di Rossella Manfridi
Nelle testate giornalistiche locali si assiste in questi giorni ad un’aspra polemica riguardante il taglio dei pini di via Oslavia. Il problema fondamentale è che il dibattito avviene sostanzialmente tra meno di dieci persone .
Il numero dei post infatti non giustifica le presenze trattandosi sostanzialmente di un “botta e risposta” : chi accusa la Pubblica Amministrazione di esecuzione capitale , chi le opposizioni di non esser intervenute, in un coro , volendo tirar le somme , abbastanza unanime, nel dire “ Ci dispiace che quei pini non ci siano più”. Probabilmente è stata la vittoria del più forte poiché tra i cittadini ci saranno sempre i tassisti o gli indaffarati che hanno necessità di strade lisce e velocemente percorribili, da un lato ,e gli amanti dell’ombra e del vivere slow che accettano pur volentieri qualche disagio, a maggior ragione se creato dagli alberi , dall’altro . Di certo in quest’occasione, osservando da fuori , la ripartizione sarà stata 50&50 oppure il disinteresse diffuso per la questione il più totale.
Il fatto è che il problema non è riducibile al taglio dei pini ma al futuro di una comunità e dei suoi figli. Nell’immediato potremmo dire che abbiamo eliminato le radici ma non il problema dei tassisti e degli indaffarati poiché, si auspica la sostituzione delle medesime con una serie di dossi per rallentare il traffico, stante che l’area contigua è destinata a parco giochi di bambini e ragazzi; per cui si viaggerà sempre lenti ma per qualche anno sicuramente al sole, scontentando così anche gli amanti dell’ombra.
Ma la domanda da porsi è: esiste una progettualità complessiva che determini il destino architettonico ed economico del paese? Ho sentito dire “ Chiusi fra 10 anni sarà cambiata!”
Vorrei che qualcuno si ponesse anche la domanda successiva “ Come?”
Come sarà il lago ? Come sarà l’area commerciale ? Come sarà il centro storico? Come si inseriscono in tutto questo le opere pubbliche ? Quali sono gli investimenti a lunga scadenza? Cosa porteranno? Se la stessa domanda i cittadini di Chiusi se la fossero posta 20 anni fa si sarebbero immaginati un paese com’è adesso? E’ la progettualità complessiva ed il perseverare nel conseguirla che determina il risultato senza però perdere di vista la realtà circostante , anzi prendendone spunto e provando ad essere un passo avanti.
Altro aspetto importante è la tempistica , il mondo va veloce, ed andare “lenti” non deve significare non essere al passo : 10 anni oggi sono tantissimi quasi improponibili.
Una start-up israeliana ha creato dei sensori che sono in grado di vedere attraverso le superfici per cui da Israele , essendo l’applicazione satellitare , riescono a vedere , per esempio , i guasti della condotta idrica in Italia: impensabile fino a tre anni fa .
Allora , prima di dover chiedere aiuto agli Israeliani, evitando il soffermarsi su aspetti presenti e non riscontrabili altrove come: la ZTL più corta d’Italia , la rotonda in discesa, e si auspica i dossi per tutta Via Oslavia , è possibile conoscere e/o configurare il concreto e complessivo risultato di sviluppo che si vuole raggiungere, condividendolo e dibattendolo insieme ai cittadini ?
P.S. Dimenticavo …….gli Israeliani hanno detto che con noi giocano facile perché da Israele vedono che “la nostra rete idrica è piena di buchi”
Ringrazio infinitamente per il livello che ha raggiunto il dibattito, che , al di là della puntualizzazione storica in merito ai piani territoriali , potremmo dire si svolge attorno ad un nucleo comune . Ricordando, infatti, che proprio Rosi nel 2005 ricevette la laurea Honoris Causa in Pianificazione Territoriale Urbanistica ed Ambientale ed il film è classificato tra i 100 film italiani da salvare , si può affermare che solamente il punto di osservazione dei due ultimi commenti è diverso ,ma, risulta sostanzialmente riassumibile , a mio parere , in democrazia partecipata da un lato e democrazia trasparente dall’altro, che , in conclusione , non possono che assurgere ad un unico concetto.
Tuttavia io vorrei ricondurmi ad un livello più terreno . Questa mattina attraverso un quotidiano nazionale il Sindaco di Città della Pieve ha espresso un minimo di progettualità “turistico-economica” in relazione alla candidatura di Città della Pieve a Capitale Economica della Cultura , ( ove s’intenda minimo non in senso spregiativo ma piuttosto in relazione alle forze disponibili , d’altronde non siamo a Roma ne’ a Milano); ciò può anche comportare un coinvolgimento della cittadinanza in ragione di un traguardo che può rivelarsi economicamente positivo. Poiché si tratta di una candidatura multipla ho appreso che anche Chiusi vi è inserita , tuttavia non mi sembra che la comunicazione che si trova sullo stesso quotidiano da parte del Sindaco di quest’ultima abbia la stessa…
Quella che ci offre Fabrizio Camastra è una ricostruzione storica errata. Nel secondo dopoguerra l’urbanistica non è mai stata “partecipata” e non c’è stata una legge che introducesse la partecipazione oltre alle osservazioni dopo l’adozione del piano prima che poi fosse definitivamente approvato con decreto presidenziale (a seguito di istruttoria del ministero dei Lavori Pubblici). La mancanza di una legge di riforma urbanistica della legge fondamentale del 1942 ha determinato la qualità pessima delle trasformazioni del dopoguerra.
I modelli città ideale nascono nel Rinascimento italiano e non laasciano quasi traccia. Così praticamente avviene per la totalità dei tentativi a seguire. La città ideale esiste soltanto nella testa di alcuni teorici dell’urbanistica. La partecipazione dovrebbe avvenire in forma continua tramite trasparenza e traccibilità sulle trasformazioni dettate dai problemi che continuano ad emergere.
Complimenti Rossella Manfridi per questo articolo. La domanda che lei pone mi riporta indietro nel tempo, alla mia tesi di laurea: le questioni urbanistiche negli anni del miracolo economico. Quella che lei rivendica è l’urbanistica partecipata, un particolare approccio riguardante la definizione della “città ideale”. Un metodo introdotto con l’introduzione dei piani urbanistici degli anni ’50, all’epoca dei governi Fanfani. Fu proprio grazie a questo approccio che si ebbe la possibilità di denunciare le violazioni che venivano compiute in città come Roma e Napoli (veda il film di Le Mani sulla Città di Rosi). La nuova epoca, quella della perenne crisi e quindi della perenne emergenza, accorcia le prospettive, azzera gli ideali e soprattutto sdogana questo antipatico atteggiamento del “fare e poi vediamo”. Quando si parla di urbanistica bisognerebbe relazionarsi a urbanisti con una progetto di città del futuro. Oggi si fanno le cose per farle e soprattutto per poter dire di averle fatte. Insomma alla Carlona. Per i voti spicci. E chi come lei chiede una cosa che ai nostri padri era concessa come un diritto, viene guardato con il sospetto che il bifolco riserva a chi si introduce senza permesso nella stalla. E il bifolco notorimente non si accontenta di guardare solo male.
Ricordo quell’incontro al Mascagni. Ricordo che il sindaco di allora in conclusione disse che lui sarebbe stato a disposizione di quelli che volevano spiegazioni o offrire proposte e lo avrebbero trovato sino a mezzanotte nel suo ufficio in Comune. Non ci sono commenti da fare né su questo e neppure sugli interventi (ci fu chi propose che si poteva liberamente costruire in campagna e sarebbe sato sufficiente dipingere le nuove case di verde). Ovviamente questa non è partecipazione. C’è però da dire che anche con procedure meno assurde e grezze non si elimina pa possibilità di fare finta partecipazione. Quello che mi piacerebbe succedesse a livello locale è una ricerca di procedure e metodi che gaeantiscano trasparenza e tracciabilità dei processi di decisione.
Riflessioni condivisibilissime e, senz’altro, per lo meno da me, sottoscritte integralmente. Due almeno le cose da sottolineare: l’idea di città, integralmente intesa, che hanno gli abitanti di questo paese e le modalità con cui possono definirla e poi realizzarla. Le possibili risposte sono molteplici, ma tutte necessitano di un prerequisito senza il quale l’insuccesso è sicuro.
Proporre, dibattere, e scegliere le migliori idee è ciò che ogni comunità dovrebbe fare. Qui non è mai stato fatto. E si vede.
Pensi: per il nuovo Piano Strutturale si è contrabbandato per “partecipazione” UNO (dicasi UNO) incontro pubblico in cui è stato presentato il Piano che di li a poco sarebbe stato approvato in CC. E dire che la legge regionale fa della partecipazione uno degli strumenti portanti della pianificazione urbanistica del territorio. Quando i fatti sono così distanti dal significato delle parole che li descrivono è ragionevole pensare che la comunità e l’amministrazione che si è data hanno un deficit culturale e democratico difficilmente sanabile. Per concludere: immagino che i suoi amici israeliani si facciano grasse risate guardando i nostri buchi.
Con chiusiaperta.it si è tentato di dare una risposta al dilemma. In generale, ma ancora di più in un periodo di grandi innovazioni come questo, non è possibile “prevedere” e delineare un progetto complessivo. Non so quanti potessero nel 1860 delineare un futuro senza la ferrovia. Una ventina di anni (i tempi dell’area sportiva di Pania 🙂 ) sono stati sufficienti a strutturare la rete ferroviaria italiana. Chi poteva dunque prevedere il cambiamento che quell’innovazione determinò nella vita di tanti: nuova organizzazione della produzione e delle città. Si tratta dunque di trovare un approccio capace di “accompagnare” al cambiamento la comunità locale in maniera consapevole.
Mi scusi, ma lei da dove viene? Lo sa che siamo in Italia e, per di più, a Chiusi?