Secondo autorevoli scienziati che studiano i cambiamenti climatici, i fenomeni meteorologici di grande intensità, in Italia tra una trentina d’anni saranno la normalità. In altre parti del mondo lo saranno addirittura tra un decennio .
Le precipitazioni eccezionali, già oggi hanno assunto una notevole frequenza, come dimostrano gli eventi registrati dall’Annuario dei dati ambientali (Ispra). I costi ambientali ed economici sono enormi. Le disastrose alluvioni in Sardegna e in altre regioni, con vittime e distruzione rilanciano l’ennesimo allarme.
Purtroppo, l’Italia è un paese che va in emergenza appena piove più del normale. Per riparare i danni del maltempo spendiamo ogni giorno un milione di euro. Ingenti cifre che coprono per altro solo una parte dei danneggiamenti causati da frane e alluvioni. I guasti reali sono sempre maggiori delle risorse messe a disposizione.
La prevenzione in pratica non esiste, manca perfino un Piano nazionale. Negli ultimi dieci anni sono stati erogati solo 2 miliardi di euro per attuare gli interventi previsti dalle autorità di bacino che complessivamente ammonterebbero a 44 miliardi.
Se il futuro ci prospetta una normalità di eventi climatici eccezionali, abbiamo buone ragioni per affrettarci a cambiare il rapporto che teniamo con l’ambiente e il territorio. Certamente, non abbiamo bisogno di altri convincimenti scientifici per sapere che il paese è ad altissimo rischio idrogeologico: lo è il 70% dei comuni italiani, in Toscana arriviamo al 91%.
Si sono versati fiumi di parole sull’insostenibile antropizzazione delle aree di esondazione naturale dei corsi d’acqua e delle zone franose, sull’eccessiva trasformazione di suoli agricoli e boschivi a usi urbani. Tuttavia, i piani urbanistici continuano a prevedere zone di espansione e nuove edificazioni, mentre un italiano su dieci vive in zone pericolose.
Quando si cerca di varare strumenti più restrittivi, protestano quasi tutti, comprese le amministrazioni locali che hanno paura di perdere gli oneri di urbanizzazione. Nessuno pensa realmente a cambiare il paradigma che considera il suolo come qualcosa che ha valore solo se occupato da insediamenti e attività umane. Addirittura, complice la crisi è in aumento la cattiva gestione e l’incapacità di fare sistema nella programmazione e nella tutela del territorio.
La realtà è che non si riesce a cambiare la cultura e il modello di sviluppo economico. Per un paese che non ha più industrie, i settori trainanti sono in crisi e l’innovazione ci colloca ai margini, l’ambiente, il paesaggio, il patrimonio culturale sono le poche risorse su cui possiamo far leva. Oltre alle energie rinnovabili, si potrebbe investire e creare lavoro curando l’ambiente. Tutti parlano di rinnovamento, ma cosa ci sarebbe di più innovativo che realizzare una programmazione per la tutela e la messa in sicurezza del territorio e delle nostre vite.
La fragilità del territorio, i pericoli di dissesto idrogeologico sono temi decisivi anche per la realtà locale e per le scelte politiche e amministrative della nostra città. E’ vivo il ricordo dell’alluvione del 2006 e più recentemente le piogge che hanno mandato sott’acqua una parte di Chiusi Scalo e la vicina Po’ Bandino. Lo scorso ottobre le intense precipitazioni che hanno interessato diversi comuni hanno causato danni stimati per oltre 40 milioni di euro. Il comune di Chiusi, con l’aiuto di provincia e regione ha, negli ultimi anni, avviato importanti progetti per il contenimento del dissesto idrogeologico. Ora, non solo bisognerebbe continuare in questa direzione, soprattutto, non si dovrebbe compiere scelte dannose.
Prevedere interventi di espansione urbanistica e di nuova impermeabilizzazione del suolo, aumenta il rischio idraulico e accresce l’aggressione ambientale verso un territorio di grande pregio, ma molto delicato. Occorre superare anche localmente un’idea di sviluppo sbagliata e vecchia, che ripropone una crescita solo quantitativa e di sfruttamento del territorio, altrimenti rischiamo di produrre disastri che chiameremo naturali, ma che in realtà sono causati da cattive decisioni.
X Sacco, grazie.
Ciascuno di noi, credo, è impegnato nel cercare sempre di migliorare le proprie condizioni ( chi nel suo piccolo, chi nel suo grande) al di sopra delle condizioni stesse. Non
ci accontentiamo del nostro attuale stato de benessere, cerchiamo sempre di ‘ mlgliorarlo ‘. Abbiamo una automobile che va bene……si cambia per un nuovo modello, e lo stesso avviene in qualunque situazione. Perchè? Cosi’ facendo quando avremo tempo di godere del nostro attuale stato di benessere? Ovviamente non parlo di persone disagiate. In conclusione, dare la colpa dello stato del mondo a questo o quello, o a varie organizzazioni commerciali, mi sembra fuori luogo. Il problema è molto più profondo.
Donatelli, le sue due righe sono molto più sintetiche di tutta la mia prolissità e rendono l’idea di quello che abbiamo di fronte e di cui non ci vogliamo rendere ancora conto.
Il commento di Luana mi porta ad una considerazione che riguarda anche l’articolo dell’Agostinelli: sembra che dal ‘di dentro’ non si possa fare niente.
X Marco Nasorri. Forse è mancata la comunicazione. Molti che hanno avuto responsabilità nel PD oggi probabilmente si pentono per non aver pubblicizzato e dibattuto a suo tempo le loro perplessità e critiche sulle scelte e sulla gestione del partito.
Ho scritto cose sempre pensate e dette, sia quando ero segretario dei DS e poi del PD. Sono gli stessi concetti che ho sostenuto in Consiglio provinciale nelle diverse occasioni di dibattito per l’approvazione del Piano Territoriale di Coordinamento (PTC). Ci sono gli atti e le dichiarazioni a testimoniarlo.
Ricordo che la divisione all’interno del PD, avvenuta in occasione delle elezioni comunali, era dovuta anche dalle divergenze sul futuro urbanistico di Chiusi. La mia contrarietà a certe posizioni era ben nota. La sintesi che ricompose quella frattura interna fu possibile perché il programma del Centrosinistra conteneva le posizioni che, su questo tema, esprimevano “ i dissidenti”, di cui facevo parte. Passate le elezioni quel programma è stato “cestinato”. Le scelte attuate sono state altre ed io anche per questo ho lasciato il PD.
Marco Nasorri
Posso provare a rispondere,con tutti i limiti della mia comprensione? Siamo di fronte- non solo a Chiusi ma in tutto il territorio nazionale dove è passata questa politica che tutti riconosciamo disastrosa-ad una canalizzazione dei comportamenti che fa si che indipendente- mente che si possa esprimere idee contrarie a qualsiasi provvedimento,il grosso compressore ci asfalta tutti,sia le parti a favore di certi provvedimenti ed iniziative sia le parti che sono contrarie.C’è una forza che è superiore ad ogni cosa e che non esiterei a definire quasi diabolica ma che proviene dall’alto e cioè dai vertici dei partiti così come si sono strutturati e sentano caldo quantopiù siano vicini al fuoco di chi detenga i soldi.Non si va contro tali direttive,mai,se non a prezzo della propria personale esclusione.Ecco perchè ritengo che
ci sia urgente bisogno di cambiare rotta e dissociarsi dall’analisi che fa il PD di quanto ci possa riservare il futuro secondo tale partito.Se non si produce una cosa totalmente diversa si rientra in quel catrame che sparso ci asfalta poi tutti.Con tutte le contraddizioni possibili di uno come Grillo,ma perchè crediamo che abbia avuto successo? Solo protesta? Non mi sembrerebbe,e sarebbe insulso giudicarlo tale.
Condivido totalmente. Però senza polemica, ma per capire, vorrei che Marco (Nasorri) ci spiegasse chi e perché gli ha impedito di dire queste cose quando era nel PD.
Se queste idee l’avesse sostenute prima forse il Piano Strutturale adottato dal Comune di Chiusi sarebbe stato più rispondente a queste esigenze!