The Economist è il più prestigioso settimanale economico del mondo. Nel numero uscito ieri c’è un lungo articolo intitolato “The Future of Universities. The digital degree”. Le università sono investite, secondo il settimanale, da un terremoto che ne cambierà il volto. Mi ricorda un post che avevo scritto un mese fa, intitolato “L’università è morta“. Non lo ripropongo. Mi fa soltanto piacere vedere che non sono il solo a pensarla così.
Il terremoto di cui parla il The Economist è caratterizzato da tre tipi di onde sismiche. Il primo riguarda il taglio delle risorse che non è solo italiano, ma universale. In USA ad esempio, se 14 anni fa le tasse di iscrizione coprivano appena il 25% dei finanziamenti e quelli statali il resto, ora siamo al 50% e la tendenza continua. C’è poi il progresso tecnologico. Ormai ci sono corsi online, il più delle volte gratuiti, di ottimo livello, offerti molto spesso gratuitamente o a costi assai ridotti. Per questo ci sono, è vero, problemi ancora irrisolti, come quello del controllo della preparazione, ma la tendenza sembra inarrestabile. Infine la domanda di formazione è sempre più rivolta alla riqualificazione di chi ha perso il lavoro. E’ questa una domanda che l’attuale organizzazione delle università non riesce a intercettare.
L’articolo del The Economist non lo dice, ma a me pare che acquisti sempre più importanza la scuola media superiore, dove si dovrebbero sempre più formare competenze di alto livello. Per ora, purtroppo, l’organizzazione della nostra scuola non sembra in grado di rispondere a questa domanda. Si tratta di capire se le nostre scuole sapranno utilizzare l’autonomia che è stata loro concessa per organizzarsi per le nuove esigenze.
La notizia di ieri del riconoscimento CISCO all’Istituto Valdichiana potrebbe essere un primo piccolo inizio. Ci sono qui da noi capacità di proposta capaci di rispondere alla sfida. Forse su un tema di questo genere varrebbe la pena iniziare a discutere.