di Paolo Scattoni
Alcuni di quelli che oggi a Chiusi fanno politica attiva sembrano muoversi con lo stesso stile e con gli stessi modi di 20/30 anni fa. Ma la situazione è profondamente cambiata. Sino agli anni ’80 l’appartenenza politica attraverso il tesseramento era un fenomeno di massa.
Il vecchio PCI aveva circa 1800 iscritti organizzati in diverse sezioni e addirittura in cellule di vicinato. L’organizzazione era il vanto di quel partito e l’attività politica molto vivace. La DC, allora partito di maggioranza relativa nel Paese, a Chiusi era piuttosto debole, ma poteva vantare circa 300 iscritti e buoni legami con il potere senese, sempre e comunque rappresentato dal Monte dei Paschi.
Al contrario il Partito Socialista ha sempre avuto a Chiusi una militanza più che doppia della DC. Un fenomeno probabilmente influenzato dal potere e dalla personalità di Loris Scricciolo. C’erano poi le poche decine di tesserati del Movimento Sociale, partito di estrema destra, le varie espressioni della sinistra extra parlamentare e qualche altra decina di inscritti dei partiti laici. Facendo bene i conti, si può affermare con ragionevole sicurezza che quasi un elettore su due aveva una tessera di partito.
Dopo Tangentopoli e l’avvento della cosiddetta seconda repubblica, quell’appartenenza è progressivamente svanita. Nel 2010 il tesserati del PD sono stati 276, quelli degli altri partiti poche decine in tutto. Nei mesi che hanno preceduto le elezioni c’è stata un’accelerazione di questa tendenza alla diminuzione. Ad oggi, pare che neppure la metà dei tesserati del PD abbia nel 2011 rinnovatola tessera, nonostante le elezioni amministrative. Anche Sinistra Ecologia e Libertà ha avuto diverse defezioni. Del PSI non sappiamo.
Questa realtà sembra rispecchiarsi nel Consiglio Comunale, dove appena la metà dei consiglieri aderisce a un partito.
Nei partiti sembra consolidarsi l’attitudine all’esclusione piuttosto che all’inclusione. Nell’ultimo congresoo del PD hanno votato poche decine di persone creando in alcuni dei tesserati un evidente disagio, anche per i tempi ristretti con i quali si è voluto operare.
Ma allora come possiamo immaginare il futuro politico della nostra città?
Non credo tu sia stato mal interpretato; la domanda che conclude l’intervento di Paolo Scattoni è: “ma allora come possiamo immaginare il futuro politico della nostra città?”
Di analisi – anche in questo sito – ne sono state fatte tante e, molto spesso, pertinenti. Ora è necessario capire come rimettere in moto il sistema, soprattutto nel senso della riattivazione dei “ricettori” dei cittadini; altrimenti le analisi saranno corrette ma tutto rischierà di restare come prima perchè la maggioranza dei cittadini non vedrà i problemi che una minoranza cerca di segnalare. In una città della Spagna c’era un gran fetore dovuto ad aziende che lavorano un certo materiale. Arrivato lì chiesi al portiere dell’albergo come mai ci fosse quella puzza insopportabile. “Quale puzza?” mi rispose lui. Qualche giorno più tardi, per la verità, la notavo meno anch’io. Non so se ho reso l’idea…..
forse sono stato male interpretato, il mio commento voleva essere solo una fotografia dell’attuale situazione, quali siano poi le strategie giuste: partiti, associazioni o quant’altro fa parte della necessaria elaborazione dei prossimi mesi , ma ripeto la mia era solo una considerazione su quanto avvenuto nei mesi di campagna elettorale.
Caro Giorgio, non esattamente. La funzione di “cinghia di trasmissione” va salvaguardata ed è ineliminabile ma non vi è una sola modalità per la sua strutturazione, prendere o lasciare. I partiti tradizionali non avevano questa funzione nemmeno in quella che ora ci viene presentata come l’età dell’oro. Quando ero ragazzo io, i grandi partiti avevano un’ampia rappresentanza di iscritti ma poi i meccanismi erano tali che la comunicazione tra base e vertice risultava comunque scarsa. Ora, senza più base, è rimasto solo il vertice e la cosa ha raggiunto il massimo della distorsione.
Se non si riesce a fare in modo che un’ampia fascia di società civile possa mettere le proprie competenze al servizio della collettività, senza dover optare tra la propria attività professionale e la politica come mestiere, da questo cul de sac non se ne uscirà. E’ questa nuova modalità l’alternativa da ricercare. Iscriversi ad un partito come è strutturato ora, significherebbe percorrere gli stessi sentieri di sempre perchè non possono certo essere i politici di professione che favoriscono dall’interno questa nuova modalità. Un albero storto non lo puoi più drizzare, fai prima e meglio a piantarne un altro.
Quelle che Paolo Miccichè chiama “possibili alternative” non sono altro che i partiti gestiti secondo i criteri della democrazia. I partiti infatti, teoricamente, sono “comitati di cittadini” che possono, volendo, permettere “un’ampia rappresentanza e un ricambio dirigenziale con innesti continui provenienti dalla società civile”. Per uscire dalla “ripetizione mantrica” basta iscriversi a un partito e partecipare attivamente, pretendendo il rispetto delle regole democratiche, oppure crearne di nuovi, chiamandoli con nomi diversi, ma sempre partiti saranno. Qualsiasi organizzazione, anche se non si chiamerà partito, rischierà di finire nelle mani di politici di professione se coloro che ne fanno parte non avranno la forza e la volontà di impedirlo.
L’analisi del prof. Scattoni è talmente condivisibile che la stiamo in molti ripetendo da diversi mesi (anni), anche troppi; non vorrei che si confidasse oltre misura nel potere taumaturgico della ripetizione mantrica.
In ogni modo, oltre ai nuclei dirigenziali di questi involucri vuoti – puri mezzi tecnici per capitalizzare voti – osserviamo da un lato i nostalgici di questa formula partito tra cui, assai temibili, coloro che credono ostinatamente in una prossima palingenesi o nella possibile rigenerazione di organismi tossici (vedi “Bioecologia partitica”); poi ci sono gli altri, sempre più disorientati.
Possibili alternative: comitati di cittadini “interlocutori /controllori” degli amministratori oppure nuove aggregazioni sperimentali che permettano un’ampia rappresentanza e, con essa, un ricambio dirigenziale con innesti continui provenienti dalla società civile, temporanei ma “professionali” e quindi non improvvisati, grazie ad un lavoro di documentazione costantemente attivo. La difficoltà infatti è convogliare il tempo e le energie di persone che, solo all’interno di un sistema a forte condivisione, potrebbero dare il loro prezioso contributo senza compromettere la propria attività lavorativa. Altrimenti tutto resterebbe nelle mani di “politici” di professione con le conseguenze sotto gli occhi di tutti.
Quella che Scaramelli e Storelli stanno ipotizzando non può essere il modo di immaginare il futuro politico della nostra città. Servirsi delle associazioni, o di qualsiasi altro gruppo di potere, non significa fare politica ma ricercare il consenso personale. La politica non può più essere identificata con la ricerca del consenso personale perché ormai abbiamo visto a quale degrado ha portato tale concezione, a Chiusi e ovunque sia stata perseguita, fino all’esempio più eclatante che è quello del governo nazionale. La politica deve tornare ad essere la ricerca dell’interesse collettivo e ciò si attua con la rivalutazione di un sistema democratico in cui i partiti recuperino il loro ruolo sia di interfaccia tra i cittadini e le amministrazioni che di scelta oggettiva dei candidati basata esclusivamente sul merito. La sfida che deve affrontare chi vuole riportare la democrazia nella politica è quella di impegnarsi per fare in modo che i cittadini ritrovino quello spirito civico che consenta loro di pretendere di partecipare in maniera attiva alla gestione delle proprie comunità. La dimostrazione che questo metodo può funzionare l’abbiamo avuta nelle recenti elezioni amministrative e nei referendum. Un’ulteriore riprova che questo potrebbe essere il metodo giusto è data dal fatto che chi vuol mantenere tutto allo status quo sta praticando l’esclusione sistematica dei cittadini dalle decisioni, sia politiche che amministratrive, in modo che queste rimangano prerogativa di quei pochi che perseguono prevalentemente interessi personali.
I partiti a Chiusi non esistono più e non da adesso. Se il partito più importante conta circa 250 iscritti, i cont sono resto fatti. Quanti iscritti hanno Sel, Idv, Socialisti e dall’altra parte il Pdl?
Arrivano a 100 tra tutti?
Insomma tra tutti i partiti avranno al massimo 400 iscritti… Gli altri 7.000 e passa cittadini elettori sono altrove…
E se i partiti si comportanto come si sono comportati nella recente campagna elettorale e, nel caso del Pd, anche al recentissimo congresso, che ha eletto Simona Cardaioli, che dire? Che la “fuga” o l’emorragia è solo una naturale conseguenza.
Ai partit sembra interessare poco tutto ciò perché chi comanda ha altri luoghi e altri meccanisnmi per imporre le decisioni. Il problema, se mai è nostro. Cioè dei cittadini: come recuperare voce in capitolo e possibilità di intervento?
Il problema
quanto sostiene Luca (Scaramelli) ci suggerisce che al momento è meglio cercare di “infiltrare” più possibile le associazioni, tralasciando i partiti, che ormai sono divenuti insignificanti. Questo dovrebbe essere un monito anche per coloro che, come noi, vogliono provare a riportare un po’ di democrazia nella politica locale, e che insistono a provarrci all’interno dei partiti. I partiti ormai sono già morti e sepolti. Meglio cercare di entrare nelle associazioni e fare proseliti all’interno di esse, sfruttando anche le credibilità personali, che, per fortuna, non mancano.
la recente campagna elettorale a chiusi è stata un chiaro segnale, se una volta era la politica, rappresentata dai partiti, ad entrare in maniera pesante nella società civile e nelle associazioni oggi avviene il contrario: le asociazioni di vario genere hanno deciso incarichi, strategie e di fatto l’esito del voto, con i partiti, compreso quello di maggioranza e con il più alto numero di iscritti praticamente alla finestra, o per lo meno incapace di mettere da parte i personalismi di pochi.
in prospettiva questo ci dice che la politica rischia sempre più in futuro di essere in mano a pochi comitati di affari, con i partiti ridotti a comitati elettorali da riattivare ogni cinque anni e in grado ben che vada di decidere giusto il menù della festa dell’unità o come si chiama ora.
Una volta tanto non intervengo per criticare, dando la dimostrazione che ogni tanto ho la facoltà di apprezzare positivamente. Questo articolo, nella sua misurata semplicità, è uno dei più belli e interessanti che siano stati mai pubblicati sul blog. L’evocatività dei dati riportati dall’autore appare come irresistibile e appetitosa; è la tesi dalla quale scaturiscono i problemi da sviluppare nell’antitesi. Speriamo che la sintesi sia incoraggiante.