Finalmente musica! Dopo una stagione teatrale piuttosto nutrita, un concerto come si deve. Sabato sera, in duomo a Chiusi, “Concerto di primavera”. L’Orchestra Poliziana, con le corali Arcadelt di Chiusi, degli Allievi della Sant’Anna di Pisa, “La Grazie” e “Poliziana” di Montepulciano, ha presentato un programma di tutto rispetto. La direzione è affidata a Roland Böer – un signore con un curriculum enorme. Tra l’altro è stato assistente di Antonio Pappano, che ho avuto modo di vedere recentemente alla direzione dell’orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, impegnata con l’ultima opera di Salvatore Sciarrino, La nuova Euridice secondo Rilke. Inoltre Böer è il direttore musicale ed artistico del Cantiere Internazionale di Montepulciano -.
Convenevoli e saluti tra le panche gremite della cattedrale: ci conosciamo quasi tutti. Si fa silenzio e dopo le presentazioni di rito, si parte con Hans Werner Henze e il suo concertino Zwei Deutschlandberger Mohrentänze per quattro flauti, percussioni, chitarra, quartetto d’archi e orchestra d’archi . Henze, tra il 1983 e il 1985, ha composto queste due danze “moresche” – era un tipo di danza particolare, ispirata dai “mori” spagnoli (gli islamici europei) – per l’orchestra del conservatorio austriaco di Deutschlandsberg – da qui il titolo del “Concertino” -.
Il cuore del concerto è una “Moresca” tratta dall’inglese Fitzwilliam Virginal Book (una collezione di manoscritti musicali che si riteneva appartenuta ad Elisabetta I). Il “virginal” del titolo, più che allo stato virtuoso delle signorine, fa riferimento ad uno strumento musicale dell’epoca (parliamo del 1500-1570), «uno strumento in cui le corde sono disposte ad angolo retto rispetto ai tasti, piuttosto che parallelamente (clavicembalo) o angolate (spinetta)», secondo la definizione del New Grove Dictionary of Music and Musicians. La moresca era una pavana, probabilmente la Spanysche Pavane di Bull, (anche se in genere si parla di una moresca anonima), raccolta nel volume citato. John Bull, a causa di una sua relazione con una donna sposata, per sfuggire le ire di Giacomo I, riparò ad Anversa, dove probabilmente diede impulso all’opera di Tylman Susato. Ma non divaghiamo. Abituato agli alti livelli dell’Orchestra Poliziana, ho apprezzato molto l’esecuzione di questo omaggio a Henze. L’unico disappunto riguarda l’ambientazione: il rincorrersi delle note in un’acustica di chiesa, risultava un po’ disturbante. Il tempo di rammaricarsi finisce presto. Ecco Vivaldi e la sua Primavera, che non avevo mai ascoltato dal vivo. Notevole il contrabbasso: ha tenuto “botta” senza esitazione, fornendo una base solida al fluire sonoro degli archi alti. La sorpresa è stata l’apparizione di un clavicembalo vero, non un’imitazione. Tra i musicisti, mi è sembrato di vederne uno giovanissimo, segno che il lavoro di formazione dell’Istituto di Musica procede anche in questi tempi da assedio barbarico alla cultura. Bravissima la solista, di cui mi sfugge il nome polacco.
In chiusura, estratti per coro ed orchestra dalla “Paukenmesse” , meglio conosciuta come Missa in tempore belli, in do maggiore, l’opera di Haydn che non ho mai apprezzato. Prende posto il coro, imponente, una settantina di persone. Dietro a loro c’è l’organo. Si dispone l’orchestra, e via. Il livello tecnico è davvero notevole: non c’è un cedimento, un’incertezza. Sono tutti davvero molto, molto bravi. Un passaggio insidioso dal forte al piano del coro viene superato senza troppi problemi. Tutti i brani sono sul registro del forte o fortissimo, cosa che potrebbe portare a sguaiataggini di vario genere (ad es., l’insidia dell’ amen insistito sta in quella “a” iniziale che fa sgolare e porta a rischi di “stecca”): nessuno dei coristi ha abboccato: la “a” viene pronunciata chiusa, quasi “o”. E’ sicuramente merito dei direttori del coro.
Bello, notevolissimo l’attacco in minore del timpano che apre l’Agnus Dei. La mia difficoltà però rimane intatta: questa Messa non riesce proprio a piacermi. Fervente cattolico, Haydn sembra aver trasfuso in quest’opera una visione di magnificenza – probabilmente aiutato dalla tonalità in Do, che spinge all’imponenza e dall’introduzione del timpano (il Pauken), che tratta come strumento tra gli altri, non solo come “accompagnamento”, per così dire -, un’enfasi che finisce per far andare tutto sul forte. Insomma, scherzando, mi piace pensare che si rivolgesse a un dio un po’ duro d’orecchi. Una curiosità. Missa in tempore belli è stata definita dagli allievi di Haydn – per via del pacem insistito del Benedictus e dell’Agnus -, ma sembra che Haydn non l’abbia mai definita così.
Un concerto magnifico. Grazie di cuore agli amici dell’Arcadelt che mi hanno invitato.