Il Festival Orizzonti ha riaperto la discussione su come gestire la Cultura a Chiusi, sebbene sia un tema di attualità in tutta Italia. Marco Lorenzoni ha proposto ripetutamente, e da tempo, di indire gli Stati Generali della Cultura, espressione sicuramente di grande effetto (oltre che di moda) ma che va specificata, perché dietro questa insegna si possono intendere diverse modalità. Di base essi hanno come obiettivo quello di “coinvolgere attivamente gli operatori, le istituzioni culturali e gli amministratori pubblici… invitandoli ad essere parte attiva nella scrittura di linee guida condivise e di prospettiva”. Così recita la premessa degli Stati Generali promossi dalla Regione Piemonte. Oppure, come nel caso di quelli promossi dal Sole24, si tratta di approfondimenti specifici affidati a relatori “pesanti” come a Firenze lo scorso anno: il Ministro Franceschini, Melandri, Della Valle e così via, con in testa il Sindaco Nardella. Ci sono poi altre declinazioni che prevedono un segmento temporale dedicato ai relatori (ma chi li sceglie?) e a tavoli tematici di approfondimento con gli operatori del settore (ma chi li sceglie?). In questo caso, se sono tanti, spesso sono troppi, trasformandosi in Vetrina ed escludendo ogni forma di dialogo e di confronto (se non altro per motivi di tempo)
Ultimo, ma non meno importante: chi tira le fila di tutti questi contributi e, soprattutto, chi li trasforma in prassi, per usare un termine antico? Sono solo chiacchiere o qualcuno poi si impegna a farle diventare indicazioni per un nuovo corso?
Se l’iniziativa è promossa da un Ente locale, vi è almeno la possibilità che si possa trattare di una consultazione reale, che dia le linee guida di una futura azione; se è invece promossa da privati, essa deve comunque riuscire ad aggregare soggetti in grado poi di farsi sentire, se non si vuole rischiare che la bolla di sapone esploda poco dopo la sua creazione.
Diciamo quindi che l’esigenza di un confronto plenario con le forze in campo è reale e legittima ma che le modalità di esecuzione si dimostrano spesso discutibili. L’ultima volta che vi partecipai – inserito in un tavolo tematico non corretto rispetto alle mie competenze – eravamo una ventina (tanti, troppi), mancavano soggetti che operano sotto il radar istituzionale mentre ne erano presenti altri ormai usurati. Inutile dire che, di quel lavoro non se ne è mai saputo nulla, nemmeno la soddisfazione formale di ricevere la preannunciata sintesi tematica e operativa. Insomma, come spesso accade, si trattava di una vetrina per attivare il falso movimento delle consultazioni “dal basso”…..la famosa Partecipazione che non manca mai nei programmi elettorali e che però poi, in qualche modo, va simulata per non disattenderne le attese.
Vi è oggi una domanda che credo invece sia più produttiva dei risultati di generici Stati Generali della Cultura e che riguarda invece lo “Stato della Cultura” ovvero la definizione e la possibile condivisione di cosa significhi Cultura nel nostro tempo. Senza poter chiarire e condividere questo termine e cosa esso rappresenti, si rischia di usare una parola che ha mille significati diversi, con il rischio più che concreto, di parlarsi a vuoto intendendo cose diverse; e questo anche in assenza di malafede da parte di alcuni dei soggetti in campo.
Cultura in generale e Cultura nel particolare di un territorio, in questo caso di un territorio di confine e di passaggio, di Terme, di retaggio Etrusco ma anche di melting pot; di tradizioni popolari ma anche di necessità che la forza centrifuga non le disperda e le integri con la modernità. Di Cultura come memoria, come coltivazione del bello ma anche come occasione che essa venga proposta ad un grande popolo di viandanti globali ovvero il Turismo culturale che porta reddito e, allo stesso tempo, la ricchezza umana del confronto con altre realtà. Non credo, se attuata correttamente, che vi sia incompatibilità tra Cultura e Turismo culturale, essendo esse le due facce della stessa medaglia.
Per concludere e sintetizzare: prima degli Stati della Cultura credo sarebbe meglio, e più opportuno, definire lo Stato della Cultura, inclusa quella delle Performing Arts che invece, per molte ragioni, continuano ad essere le protagoniste principali.
Paolo Miccichè, docente al Conservatorio di Siena, operatore culturale, regista e visual director
La cosa che mi pare più inquietante è che sia sulla Cultura in generale che sul segmento più specifico del Turismo culturale, nessuno di coloro che gestiscono risorse o governano istituzioni, intervenga. Se ne parla e se ne scrive sempre in pochi come se, una volta dato il voto, la democrazia si fosse compiuta…. fino alla prossima volta. La Democrazia è una pianta che va curata ogni giorno, da parte di tutti: criticando, controllando, stimolando, proponendo…se così fosse anche gli Stati Generali sarebbero quel momento collettivo necessario al confronto e alla sintesi…sarebbero…
Ho trovato questa definizione di cultura su Google – definizione di cultura – : ‘Il complesso di manifestazioni di vita materiale, sociale e spirituale di un popolo o di un gruppo etnico in relazione alle varie fasi di un processo evolutivo o a diversi periodi storici o alle condizioni ambientali’.
Mi sembra che quando si parla di Orizzonti si parli soltanto dell’aspetto della manifestazione, ignorando tutte le altre componenti della definizione come, per esempio, le condizioni ambientali.
Donatelli, qui il tema era un altro e cioè: cosa significa promuovere la Cultura e, in questo caso anche utilizzando risorse pubbliche, quindi dei cittadini. Cosa si intende per Cultura? Mostre, Presentazioni di libri e Spettacoli teatrali? Orizzonti limitati scelti da chi e con quale criterio? Per decenni gli assessori alla Cultura hanno agito come se fossero dei Direttori artistici o peggio…quanti ne ho incontrati che mi dicevano: “voglio fare questo perchè ho una grande passione per…”..invece di farsi “enzima” di un territorio. Ora ci sono meno soldi e lo fanno meno, ma il problema resta più o meno lo stesso. Come ho detto, per me Cultura e Turismo culturale possono essere anche le facce della stessa medaglia, come per esempio a Siena dove la quotidiana vita culturale delle Contrade ha il suo culmine nel Palio dove la Cultura civica e popolare di una città, si incontra con chi, venendo da fuori, la vuole conoscere e vivere intensamente. Cosa si intende per Cultura? A chi si deve rivolgere? Con quale prospettiva? These are the questions.
Se il riferimento ” anche se sarebbe un ottimo investimento in termini economici ” è a Orizzonti gli unici che ne hanno tratto un guadagno sono i commercianti che Orizzonti ‘ ha pagato’ per vari motivi. ed alcuni che sono stati attivi per poco tempo. Per il resto buio.
Questo è quanto mi risulta parlando con varia gente. O sono tutti bugiardi, il che non credo proprio, o Orizzonti è un’occasione per far vedere quanto sono bravi, e sono bravi, ad allestire spettacoli. Un’ultima cosa. Tre anni ci fu il primo grande spettacolo, e la Piazza era piena (per modo di dire, circa 250 posti) di gente che sapeva cosa stava andando a vedere. Di quelle persone non ne ho visto alcuna nei successivi allestimenti. Forse il motivo potrebbe essere che quei tipi di spettacolo non possono essere fatti
in una Piazzetta ( non è che sia molto ampia), dove non è semplicemente possibile avere assoluto silenzio, per quanto uno si dia da fare, e che, per di più, toglie ai cittadini la libertà di godersi le serate estive. Non mi sembra una buona idea dire alle famiglie che possono tenere i bambini a casa per una serata. Le serate sono una ventina.
Ci può dare l’indicazione bibliografica precisa della citazione di Norberto Bobbio?
proporrei ai proponenti gli “stati Generali della Cultura” (termine orrendo e di infausta memoria) di leggere ciò che scriveva Norberto Bobbio nel ’56 a proposito di ‘operatori culturali’ e ‘operatori della cultura’ e di agire su quella base, Altrimenti è un altro pippone di una politica che sostanzialmente teme la Cultura, comunque la si intenda, perfino sapendo che sarebbe un ottimo investimento in termini economici.
L’interesse per il tema che viene posto c’è. Lo dimostra il numero dei contatti sui post sull’argomento. Questo di Miccichè sembra avere per ora un buon riscontro nonostante che chiusiblog sia stato inaccessibile per l’intera mattinata. È però un tema complesso e c’è una certa ritrosia ad affrontarlo.
Per comprendere meglio citerei proprio un’opera che non è di quelle per cui Miccichè come regista e visual artist è famoso non solo in Italia. Mi riferisco al visual show che Paolo realizzò nel 2012 presso il Teatro Mancinelli prima e se non ricordo male successivamente nella chiesetta di San Giacomo in piazza duomo (https://www.chiusiblog.it/?p=15103), Il tema trattato riguardava gli affreschi del Signorelli in Duomo. Fu un grande successo di pubblico (molti orvietani e moltissimi turisti). Ecco partiamo da qui.
Secondo me è più facile definire cosa non è cultura. Sempre secondo me, non è cultura un qualcosa che viene ‘imposto’ e che suscita un malcontento abbastanza diffuso.
Ogni riferimento a Orizzonti è puramente casuale.
Ma non potremmo partire con tentativi senza aspettare la perfezione? Partiamo da una definizione qualsiasi: “Oggi si può dare una definizione generale di cultura, intendendola come un sistema di saperi, opinioni, credenze, costumi e comportamenti che caratterizzano un gruppo umano particolare; un’eredità storica che nel suo insieme definisce i rapporti all’interno di quel gruppo sociale e quelli con il mondo esterno.”
Poi operiamo con un approccio tipo costi efficacia. Ipotizzare i settori in cui si opera. Poi stabiliamo una o più soglie di costo (p.e. 100.000). Quindi valutiamo le combinazioni e gli effetti che possono avere sugli effetti che ci interessano: promozione risorse locali, effetti sul turismo, integrazione sociale etc. A quel punto sarà chi è preposto alla decisione a scegliere fra le alternative. Utilità? Si sceglie sapendo che la popolazione è edotta e chi sceglie sa che è sotto osservazione anche in relazione al futuro voto.
…la definizione e la possibile condivisione di cosa significhi Cultura nel nostro tempo (e a Chiusi, aggiungo io). Senza poter chiarire e condividere questo termine e cosa esso rappresenti, si rischia di usare una parola che ha mille significati diversi, con il rischio più che concreto, di parlarsi a vuoto intendendo cose diverse…”
Questo è il punto.
La cultura, a mio modesto avviso, non è un concerto o uno spettacolo teatrale ma una categoria analitica, ha il potere di spiegare la società.
Ci sono a Chiusi le forze e la disponibilità per affrontare la questione? Secondo me no. E allora avanti con…”il Festival è bello e di qualità” o, “non ha senso e costa troppo”, oppure “son soldi ben spesi perché hanno una ricaduta sul territorio” e, perchè no?, “Vogliamo rimanere alla sagra dell’oco arrosto o vogliamo accostarci alla cultura alta?”.
Rilevo soltanto che negli anni il comune di Chiusi spende una cifra notevole “in cultura” (siamo nell’ordine di milioni di euro in un decennio).
Quale ritorno vogliamo o dobbiamo aspettarci? Un maggior lavoro per bar, ristoranti e alberghi o che cresca l’interesse per certo tipo di spettacoli?
E chi ne è escluso per mille motivi (a cominciare da quello economico)? Cazzi loro!
Tanto si sa, chi vive in una situazione sociale svantaggiata raramente sa padroneggiare stili e linguaggi culturali diversi da quello della propria vita quotidiana.
Parlare di cultura a Chiusi (e non solo) è una contraddizione in termini…
Questo di Paolo Miccichè è un intervento che sollecita molte riflessioni. Una soltanto: come descrivere “stato della cultura”? Richiede uno sforzo collettivo per la costruzione di una sorta di catalogo delle realtà in azione e quelle potenziali. Poi occorre vedere come descriverle e metterle in relazione. Di questo dovremmo discutere.