Raccontare è sempre selezionare. Ciò che è rilevante è tale solo e sempre per il punto di vista del narratore. Ma raccontare la storia più o meno recente è un’arte per interrogare e interrogarsi, e questo interrogare è tanto più stringente se si fa teatro. Un teatro non convenzionale, fatto di un luogo, un’officina dismessa, adattato ma non “adatto”, fatto di testi dispersi – lettere di soldati, spezzoni di film e di documentari (peccato per le difficoltà tecniche del documentario sulla “marcia per un Mondo Nuovo” dei siciliani accompagnati da Danilo Dolci e Franco Alasia), confessioni e canzoni – che non sono copione, ma per questo forse uno spettacolo ancora più significativo.
E’ stato un ottimo esperimento quello del gruppo che ha dato vita a “Libereazioni”, una rappresentazione che si è tenuta sabato 28 novembre scorso presso l’”antica” Officina Rosati. Un paio di ingenuità iniziali – la lettura “a mitraglia” di testi che hanno, invece, la necessità del passo lento dell’occhio materno-amoroso che deve/vuole leggere tra le righe, il volume troppo alto delle canzoni (acustica tremenda richiede strumenti non amplificati) – non hanno però impedito di apprezzare uno spettacolo di buon livello. Pubblico attento, che ha sottolineato con applausi convinti anche i passaggi più ostici. Un grande lavoro di luci ha sottolineato le atmosfere più cupe.
La storia raccontata parte dalle dimissioni di Mussolini e arriva all’assassinio di Tobagi. E’storia dell’Italia che si voleva intimidire con le bombe e con le stragi ma che non si fece impaurire. Quell’Italia onesta che sembra farsi piccina, oggi, di fronte ai tecnicismi di spread e cambi di un’Europa matrigna, davanti al dilagante ricatto della precarietà del lavoro e degli affetti, al montare di un’illegalità diffusa che si fa costume da sbandierare. Quell’Italia che rivive in queste rappresentazioni, si riconosce in canzoni che i ragazzini che le cantavano conoscono come “classici” (Il canto nomade di un prigioniero politico del Banco; La canzone della libertà di Endrigo e altre) e che invece hanno accompagnato i nostri vent’anni. Ecco, quest’Italia, finché ci sarà il coraggio e la voglia di raccontare e soprattutto di ascoltare la sua storia, può ancora sperare. Sarebbe troppo lungo elencare le voci e i nomi di coloro che hanno reso possibile questo spettacolo. Però, un grazie di cuore viene spontaneo.