Un uomo sensibile, acuto, ironico che sapeva ascoltare, fare del bene senza farlo pesare e amare in punta di piedi. Un educatore gioioso, sobrio e sornione, che sapeva correggere senza ferire, consigliare senza pedanteria. Un artista per il quale contemplare e creare bellezza è stato spontaneo come il respiro, per rispondere ad una esigenza interiore.
Un sacerdote ricco di umanità che ha precorso i tempi e anticipato il Concilio sapendo armoniosamente bilanciare la tradizione con il rinnovamento, la preghiera con il lavoro, l’ arte con la fede, l’umano con il divino. Un toscano, un uomo della nostra terra, era infatti nato a San Casciano dei Bagni nel 1914 e si chiamava Manfredo Coltellini.
Questo il profilo del sacerdote artista disegnato dal ricordo che ne hanno fatto l’Opera Laicale della Cattedrale e la Libera Associazione di Documentazione Storica sabato 15 marzo nella sala del Palazzo Vescovile, nel centenario della sua nascita. La Prof.ssa Sira Serenella Macchietti ha aperto l’incontro sottolineando l’aspetto educativo di questo maestro d’arte che, dal 1955 al 1970, ha condotto la scuola di ceramica che da lui ha preso il nome e che ha suscitato talenti di bellezza in tante persone che hanno fatto dell’espressione artistica la loro professione dando anche senso e significato alla loro vita. “La scuola di ceramica da lui condotta – ha proseguito la Prof.ssa Macchietti – era un luogo gioioso, dove era possibile anche prenderci in giro e dove è stato realizzato un insegnamento autenticamente individualizzato”.
La Macchietti ha inoltre scorto nella personalità di Don Manfredo il vigore della vocazione sacerdotale, la premura caritativa nei confronti di tutti e l’innamoramento della bellezza intesa come richiamo al mistero e alla trascendenza, di quella bellezza, quindi, capace di salvare il mondo. La dott.ssa Silvia Fatichenti ha poi letto l’intervista che Don Coltellini rilasciò all’Osservatore della Domenica nel febbraio del 1970 e dalla quale traspare soprattutto la sincerità dell’uomo e la spontaneità dell’artista. La sua arte, saldamente ancorata all’etica e alla trascendenza, pur essendo frutto della fatica e del tormento della ricerca, sapeva quello che voleva e dove voleva arrivare. Giovanni Stefani ha visto in Don Manfredo un anticipatore dei tempi nuovi della Chiesa e nella sua scuola un crogiuolo di tutti quei giovani “irregolari” che non avevano le possibilità economiche per andare alla scuola media ed un talento che non sarebbe stato valorizzato in una scuola di avviamento professionale.
Simona Bardini ha letto una lettera del padre Orfeo che ricordava l’ amicizia tra Don Manfredo e l’industriale Pietro Marazzi che ha portato alla costruzione della chiesa di Santa Maria delle Grazie, di cui quest’anno ricorre il cinquantenario della dedicazione. Piero Sbarluzzi, ha dichiarato che quella scuola di ceramica è stata per lui l’inizio di una nuova vita. Per Gastone Bai invece la scuola di Don Manfredo è stata un’isola felice dove ha imparato a gustare l’arte a tutto tondo, dalla letteratura alla musica sinfonica che ascoltavano durante il lavoro. Carlo Paggetti ha ricordato la capacità di sorridere dei propri difetti e la gioia sempre umanizzante di quella esperienza.
Significative sono state le testimonianze di Simone Nasorri e Flavio Foderini, figli di Vasco e Fernando, che sono troppo giovani per aver conosciuto Don Manfredo ma ne hanno respirato la personalità da sempre, in famiglia, nei racconti dei loro genitori. Le testimonianze sono seguite a ruota libera in piazza, dopo l’incontro: Don Manfredo confessore, a tavola con gli amici, a passeggio nel periplo di Chiusi Città con le mani dietro la schiena, nella sacrestia di Santa Maria Novella a modellare il Crocifisso che ora fa bella Santa Maria della Stella. Don Manfredo, uomo, amico, artista, sacerdote. Una persona che, spontaneamente, ha perseguito la perfezione di essere se stesso, di rispondere cioè, gioiosamente, a quella chiamata alla bellezza della verità e alla libertà della grazia che Dio fa ad ogni uomo.