Non è andata. Punto. Ha vinto l’astensionismo. Io sono andato e ho votato con convinzione. Non credo che la maggior parte di quelli che non sono andati lo abbiano fatto per l’appello di Renzi e di Napolitano, ormai legati da un comune destino politico. La maggior parte di quelli che non sono andati è perché non hanno capito qual’era il quesito vero. Il quesito vero aveva poco a che fare con i pericoli per lo sviluppo turistico. Il quesito vero era: è giusto che una concessione possa valere a tempo indeterminato? È possibile esentare i concessionari dal ripristino (smontaggio delle piattaforme) solo perché il concessionario stesso dichiara che nel pozzo è rimasta una tanica di petrolio?
Probabilmente non si è voluto dibattere sul quesito vero perché lo si riteneva troppo debole per trascinare i cittadini al voto. Invece era quello l’argomento da battere insieme a quello tirato fuori solo dopo che alla richiesta di referendum il governo era stato costretto a rispondere positivamente a cinque quesiti su sei.
Lo so che del senno di poi sono piene le fosse, ma è necessario considerare questa vicenda come un insegnamento per il futuro. È abbastanza naturale che il pensiero vada al referendum costituzionale di ottobre. Personalmente penso che sei mesi di campagna strillata non siano utili a nessuno. Lì il quorum non c’è e allora occorre convincere a votare con un’opera di informazione più che di propaganda, di pacato convincimento più che del decibel più alto. La modifica della Costituzione di Terracini, De Gasperi, Togliatti, La Pira, Calamandrei, Dossetti e tanti altri giganti della nostra storia recente merita molto di più di un confronto strillato alla maniera dei talk show televisivi.