Parto dal grande vecchio, forse meglio definirlo il grosso vecchio (evitate per favore il “grasso vecchio” 🙂 ), cioè da me.
Ho un’idea da qualche anno. Si tratta di realizzare un orto biologico da appena un metro quadrato da coltivare a fazzoletti di 30cmx 30cm L’idea non è mia. E’ vecchia di quarant’anni e nel mondo anglosassone è molto diffusa: dall’America fino alla Nuova Zelanda. L’idea mia invece è quella di rendere questo orto quasi completamente automatizzato. Potrebbe servire come orto didattico oppure come attività per persone anziane che stanno in case di riposo o custodite da badanti.
Ne ho parlato con un amico agronomo, laureato in agricoltura biologica. 110 e lode alla laurea triennale e a quella magistrale. Sarebbe un ottimo ricercatore, ma per ora è docente nella scuola media inferiore di matematica e scienze. Almeno sta in Italia.
Comunque questo amico ha condiviso entusiasticamente l’idea. Eravamo però scoperti dal punto di vista dell’automazione. Fortuna ha voluto che io frequentassi (per il monitoraggio) il progetto Laboratorio Ambiente presso l’Istituto Comprensivo Valdichiana, finanziato dall’Autorità per la Partecipazione della Regione Toscana. Lì ho chiesto ed ho avuto l’adesione di brillanti maker alla proposta. Così ora siamo un gruppo di sei, con un’età che va da 65 a 15 anni, quattro italiani e due rumeni.
Sono partite due linee di ricerca. La prima riguarda l’utilizzo di sensori per valutare la quantità di acqua ideale per ciascuna coltivazione all’interno dell’orto di un metro quadrato. La seconda è quella degli esperti di elettronica per “ingegnerizzare” l’orto: contenitore, posizionamento dei sensori (di umidità del suolo, ma anche altri- per esempio di insolazione) e marchingegni vari per la fornitura di acqua, protezione da eccessiva insolazione etc. Il grosso vecchio ormai è un semplice testimone, ma segue con entusiasmo.
Funzionera? Come in tutti gli esperimenti le incertezze sono moltissime. Se dovesse finire anche oggi, possiamo comunque dire che ci siamo divertiti, e non è poca cosa. Se continueremo per un altro po’, i più giovani avranno comunque appreso qualche nozione su come si conduce un progetto. Se avrà successo potremmo intanto avere un micro-orto funzionante. Scambiandoci poi i dati rilevati potremo avere input utili per la ricerca, soprattutto se la tecnica si diffonderà un po’.
Si chiama scienza di cittadinanza.
Vi terremo informati. Voi intanto fateci gli auguri.
Grazie a Enzo Sorbera per la “rassicurazione”!
Paolo, Bartholomew è un ottimista. La norma dice che “l’orto vole l’omo morto”. 🙂 Giustamente Maria Spina si preoccupa della quantità dei “congegni”. Se la posso tranquillizzare dirò che la miniaturizzazione fa passi da gigante e che questo, davvero, è solo un primo passo. Aspettiamo altri step.
L’idea è quella che l’elettronica serva a semplificare la gestione dell’orto. Si può comunque procedere nel modo tradizionale e l’inventore del metodo Mel Bartholomew sostiene che il tempo da dedicare all’orto è di 10 minuti al giorno (“Il mio orto in un metroquadro”).
Ovviamente è possibile anche una soluzione 2×3 adatta ai terrazzi non troppo grandi. Per le coltivazioni nel libro ci sono numerose schede. Passo comunque il quesito a Giovanni, l’agronomo del gruppo.
E’ una soluzione decisamente geniale! L’importante, però, è che i marchingegni cui fai riferimento non siano troppi e/o troppo complicati. L’elettronica, se da un lato è di fondamentale aiuto, dall’altro possiede “qualche” limite. Forse bisognerebbe creare moduli più piccoli (accorpando, ad esempio, solo 6 fazzoletti) che propongano prodotti tutti “da ombra” o tutti “da sole”. Chi, per sua fortuna, possiede una doppia esposizione può differenziare agevolmente la sua produzione orticola.
Ottima cosa, noi di Legambiente andiamo spesso nelle scuole a parlare di orti, ovviamente biologici, a volte di quelli da balcone e ultimamente di quelli sinergici.
Fateci sapere!!
gaetano
Roberto (Donatelli) se avremo successo faremo un’iniziativa pubblica e ne parleremo insieme. Intanto Grazie.
Auguroni!