di Paolo Scattoni
Oggi sono andato a Orvieto, la Fondazione per il Centro Studi presentava il bilancio 2016. È stato un viaggio utile per capire cosa fosse successo negli ultimi quattro anni. La fondazione è nata nel 2000. L’obiettivo inziale era quello di divenire un punto di rifeimento per le università consolidate dell’area, soprattutto l’università di Perugia, le università romane e non soltanto quelle pubbliche.
Sarebbe troppo lungo raccontare in dettaglio perché quel progetto non è riuscito e descrivere la crisi finanziaria che a un certo punto è esplosa. Alla fine del 2012 l’amministrazione di centro destra propose la chiusura. Il tutto doveva avvenire nell’arco di poche settimane. Un consigliere di maggioranza, prima della formalizzazione della decisione, riuscì a strappare una commissione di approfondimento che in 20 giorni avrebbe dovuto rendere la decisione “tecnicamente” giustificata. In quella commissione fui fra i due componenti designati dalla minoranza. Lavorammo molto intensamente, molto importante il contributo di un mio dottorando, oggi collega, con il quale ventre a terra riuscimmo a delinare alcuni percorsi alternativi in cui si dimostrava che il recupero era possibile. Chiedemmo anche una breve proroga di una o due settimane che non ci fu concessa. Per fortuna lo stesso consigliere di maggioranza fu convinto dal nostro veloce studio e dopo alcuni mesi di tira e molla il lavoro continuò con altri esperti e la Fondazione è sopravvissuta.
Quando ho visto l’invito di quest’anno in cui si anticipava che “Il bilancio consuntivo 2016 della Fondazione per il Centro Studi “Città di Orvieto”, confermando il trend iniziato nel 2014, si è chiuso con un risultato economico positivo pari ad € 28.142,00” mi sono incuriosito, sono andato e ho scoperto che quelle ipotesi del 2012/2013 erano fondate (anche senza contributi pubblici!!!).
Le università americane che hanno scelto Orvieto come sede per i loro programmi di “semestre all’estero” sono passate da 2 a 6. Rappresentano l’85% delle entrate. Come da tradizione la Fondazione ospita molte altre iniziative di ricerca e formazione. L’impatto sull’economia locale è ovvia. Nel 2016 studenti e docenti che svolgono attività per un semestre accademico sono stati 340, con un trend in netta crescita. Rimangono nel centro storico per alcuni mesi. Basta fare una semplice moltiplicazione per capire quanti “dollari” si riversano quotidianamente nel centro storico orvietano: affitti, bar, ristoranti, ecc
E i vecchi debiti? Le attività del Centro Studi hanno permesso in quattro anni di passare da 640.000 a 400.000; questi ultimi da restituire nei prossimi dieci anni. Certamente molti, ma ormai la Fondazione è in grado di affrontare quel debito con una certa tranquillità.
Quella sull’economia della conoscenza per Orvieto è stata una scommessa azzardata, ma nonostante tutto vinta. È un’esperienza difficilmente ripedibile. Le competenze necessarie e le condizioni si costruiscono nell’arco di molti anni. Rimane però un insegnamento importante anche per noi.
Secondo me il caso della Fondazione orvietana insegna molte cose. La prima è l’aver capito che c’è un “turismo” di economia della conoscenza. Il secondo insegnamento è il ruolo dell’esperienza in questo progetto. Quando tutto sembrava perduto le persone che l’avevano maturata l’hanno messa adeguatamente a frutto e hanno raddrizzato una situazione apparentemente irrimediabile. IL terzo insegnamento è l’appoggio della maggior parte della città in questo percorso.
Non c’è alcuna possibilità di ripeterla a Chiusi, ma forse quache contatto potrebbe servire per lanciare qualche progetto in comune.