I social network e la scuola

1418133726_t1larg.teen_.computer.thinkstockdi Enzo Sorbera

Il liceo di Città della Pieve mi ha invitato, insieme ad altri rappresentanti dei genitori, a partecipare a un incontro che si è tenuto venerdi 6 febbraio scorso a Città della Pieve. Il tema era l’uso del web da parte dei nostri figli e dei possibili segnali di disagio che, come genitori, abbiamo il dovere di raccogliere.

Appena arrivati, siamo stati fotografati e ci è stato richiesto di descriverci, in una scheda, utilizzando al massimo 15 parole. A quel punto è iniziata la presentazione delle due relatrici che hanno affrontato diversi temi in merito alla diffusione dei social network e all’uso che ne vien fatto, uso che non è immune da rischi e che sarebbe opportuno conoscere in maniera più diffusa e capillare. Finalmente, tutto il materiale veniva presentato senza nessuna demonizzazione ma, anzi, tenendo presente l’enorme potenzialità in termini di opportunità e condivisione che il web rappresenta. Molto interessanti, le due presentazioni hanno affrontato diversi scottanti temi tra i quali presentavano una rilevanza particolare la questione della “smaterializzazione” o, meglio, de-corporizzazione dei rapporti personali che si instaurano nel web, e la problematica connessa con il fatto che individualità/identità ancora poco formate (parliamo di ragazzi tra i dodici e i diciotto anni) possono subire attacchi distruttivi con effetti devastanti sull’autostima e sull’accettazione del sé.

A tale scopo, è stata eseguita una simulazione. Le foto e le nostre presentazioni sono state utilizzate per una bonaria presa in giro verso la quale eravamo sollecitati ad esprimerci come se fossimo in solitaria davanti allo schermo. In pratica, si simulava un attacco di un troll o di un soggetto malevolo nei nostri confronti per poter farci esprimere le emozioni che si provavano. Purtroppo, la mia sintesi non rende adeguatamente conto della complessità delle argomentazioni addotte e della qualità – davvero notevole – dei due interventi, che in chiusura hanno suscitato molte domande e interrogativi da parte della cinquantina di persone presenti.

Avrei comunque alcune osservazioni in merito. Intanto, una riflessione di questo tipo sui social e sul loro uso interviene a posteriori, dopo più dieci anni di “proliferazione” di queste comunità: segno che abbiamo bisogno di troppo tempo per poter affrontare in maniera critica i fenomeni che ci si presentano. Ma questo è forse il punto di minor peso. Maggiore spessore ha l’osservazione che, mentre ci stiamo preoccupando degli effetti del social Facebook sui nostri figli, questi hanno già cambiato social, migrando in massa su Istagram, con un nomadismo o, meglio, un randagismo che ha tempi sempre più rapidi e modalità di partecipazione differente rispetto a quella cui, come genitori, stiamo disperatamente cercando di abituarci/adeguarci. E’ un punto che hanno sottolineato anche le due relatrici ma sul quale non c’è stata quasi riflessione: i tempi di reazione dei genitori non sono uguali a quelli dei figli, che li lasceranno comunque almeno due passi indietro. E non solo nell’ambito della tecnologia. L’altra questione è relativa all’emergere di modalità di fruizione del web sempre meno legate al computer e sempre più “mobile-oriented”: già ora l’accesso a internet avviene via tablet o phone in oltre il 60% dei casi. Quindi, l’accesso ai (e la fruizione dei) servizi web non ha più bisogno di un luogo fisico e deputato alla bisogna, ma, anzi, secondo una logica di consumo immediato, si elimina ogni mediazione tra “bisogno” e “consumo” tramite una connettività ubiqua che annulla lo spazio fisico e stravolge il tempo e le sue scansioni di vita “ordinata” – con conseguenti disturbi indotti sul sonno, ad es. -. In questo contesto di stimolazione ininterrotta, è chiaro che i livelli di attenzione si affievoliscono per dare luogo a reazioni molto dirette e pericolosamente povere di (auto)controllo. In questo senso, possiamo ipotizzare una mutazione che si sta inducendo nei rapporti sociali, sempre più virtuali e rarefatti (la solitudine del social, come l’ha definita un recente saggio). L’altro grande tema affrontato dalle relatrici è stato quello dell’identità che stanno costruendosi i nostri ragazzi.

Di sicuro, stiamo assistendo al trasformarsi dell’identità da elemento forte, costitutivo della persona a elemento mobile, affievolito e mutevole di personaggio. Da ultimo, vorrei mettere l’accento sul fatto che oggi noi abbiamo un problema ancora più grave della definizione dell’identità: con l’avvento dei bot – si pensi a Eliza di Weizenbaum -, è in ballo la necessità di dimostrare non tanto la nostra identità ma addirittura la nostra umanità. Qual’è la caratteristica che distingue un umano da un robot/bot? Siamo certi che colui/colei con cui ci stiamo arrabbiando sia una persona e non un software?

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12 risposte a I social network e la scuola

  1. carlo sacco scrive:

    Enzo io ho detto le mie ragioni su ciò che pensavo, motivandole, il rispetto c’entra poco credo. La mia non è sicurezza, è scetticismo. E perchè, non lo dovevo dire ? Chi vivrà vedrà; sempre pronto a tornare su i miei passi, ma la memoria dovrebbe far i conti con
    quanto succede oggi credo, dal momento che sono state dette cose precise e non da me, dal momento poi che sento che si parla di ” umiltà”.Io ho solo criticato e dentro di me se sento poca fiducia la spiegazione è quella del perchè abbia criticato il fatto del prato verde conosciuto da quella generazione solo sul desktop mentre credo che proprio quella abbia bisogno di altro perchè dietro a tutto ciò(web) evidentemente c’è tutta una situazione che parla da se, e che fra l’altro hai detto anche tu. E non mi sembra poco.

  2. enzo sorbera scrive:

    Caro Paolo (scattoni): non c’è nessuno più serio di un bambino che gioca. “Scienza di cittadinanza” è una magnifica, seppur ancor piccola, realtà, grazie anche al lavoro che hai fatto tu. Su questo, possiamo costruire – cercando di imparare, come stiamo facendo -. Se poi avremo seminato male (questa è per Carlo 🙂 ), beh, almeno ci abbiamo provato. Troppa sinistra pretende di “mostrare” senza capire e, soprattutto, senza rispetto per gli interlocutori. Farsi coinvolgere come stiamo facendo io e Paolo – ma anche tanti altri adulti – mettendoci in gioco, ridiscutendo le nostre convinzioni e spesso anche il nostro sapere, oltre che un (necessario) esercizio di umiltà, è anche una bella palestra di areazione delle (nostre) stanze.

  3. pscattoni scrive:

    Rispondo a Enzo (Sorbera). Il riferimento a Laboratorio Ambiente continua ad essere pertinente. Abbiamo invitato alcuni giovani a giocare. Io preferirei dire che li abbiamo invitati a scoprire le potenzialità di scienza di cittadinanza. Rimango, però, volentieri nella metafora del gioco. nella metafora del gioco. In questo caso il gioco può essere la condizione per molte altre cose. Prima di tutto il fatto che ci si possa anche divertire è già un risultato. C’è poi l’aspetto che si fornisce la possibilità di conoscere strumenti che un tempo costavano decine di migliaia di euro e che ora si possono sperimentare a basso costo grazie ANCHE  alla rete. Infine quel gioco potrebbe anche diventare qualcosa di più, per esempio un lavoro.
    Per questo ritengo importante la lettura del libro di Anderson “Makers. Il ritorno dei produttori. Per una nuova rivoluzione industriale”. Lì si capisce che l’innovazione scardina quasi tutti i parametri di giudizio tradizionali. E’ una lettura non solo utile, ma anche piacevole. Il che non guasta.

  4. carlo sacco scrive:

    X Enzo.Sul fatto che li abbiamo invitati a giuocare io ci andrei cauto.Io dico che sono stati fatti ubriacare,rapiti e portati dentro il Casinò senza che tale azione l’avessero concepita.Hanno avuto le fishes e stanno giuocando alla roulette sul piano dei comportamenti indotti.Ma non voglio apparire colui che fa i processi a tali intenzioni, processi che non arriverebbero lontano…senz’altro.In questo Habermas secondo me è più vicino alla realtà oggettiva o meglio sembra la sua una analisi più completa,perchè tiene conto di più fattori.Non ho difficoltà a concordare con te quando dici”che i mezzi di produzione non sono i tuoi”.Anche perchè è così,ma c’è un”ma”.Ed il ”Ma” è quello che alla fine non hai soddisfatto i tuoi bisogni-perchè lo si vede bene che alla fine non li hai soddisfatti poichè per quanto sia c’è sempre un altro che riassume le idee, le usa e le sà vendere sempre meglio di te.Quando il tuo lavoro è web immateriale alla fine diventi un escluso credendoti necessario e facente parte della rete il cui uso ti illude che tu sia importante anche se non lo sei.Ma tutto questo perchè ti manca la grammatica per leggere i tuoi bisogni che non riconosci più quali essi possano essere.
    Ti sembra che questo sia poco? Separato da quello di ” Terzani”, pur produttivo che possa essere,il discorso globale è destinato al fallimento.

  5. enzo sorbera scrive:

    Appunto, li abbiamo invitati a “giocare” e sono più bravi di noi (e io ne sono più che contento). Ma questo è solo un aspetto: come si trasforma questo momento in una prospettiva (magari politica)? Giustamente, ti preoccupi del modello di democrazia. Ma democrazia è spazio fisico (piazza, corteo), luogo immaginario (ideologia, progetto utopico) e istituzione/istituto (parlamento e palazzo), e discorsività, ha ragione Habermas. Il web è solo l’illusione dell’immediatezza di una partecipazione (e abbiamo visto che tipo di “numeri” muove quella partecipazione). Eh sì, perché il web non è neutrale: ci si fanno pacchi di soldi (ma ci torneremo) e i soldi li fanno i soldi.
    Se i soldi non ce li hai, “vendi” quel che hai (tanto è gratis): le tue informazioni (foto, amici, libri letti, gusti, ecc.). Siamo alla solita contraddizione: produzione di merci a mezzo merci (ah, Sraffa!) e i mezzi di produzione non sono tuoi.

  6. carlo sacco scrive:

    Bene,ed allora andiamo avanti così, creandoci da noi stessi le direzioni nelle quali crediamo che debba andare la discussione che segna il problema che è all’infuori di noi, senza badare minimamente al fatto che la subalternità crea di sua natura altre subalternità.Per carità senza che mi reputi la bocca della verità, ma vi siete resi conto che su tale cammino fabbrichiamo utili idioti, che sanno tutto e risolvono i problemi applicativi che poi alla fine servono non a produrre livelli di vita qualitativamente diversi(magari se così fosse…)che per le nostre generazioni erano irrisolvibili e complessi, mentre sul piano umano quindi dell’IDEA si razzola in un campo che difficilmente è accettabile dal sistema etico-produttivo? Cosa vuol dire ”avanti cosi ?”.
    Avanti verso la fabbricazione di cervelli che producono senza alla fine chiedersi dove andiamo ed a cosa serve ?Perchè poi a questo si arriva.Il diniego come lo intendi tu Paolo per scansare i massimi sistemi colorandoli di negatività o credendo che non sia questo il punto di cui parlare,serve solo a far prevalere il vertice dell’intellighenzia per l’assuefazione della base.Il sistema ci va a nozze e per chi lo capisce questo e non ne parla o non ne vuol parlare cercando di spostare le questioni su altri lidi giuoca a carte coperte.Ed infatti il mondo va in tale direzione.Purtroppo!

  7. pscattoni scrive:

    x Enzo Sorbera. Uno degli ultimi epigoni della scuola di Francorforte, Byung-Chul Han nel suo ultimo ebook (tradotto dal tedesco) “La fine dell’agire comunicativo” afferma “Nel web, a causa della sua forza centrifuga, non si produce alcun equivalente dello spazio pubblico discorsivo, perciò bisogna cercare non equivalenti, ma alternative allo spazio pubblico discorsivo (…)”. Così se Habermas, il penultimo epigone della scuola di Francoforte, afferma che la democrazia deliberativa la si trova nella discussione con determinate regole in arene pubbliche, Han l’ultimo ci dice che questo non è più possibile a causa del web. Non sono d’accordo con nessuno dei due. Non mi hanno mai convinto le applicazioni “partecipative” della democrazia deliberativa di Habermas, piene di sofisticazioni tecniche che qualche volta sfiorano il ridicolo, così non mi convince Han. Nessuno sa cosa ci riserva il futuro. Occorre essere capaci, soprattutto nella scuola, a non perdere il treno dell’innovazione. Io e te frequentiamo Laboratorio Ambiente, lì i ragazzi non perdono molto tempo a collegarsi e facebook e simili. Lavorano con impegno e utilizzano la rete per i loro progetti. Questo significa che se stai bene “sul pezzo” non c’è tempo per discorsi sui massimi sistemi.

  8. carlo sacco scrive:

    Bella domanda Enzo, quella ”a che giuoco sappiamo giocare noi ”.La risposta non è semplice ma in questo caso si può provare a darla senza avere la presunzione di essere bocche della verità.Alla fine noi siamo figli della gradualità,un passaggio obbligato dei nostri genitori da stati di bisogno atavico,anche spesso estremo,a quelli del consumismo che abbiamo contribuito a far formare intorno a noi. Loro invece ci sono cresciuti e lo considerano normale(in questo si riflette anche una insufficienza educativa dei genitori).Credo che comunque di fronte a coloro che conoscono il prato dallo sfondo del desktop noi abbiamo avuto- non per nostri meriti- una grande fortuna che è stata quella di aver vissuto la contraddizione che ha portato
    alla diversità e a renderci conto del cambiamento.Loro invece sono omologati dal desktop e dal suo linguaggio, forse più pronti a recepire di come lo eravamo noi le novità,ma forse anche più schiavi. perchè chi non ha conosciuto la schiavitù non può apprezzare pienamente la libertà,e loro la schiavitù e bisogno non l’hanno conosciuti,nè hanno conosciuto lo stato autoritario che i nostri babbi e nonni hanno vissuto.Qualcuno di cui adesso mi sfugge il nome ha detto:” noi crediamo di essere liberi ma non siamo mai stati schiavi come adesso”.Questi secondo me sono i nostri figli.Ecco il perchè di Terzani.

  9. enzo sorbera scrive:

    Non c’è stato nessun campanello “anti-social”, anzi. C’era però la preoccupazione di mettere in guardia sui “contro” dell’uso di uno strumento. Un po’ come quando si insegna ad attraversare la strada: guardare da tutte e due le parti e tenersi sulle strisce. Poi c’è chi fa il “fuori pista”, finché va bene. Andarsene per boschi e prati è salutare, ma qui stiamo parlando di nativi digitali, gente che il prato lo conosce come sfondo del desktop. Internet è parte preponderante della loro Lebenswelt, il mondo di vita. L’unica possibilità che abbiamo è invitarli a staccare la spina e venire a giocare con noi: ma a che gioco sappiamo giocare, noi?

  10. pscattoni scrive:

    Venti anni fa, ero arrivato alla “Sapienza” Università di Roma da poco. Ricordo che allora internet era poco diffuso e il web quasi sconosciuto. Impostai uno dei seminari del mio corso utilizzando la mail list di Yahoo. Era per gli studenti che non potevano frequentare. Ipotizzammo il ripristino della linea Roma-Fiuggi. Ogni studente si studiava il piano regolatore di un comune toccato dalla ferrovia e si ipotizzava una integrazione fra i comuni grazie alla nuova linea. Fu un successo. Per molti degli studenti fu un incentivo ad esplorare l’uso del computer in urbanistica. Quando li incontro dopo tanti anni ancora me lo ricordano,. Questo per dire cosa? Che le nuove tecnologie della comunicazione dovrebbero essere TEMPESTIVAMENTE inserite nella didattica. Per vecchietti come me non è compito facile, ma cerco di farlo. Le conferenze sulle minacce dei nuovi mezzi servono a poco. Spesso sono fuorvianti.
    Chi impedisce a un docente di aprire un sito Google+ o Facebook e lavorare su quello con i propri studenti? Perché le piattaforme didattiche che sono fra l’altro gratuite, vengono così poco utilizzate?

  11. carlo sacco scrive:

    Molto modestamente e sommessamente consiglierei per la prevenzione dai rischi dei ragazzi ed anche dei genitori,la lettura delle riflessioni di Tiziano Terzani nel suo libro ”Un altro giro di Giostra” e soprattutto quelle sul suo soggiorno di sei mesi nell’Himalaya del Garwal. prima del suo ritiro all’Orsigna. Probabilmente certe necessità che concorrono ad aumentano le nostre ansie sarebbero annullate a priori dal sentirsi in armonia con la natura dell’universo dove viviamo, riscoprendo che la nostra mente è il più bello e prezioso strumento che possediamo e che ci fa degni di chiamarci uomini. Tutto il resto ritengo sia a beneficio d’inventario……scusate e passatemi la crudezza…..

  12. pscattoni scrive:

    Il problema esiste, ma a mio avviso va affrontato con pragmatismo. Un articolo pubblicato sulla Wired (http://www.wired.it/internet/social-network/2014/12/09/niente-allarmismi-sui-nostri-giovani-connessi/) riporta i risultati di una ricerca che fornisce dati un po’ più rassicuranti.
    Comune Enzo (Sorbera) in queste settimane stiamo frequentando un interessante corso di “scienza di cittadinanza” al Einuadi/Marconi. Si sperimentano strumenti avanzati e i nostri “colleghi” giovani studenti utilizzano la rete e i social per procedere in questo interessantissimo esperimento. Noi (io sicuramente) siamo un po’ in difficoltà a seguirli. Penso però che la strada sia quella. La scuola assume questi strumenti come elemento integrante dell’attività scolastica dove possano partecipare anche i “vecchietti”.
    Ormai è convinzione consolidata che i social siano in effetti “anti-social”. Dipenderà da come saremo in grado di utilizzarli. E’ un tema sul quale potrebbe essere utile ritornare, soprattutto per capire come potremmo trovare le soluzioni “locali” per rispondere all’innovazione.

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