Unioni, fusioni o ognun per sé?

di Carlo Giulietti

Mi scuso per il ritardo con il quale rispondo al suo interessante articolo, sig. Di Meo (mi permetta di chiamarlo semplicemente così), ma in un semplice commento non ci sono riuscito e non ho avuto tempo di scrivere prima , cercando di argomentare, quanto sotto.

Nel suo articolo ricorre il termine partecipazione, paventa il rischio che in caso di fusioni le amministrazioni si allontanino dai cittadini, la cosa mi lascia perplesso, non so come sia praticata la partecipazione dei Cetonesi al governo del paese, quanto incidano nelle decisioni della sua amministrazione i pareri della popolazione e con quali modalità venga praticata, ma questo interessa relativamente. Ragionando invece più sul generale, di certo non si sente parlare spesso nei nostri piccoli comuni di tale modalità di governo se non abusando del termine, confondendolo magari con i dialoghi con le claque di facebook o con le stanche riunioni di partito alle quali, ovviamente, la presenza è limitata. E non penso per partecipazione si possa intendere solo quella dei consiglieri che, in gran parte, una volta eletti, pare abbiano una delega in bianco incondizionata.

Non c’è lontananza maggiore di quella da chi, pur vicinissimo ti ignora e viceversa si può essere vicini anche stando lontani. Quindi vorrei dire che il rischio si perda in partecipazione è moolto limitato, anzi, in una riunione-fusione ci sarebbe proprio l’occasione per creare forme di condivisione veramente efficaci.

Riguardo ai dipendenti, che secondo lei sono il costo maggiore, io ritengo che i costi maggiori provengano piuttosto delle “cattive” amministrazioni (non mi riferisco alla sua naturalmente, ma sa meglio di me che non sono rare) che spesso producono sperperi.

Il personale, in comuni più grandi, comunque, potrebbe essere meglio impiegato, più specializzato, con mezzi più adeguati e si potrebbero eliminare o comunque limitare di molto i ricorsi a ditte e professionisti esterni. Si potrebbero anche introdurre funzioni e figure che, soprattutto i comuni più piccoli, non si possono permettere.

Quello che, secondo me, conta in una amministrazione pubblica in genere è, non tanto lo spendere meno, ma soprattutto lo spendere bene e l’agire in nome dell’interesse generale, cosa che purtroppo si sta perdendo.

Lei cita le difficoltà in cui si trova chi svolge mansioni come la sua (un giorno e mezzo di permesso settimanale per governare) immaginiamo un sindaco che lavora in un’altra città e rientra solo a tarda sera. Questo limita anche le disponibilità di persone valide a candidarsi come amministratore, mentre in situazioni più grandi la cosa sarebbe diversa.

Sarà che io sono un incorreggibile idealista e a volte fingo di dimenticare che dietro ogni buona intenzione c’è sempre l’incognita di chi dovrà poi realizzarla, ma ritengo che prevedendo l’introduzione di adeguati strumenti di democrazia diretta e partecipata, la trasparenza e l’accessibilità agli atti amministrativi un’adeguata informazione e comunicazione istituzionale(da non confondere con la propaganda) l’impiego di strumenti di intervento e consultazione, la possibilità di iniziative popolari in materia di proposta, indirizzo e controllo, una eventuale fusione potrebbe solo essere produttiva.

Le Unioni Comunali non le conosco molto, oltre ai sentito dire, che per la verità non è un gran sentire e non vorrei fare affermazioni senza certezza dei fatti, ma lei ne parla dicendo che possono fare questo, possono fare quest’altro, ma…. fino adesso perché non lo hanno fatto? Mi pare lecito chiederselo, forse lei da anche la risposta, quando afferma che “ci vuole la volontà politica”! Le varie amministrazioni che compongono le Unioni con molta difficoltà possono svincolarsi dalla tentazione, pur lecita, del pensare al consenso elettorale (indipendentemente dalle reali necessità) prima di agire in termini di area vasta.

Magari, riunendoci, si potrebbe riuscire anche a realizzare un piano turistico di comprensorio più efficace, che non metta i vari centri in competizione tra loro ma riesca a proporre un’offerta articolata, in grado di attrarre un numero maggiore di visitatori, cosa che con l’ “ognun per se” vedo molto più complicato, APT o no.

Tempo indietro ipotizzai un “grande” museo etrusco unico, in grado di avvicinarsi a quelli maggiori e di essere veramente attrattivo, ma questa, con i presupposti che corrono, mi appare sempre più un’utopia, la cito come esempio di cose che comunque potrebbe essere più facile almeno prendere in considerazione.

Sfioro appena il discorso, che sarebbe lungo, di un solo piano strutturale relativo ai vari comuni riuniti, tra l’altro già citato da Fiorani nel commento all’articolo precedente, ma lo ritengo una priorità.

Con tutto ciò non è che se rimarremo in quesa situazione me ne farò una malattia o che una possibile unione mi cambi la vita, ne ho parlato solo perchè ci vedrei una possibilità di miglioramento, sotto vari aspetti, per la nostra zona, ma sicuramente, perchè funzioni la gente dovrebbe volerla.

È certo che, difficilmente, se (parlo in senso lato) ci si batte per mantenere “l’autonomia” di un piccolo comune, si può aspirare a vivere in una grande Europa effettivamente unita.

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