverso un’unica struttura amministrativa;

 

9)   le Unioni di Comuni, a differenza dei singoli Comuni fossero anche fusi tra loro, possono svolgere altre competenze amministrative che invece oggi rischiano di allontanarsi dai cittadini. Ci siamo accorti che è in atto un processo di “regionalizzazione” di servizi che li allontanerà sempre più dalle comunità, soprattutto dopo la scomparsa delle Province? Bonifica, forestazione, agricoltura, formazione…‎ Le Unioni possono proporsi come ente che riceve quelle funzioni sovracomunali, i comuni fusi tra loro no.

10) il fatto poi che la Regione Toscana dia contributi per i primi tre anni ai comuni che si fondono mi sembra sinceramente uno specchietto per le allodole per amministratori che magari puntano a massimizzare in termini di consenso la loro attività in quei tre anni. E al quarto anno poi che si fa? Ci si scioglie di nuovo? E allora perché non diciamo che ad oggi le Unioni sono esentate dal Patto di Stabilità, con tutti i vantaggi che ne conseguono? Meglio direi ragionare in termini strutturali e non contingenti.

 

Vorrei terminare con un esempio e con una “dritta” che sono certo che i lettori e i redattori di questo blog potranno cogliere.

L’esempio: se fondessimo i Comuni di San Casciano dei Bagni e Cetona otterremmo un comune sotto i 5000 abitanti, con sette consiglieri comunali, di questi cinque di maggioranza. Ecco cinque persone più il sindaco a decidere su un territorio vasto, e soprattutto su almeno cinque-sei paesi (Cetona, Piazze, San Casciano, Celle sul Rigo, Palazzone e Ponte a Rigo). E se ampliamo il raggio l’effetto “pochi uomini al comando” si riproduce esponenzialmente. Vi pare ragionevole in termini di valenza democratica delle decisioni assunte?

La dritta: non è che questa attenzione sugli enti locali da parte dello Stato centrale nasconde la tentazione da parte di certe elites tecnocratiche iper-europeiste e globalizzate di togliere dai piedi un po’ di politici locali in giro per la penisola, e soprattutto un po’ di “politica” così poi da avere ‎mani libere su tante questioni che nei territori trovano resistenze (TAV, inceneritori, nuove autostrade…), cogliendo la ghiotta occasione di una fiducia nelle istituzioni e nei politici ai minimi termini tra i cittadini? Insomma non è che dietro tutto questo sta l’idea che se l’italia deve confrontarsi col mondo globale mica può perdere tempo con i territori e allora meglio buttare via, insieme al feticcio ormai consunto del federalismo, anche le autonomie locali come spazio di autogoverno dei territori?”

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2 risposte a Fusioni dei piccoli comuni? Non è una soluzione.

  1. Fabio Di Meo scrive:

    Pienamente d’accordo con Fiorani in merito a segretari comunali e piano strutturale. Per i segretari già oggi è possibile associare il servizio (Cetona e San Casciano dei Bagni ne hanno uno in due) e bisognerebbe sfruttare di più questa facoltà. Anzi dico di più: bisongerebbe modificare quell’assurda legge che determina due albi distinti per i segretari dei comuni e quelli delle unioni, con l’impossibilità reciproca di operare negli enti. Si associano i servizi dentro le Unioni, e si utilizza il segretario dell’Unione. Punto.
    Per quanto riguarda il Piano Strutturale, non solo come dice Fiorani è un esigenza di semplificazione, ma dovrebbe essere un vero e proprio obiettivo politico qualificante di gestione coerente e organica di un territorio vasto (ad esempio la Valdichiana). Ma anche questo le Unioni dei Comuni potrebbero farlo già oggi (sotto il profilo tecnico si tratterebbe di coordinare le approvazioni dei singoli Piani Strutturali comunali in un contesto d’area). Ma ci vuole la volontà politica…

  2. luciano fiorani scrive:

    Fabio Di Meo, sindaco di Cetona, è uno dei pochi esponenti del Pd di queste parti con cui ragionare non è tempo perso. Valutazione personale, ovviamente.
    Nel suo lungo intervento elenca argomenti condivisibili insieme ad altri non convincenti.
    Per ragioni di spazio mi limito a dire che, pur tenedo conto dei rilievi sensati, resto favorevole alla fusione dei piccoli comuni.
    E’ ovvio che non si può agire esclusivamente in base al numero di abitanti ma andrebbe tenuta ben presente anche la dimensione territoriale.
    Voglio richiamare due aspetti che cita Di Meo:
    -Il numero dei consiglieri: sono d’accordo che sono troppo pochi e che non “costano” praticamente nulla però non si può neanche ricorrere ad una rigida proporzione matematica, altrimenti per rappresentare i cittadini di roma quanti consiglieri ci vorrebbero? Basterebbero mille?
    -Servizi e personale: E’ chiaro che nessuno pensa di ridurre i servizi ma ha senso impiegare dieci segretari comunali ( fossero anche anche meno) quando ne basterebbe uno? Un piano strutturale per dieci comuni (oltre ad avere maggior senso) costerebbe quanto adesso che ne vengono redatti dieci?
    Sulla “regionalizzazione” dei servizi invece sono completamente d’accordo; nel senso che non va bene per niente.

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