Sarteano: successo della prima di “Berretto a sonagli”

teatroarrischianti650di Enzo Sorbera

Tutto esaurito al Teatro di Sarteano ier sera, 14 febbraio: davano la prima de “Il berretto a sonagli” per la regia di Gianni Poliziani. Ho sempre considerato “Il berretto” una pièce tratta di peso dal saggio che Pirandello pubblicò nel 1908 sull’umorismo, l’esplicitazione di quel “sentimento del contrario” dominato dall’ “acqua diaccia” della riflessione fantastica che affoga “la fiamma del sentimento”: lo sfrigolare del fuoco che annega è il riso.

Di più. “Il berretto” è una sorta di esposizione anatomica della nervatura concettuale di quel saggio. La passione domina le protagoniste di questa rappresentazione che è, apparentemente, una battaglia tutta al femminile, in cui la vera posta in gioco – al di là delle vendette – è il cuore del Cavaliere. In questo contesto, l’eroe che sembra vero, però, è lo sconfitto, quel Ciampa innamorato e, perciò, perdente, costretto dall’amore a dividere la moglie con l’altro e che si trasformerà, per convenienza, nel regista spietato che rinchiude Beatrice in un dramma personale di follia, tanto più grave in quanto imposto alla vittima.

Alla fine, il cerchio si chiude su colei che infrange le regole, la vera protagonista ed artefice della propria distruzione. Su questo intreccio, si dipana una delle opere più cupe di Pirandello, un dramma che, per somma ironia della sorte e in linea con la teoria dell’umorismo, viene presentato come commedia e che ha subito i tagli e le revisioni di Angelo Musco, il commediante comico per il quale (e molto dal quale) di fatto il dramma è stato scritto. Musco è stato un attor comico molto intenso – ineguagliata ad es., la sua interpretazione di don Cola Dusciu ne “L’aria del continente” di Martoglio – . La storia del “berretto”, della sua versione iniziale in dialetto siciliano e la perdita del manoscritto originale che costrinse Pirandello a riscrivere in italiano una sorta di traduzione della versione (tagliata) siciliana, la si troverà sicuramente su qualunque sito internet.

Ma badiamo al sodo. Se si interpreta in maniera “storica” il testo, troveremo che le due figure di Beatrice e di Ciampa sono di fatto la metafora dell’intellettuale, le due facce della stessa medaglia: la faccia della rivendicazione d’indipendenza contro quella dell’acquiescenza alle lusinghe della nascente industria culturale che compra il prodotto e distrugge “il genio” . Affrontare un testo così denso e complesso, questa commedia che Pirandello definiva “nata e non scritta” – cioè non costruita dalla riflessione, ma viva e spontaneamente vitale -, richiede un mestiere consumato oppure una buona dose di incoscienza. Siccome so che entrambe le qualità fanno parte del bagaglio di Gianni Poliziani e di almeno una parte dei componenti del gruppo che ha chiamato a interpretare “A’ birritta”, sono andato a teatro per cercare di capire se avessero fatto prevalere la pazzia – una delle “corde” del Ciampa – o il mestiere.

Dico subito che mi sono divertito e che considero quello presentato un lavoro di interpetazione e messa in scena eccellente.

Ottima la scelta delle due “duellanti”: bellissime, perfettamente calate nel ruolo, hanno impersonato due personaggi difficili con naturalezza, rendendoli credibili. Peccato che la Rossi sia stata sacrificata a una parte così secondaria: una battuta che le ho lanciato nel corridoio a proposito della collana, mi ha svelato una persona arguta e di pronta risposta. Avevo apprezzato molto la Belvisi nel monologo di Benni, ma non l’avevo mai vista in azione “corale”: è davvero brava.

Dei personaggi di secondo piano posso solo dire che hanno fatto un ottimo lavoro, confermando la loro fama di attori di gran calibro, con una particolare menzione per l’interprete del Delegato: finalmente ha perso quel suo accento umbro, che lo penalizzava un bel po’, e ha dato vita a un personaggio splendido. Lì per lì, mi sembrava un po’ fuori luogo il personaggio di Ciampa. Intendiamoci, è stata una recitazione notevole, solo in alcuni punti un po’ troppo insistita sui registri alti (che Gianni predilige). Insomma, Poliziani, prima facie, mi sembrava troppo “fisico” per quel ruolo. Ciampa lo vedevo come un personaggio bassino, un po’ curvo, magari appesantito sui fianchi – tutte conseguenze del suo lavoro da contabile -, con modi dimessi e voce piana, non come la figura imponente, dritta e prestante che Gianni gli ha prestato.

Ma Ciampa è un personaggio appunto umoristico: l’avvertire il contrario di quanto ci si attende è il comico, mentre sentimento del contrario è appunto la sua statura di figura straziante. Sotto l’apparente leggerezza delle sue considerazioni, mugghia il vortice cupo della sua situazione, che lui conosce perfettamente e che può sopportare in quanto dramma nascosto agli altri, nascosto dalla “corda sociale” delle convenzioni e delle convenienze, dramma che raggiunge il culmine quando si mette a nudo la sua incapacità di svolgere il proprio ruolo di assassino che , in quanto marito tradito, gli assegna la socialità consapevole, cosciente del tradimento svelato dalle mosse di Beatrice. Su questo piano, pensavo che probabilmente, un altro attore meno “ingombrante” sarebbe stato più credibile. Riflettendoci, però, ho avuto modo di apprezzare ancora di più quello che possiamo definire un colpo di pirandellismo: proprio con quella sua dimensione fisicamente esagerata, Poliziani rivela in filigrana la statura inadeguata di Ciampa come marito e come attore sociale. Bravissimi. Confido in parecchie repliche.

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3 risposte a Sarteano: successo della prima di “Berretto a sonagli”

  1. enzo sorbera scrive:

    Stimato Maestro Rizzetti, lei, da esperto, coglie subito il nodo saliente e dolente della questione: organizzare un punto di aggregazione culturale – sia un teatro o un’associazione – richiede tanta abnegazione e buona volontà ma anche tanta competenza. Non si “riempiono” gli spazi solo perché ci sono. Purtroppo, politiche culturali coerenti, progettuali, sono rarissime e, quando ci sono, devono fare i conti con bilanci risicati al limite del ridicolo – e talvolta c’è anche da fare i conti con la guerriglia di qualche assessore o del sindaco di turno -. Eppure, a dispetto delle difficoltà, i fiori sbocciano e crescono. Sarteano è un’ottima testimonianza ma, come lei sottolinea, non si fa da sola: c’è tanto, tantissimo (oscuro) lavoro di organizzazione, e soprattutto formazione, del pubblico ma anche degli attori. I dilettanti dell’ultima rappresentazione sono tutti “prodotti” locali che non solo lavorano duramente sul testo che hanno in cantiere, ma anche principalmente su se stessi. Fatini, Poliziani, Testa, DelBuono, Belvisi, Dispenza, Peruzzi, ecc. li vedo crescere pièce dopo pièce: Stanislavskij sarebbe fiero di loro.

  2. Allan Rizzetti scrive:

    La Compagnia Lirica “Gli Amici di Fritz” della quale faccio parte, ha avuto occasione di lavorare con la “Nuova Accademia degli Arrischianti” e in ogni occasione ha riscontrato grande professionalità e gentilezza. Sapere gestire un teatro, non vuol dire soltanto avere a disposizione uno spazio ma vuol dire, soprattutto, saperlo gestire con una oculata programmazione e con competenza. Io non ho avuto la possibilità di vedere questa pièce ma sono sicuro, conoscendo parte della Compagnia, che il risultato sarà stato di grande livello. Ad majora semper.

  3. pscattoni scrive:

    Non faccio fatica credere dell’ottima prova di Gianni (Poliziani) e dei suoi colleghi. Andrò ad una delle repliche.
    Qui mi piace sottolineare l’ottimo lavoro svolto dalla Nuova Accademia degli Arrischianti che gestisce il piccolo ma bellissimo teatro di Sarteano. Riescono a organizzare spettacoli di ottima qualità senza pretese di grandezza. Bravi.

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