In un recente servizio de L’Espresso viene descritta la degenerazione di una parte consistente della nostra università. Quanto ho letto non mi ha sorpreso, ha piuttosto confermato la mia convinzione che ci si attardi in riti baronali del passato, mentre fuori i modi di produzione della conoscenza, per una parte consistente delle discipline, siano investiti da una vera e propria rivoluzione.
La “universitas studiorum” ha una storia plurisecolare. Le università hanno inizio nel Medioevo (Bologna, Oxford, Siena, Roma, etc.). Nel tempo subiscono radicali trasformazioni. L’invenzione della stampa permette di trasformare i modi di trasmissione e rappresenta una, forse la più importante, condizione per lo sviluppo del metodo sperimentale che trasforma le università a partire dal XVII secolo. Nel XIX secolo il positivismo è alla base di una sorta di riordino generale delle discipline. Oggi con lo sviluppo del web si assiste ad una nuova radicale trasformazione quella della “disseminazione” della elaborazione e sviluppo della conoscenza.
Se si va sul sito Coursera si trovano lezioni registrate a cura delle migliori università del mondo. La mia università mette a disposizione dei suoi studenti e docenti più di 8.000 di riviste specializzate sulla rete. C’è anche la disponibilità di una miriade di opere gratuite. Obama ha fatto passare una legge che obbliga a mettere a disposizione di tutti dopo un anno le pubblicazioni frutto di progetti che abbiano usufruito di finanziamenti pubblici.
Un altro sintomo di questa disseminazione dell’elaborazione della conoscenza è il drastico taglio dei costi di molte attrezzature. Il microcontrollore Arduino costa qualche decina di euro e sostituisce un’attrezzatura che solo qualche anno fa ne costava qualche migliaio. Lo stesso si può dire del computer Raspberry che si compra con 30 euro. La disponibilità dei cosiddetti Big Data sul web una permette di analizzare quantità di “informazione grezza” che ogni anno eguaglia quella prodotta in qualche migliaio di anni della storia dell’umanità. Il problema non è più tanto la disponibilità di mezzi quanto piuttosto la capacità di utilizzarli. la dimensione di questi processi non è più quella della singola o di reti di università, ma è piuttosto quella di tutti coloro che hanno accesso alla rete. Si calcola che attualmente lo siano almeno 4 miliardi di persone e fra qualche anno si assisterà alla connessione universale.
Fin da oggi comunque si può pensare a percorrere strade diverse pure nel nostro piccolo. Ne ho asvuto conferma anche recentemente. Abbiamo già dibattuto dell’opera di Roberto Sanchini che nell’ambito delle attività del gruppo archeologico ha pubblicato un volume a costo zero (utilizzando l’apposito canale di Amazon) che attraverso la stampa digitale avrebbe avuto bisogno di un editore, mentre oggi il libro lo si può ordinare a meno di quattro euro. Un tempo quella stessa pubblicazione avrebbe avuto bisogno di una “colletta” presso qualche fondazione bancaria o la copertura di qualche barone universitario.
Un’altra riprova lo avuta ieri quando con un fotospettrometro da 40 dollari la professoressa di chimica del Marconi Mabel Vetere ha dimostrato come già si possa c on questo piccolo giocattolo fare esperimenti che avrebbero richiesto attrezzature per almeno qualche migliao di euro.
Nell’uno e nell’altro caso quello più che gli strumenti hanno contato le conoscenze di un profondo conoscitore dell’archeologia etrusca da una parte e quelle di una ricercatrice (dottorato di ricerca in chimica) dall’altra.
L’importante è saper valorizzare le risorse a disposizione. Speriamo che chi oggi ha responsabilità di governo se ne accorga il prima possibile.