di Enzo Sorbera
Giorno della memoria. A Sarteano è programmato uno spettacolo teatrale di un autore francese che non conosco. Vado alla replica prevista l’ultimo giorno, nel pomeriggio di domenica 29 gennaio. “Dall’inferno alla luna” di J-P Thiercelin è una pièce di quelle che hanno il fascino dell’apparente facilità: un argomento complesso, viene mostrato e raccontato utilizzando un linguaggio lineare e diretto. Uno degli “apostoli del male”, scienziato che ha rinunciato alla propria umanità (è il direttore di un lager) per il “piatto di lenticchie” della (propria) libertà di ricerca, diventa uno dei pilastri della ricerca aerospaziale dei “buoni” . La storia è presto raccontata: Wernher von Braun, lo specialista di balistica e missilistica di Hitler, inventore e realizzatore della V2 – la bomba volante che martella Londra -, dirige un campo di concentramento e prosegue i suoi studi di fisica aerospaziale cercando di garantire ai militari hitleriani la vittoria finale. Vincono gli alleati e lui, con la sua squadra, si arrende agli Americani, che lo portano in USA e lo inseriscono in un progetto militare (Paperclip) che sfocerà poi nella NASA, agenzia del cui Centro di volo spaziale Marshall diventa direttore, conseguendo il successo dello sbarco sulla luna nel 1969.
A questa vicenda fa da contraltare la memoria che custodiscono quattro deportati nel campo di concentramento che dirigeva von Braun – c’è una componente autobiografica in questa narrazione -, una memoria che nessuno “vuole” più: è un fardello fatto di ruoli (il “portabandiera”) e di oggetti (banali nella loro quotidianità, se spogliati del significato intrinseco che hanno per i quattro protagonisti) ma, soprattutto, di un orrore che non si può condividere: sono gli incubi che perseguitano uno dei personaggi. Il testo è magnifico. Lo spettacolo è un vero capolavoro: ottimi gli interpreti – seppur mi siano apparsi un po’ stanchi in un paio di frangenti -, magnifica regia e sceneggiatura. I cambi abbastanza repentini di “modalità”: dal cantato al ballato al recitato e le inserzioni “pubblicitarie”, hanno messo in luce la stoffa e la versatilità – del resto nota – degli attori e della regia.
Sfido che l’autore, a fine spettacolo, fosse raggiante. Restano i tanti dubbi che uno spettacolo del genere solleva. Il “senso” di una memoria che non sa, non vuole o forse non riesce a uscire dallo stereotipo (il Partigiano, il Deportato, ecc.) che la condanna alla retorica e all’incomprensione – suscitando quello sguardo distratto che attirano i monumenti -. L’altro dubbio, che rode ancora di più, è il contributo che la scienza nazista, intendo proprio quella schierata con Hitler e Goebbels, ha portato alla nostra modernità. Penso ai von Braun, Heisenberg, von Weiszaecker che, catturati dagli Alleati, sono stati reimpiegati nel contesto occidentale. Vengono i brividi a pensare a quanto sarebbe successo se i nazisti non avessero promulgato le leggi razziali: la ricerca tedesca dell’epoca era all’avanguardia (l’americano Oppenheimer, ad es., ha studiato a Gottinga), a cosa avrebbero portato fisici, biologi e altri che non hanno potuto lavorare per i nazisti perché ebrei. L’amor di patria che viene invocato a giustificazione dell’impegno in un altro pezzo teatrale di Michael Fryan, quel “Copenhagen” che cerca di leggere l’incontro tra Bohr e Heisenberg, incontro che tanta amarezza suscitò in Bohr, l’amor patrio albergava anche tra quegli ebrei – da Einstein a Pauli – che furono i destinatari della campagna della Judenrein Deutschland.
Definire bello uno spettacolo così complesso e con così tanti risvolti e implicazioni anche emotive e psicologiche è difficile; sicuramente, è un testo notevole, un grande “pezzo di teatro”. Bravi a Giulia Peruzzi, Pina Ruiu, Calogero Dimmino, Pierangelo Margheriti, Gianni Poliziani, Francesco Storelli e Laura Fatini. Per una volta, nomino tutti e vorrei poter nominare anche le invisibili colonne portanti che stanno dietro alle quinte e che con il loro lavoro oscuro hanno reso possibile questa rappresentazione.
Spero che almeno qui si possano fare ugualmente delle considerazioni anche se non strettamente a tema… d’altronde non sta scritto da nessuna parte che, cominciando da un dato punto, in una discussione libera non si possa arrivare ad un altro… e, in una discussione libera, si arrivi ad un altro seguendo un ragionamento per “derivazione”. In questo caso poi, visto che non ero presente, non posso che poggiarmi su quanto riportato da altre fonti.
Ecco un bell’esempio di elaborazione culturale che, come dovrebbe sempre avvenire, prende un episodio del passato e ci costringe ad interrogarci quindi, anche sul nostro futuro. Penso altresì che il livello professionale fosse del tutto adeguato, conoscendo anche la qualità di alcuni dei realizzatori.
Se così fosse quindi, sarebbe un’ennesima dimostrazione della validità di forze locali che, durante il corso dell’anno, portano avanti con successo una loro linea identitaria e di ricerca. Spesso invece, nel campo “professionistico” assistiamo a prodotti con tutte le grammatiche noiosamente a posto ma – non solo estremamente datati – ma anche troppo concentrati sul formalismo e su una esasperata elaborazione concettuale fine a se stessa. partendo dall’esito positivo di questa produzione, un pensiero mi era venuto spontaneo riguardo la discussione in atto in queste settimane, relativa ad un certo Festival estivo…. Infatti, diverse persone avevano già ipotizzato un maggior coinvolgimento di forze locali in modo strutturale, una volta scartata l’idea di perseguire un altro tipo di vetrina estiva, diciamo più fine a se stessa