di Paolo Scattoni
Ho ricomprato un libro che avevo letto alla fine degli anni ’70, usato ovviamente. Si intitola “The collapse of work” pubblicato nel 1979. Documenta una ricerca del 1978 e riguarda il Regno Unito. Simo ancora in una Gran Bretagna governata dai laburisti e una forte influenza dei sindacati. La ricerca esamina in dettaglio tutti i settori produttivi e calcola la diminuzione dei posti di lavoro a breve, medio e lungo termine. La previsione sui 25 anni era di una perdita di 5 milioni di posti di lavoro. Al 2003 la previsione è poi risultata azzeccata. Soltanto una parte di quella perdita era a quell’epoca sostituita da nuove occupazioni.
Si tratta degli effetti della terza rivoluzione industriale. L’introduzione di nuove tecnologie legate alle ricadute della ricerca spaziale si applica a numerosi settori. Chiudono ad esempio i grandi centri di elaborazioni dati di università, di grandi imprese ed organizzazioni. La stessa potenza di calcolo contenuta in grandi ambienti con aria condizionata e decine di addetti viene offerta da computer personali. Prima si affacciano i “giocattoli (Commodore, ZX80, etc.). Poi computer veri e propri. Mentre, però, moltissimi utenti potevano ulitilizzarele potenialità della terza rivoluzione industriale, cominciava a svilupparsi la quarta, molto più veloce e ad impatto molto più grande.
La disponibilità di microchip sempre più a basso costo si sposa con le nuove tecnolgie della comunicazione. Siamo alla metà degli anni ’90 e in trent’anni le trasformazioni si vedono subito. Basta passeggiare per Chiusi e metterlo in relazione con quello che era appena15 o 20 anni fa. Quante edicole sono rimaste? Quanti negozi hanno chiuso? Come influisce su tutte le nostre attività l’uso del telefono portatile che
La quarta rivoluzione industriale sta pesantemente influenzando il modo di produrre. L’automazione è ormai spinta al massimo e la perdita di posti di lavoro è oggi drammatica.
Tutte cose risapute, ma servono a porre la classica domanda: che fare?
Poco si sa sulle politiche generali. a livello mondiale, europeo e nazionale. Su quei livelli la nostra possibilità di incidere è minima, anche perché da noi nessuna forza politica ci offre una strategia credibile.
Ci interessa però capire cosa si potrebbe fare a livello locale. Possiamo costruire una strategia locale per affrontare il cambiamento? Con quali mezzi?
Ad oggi pare che questo argomento interessi assai poco la politica locale. Cominciare con uno spazio per le startup ha secondo me poco senso. In un’iniziativa del Comune sulla cultura l’associazione Innovazione Locale cercò di delineare una possibile strategia, senza grande riscontro. Forse oggi possiamo riprendere il discorso partende da quella elaborazione. Se, però, c’è di meglio ben vengano altre proposte.
xRoberto Donatelli https://www.youtube.com/watch?v=-WIGqbUMtEQ
Non mi soffermo perché non è questo il luogo della discussione sui grandi sistemi. Però ci sono ormai numerosi pensatori e centri di ricerca che ci spiegano che i paradigmi tradizionali dell’economia stanno tutti saltando (Rifkin, Benkler, ecc.) o come minimo trasformanosi molto velocemente.
La proposta del “con chi ci sta” riguarda il possibile per il nostro sistema locale. Il possibile oggi ci permette di die che è questione di poche settimane, ma volendo con un centinaio di euro di materiali e qualche decina di euro di mancia a chi monta la centralina e la installa è possibile monitorare la qualityà dell’aria intorno a casa nostra. Se poi si si vuole si può mettere a disposizione di tutti questa informazione e fornire un “bene pubblico” in forma di servizio.
Poco? Sicuramente si. Lo si pensi però su molti altri “beni pubblici” e si possono immaginare gli effetti.
Chi ci sta ne avrà beneficio. Per chi non ci crede nessun danno.
Si,ne dubito perchè per la maggior parte è una questione di volontà politica e di soldi. Ed allora se la volontà politica di chi ci guida avesse mostrato interesse oltre alle parole,parecchi ostacoli sulla via della vera valorizzazione sarebbero stati rimossi. Cosa resta senza questa? I soldi ? Ebbene si, anche se purtroppo lo sappiamo tutti che senza lilleri non si lallera.Cosa significa andiamo avanti e vediamo se è possibile farlo con chi ci sta? Trovare qualche illuminato che metta a disposizione locali e soldi, ma soprattutto idee ? E secondo te Paolo, tale eventualità non sarebbe una sconfitta ancor maggiore per l’establishment della politica anche nel nostro piccolo e ristretto territorio? Quante volte abbiamo detto e criticato da queste colonne ed anche in altro loco Orizzonti? Io stesso dissi che occorreva fare piazza pulita di tutto questo meccanismo mangiasoldi e cercare di andare avanti con le proprie forze,magari con l’aver dietro una macchina pubbblica che ragioni e che creda nelle idee dei suoi cittadini.Ma per far questo occorre conoscenza e non iniziative asfittiche e che la espandono a pochi e perdipiù che usano le strutture di una macchina burocratica investendo e dando potere a chi non ha nessuna idea di novità,becchiamoci le contrade,il concerto rock d’estate e poco altro.Sarebbe questo il futuro? Questo secondo me è il passato ma da parecchi anni.Senz’altro da più di venti.Ai nostri giovani così non si dà nulla!
Roberto (Donatelli) richiama la necessità di un’elborazione teorico-filosofica per inquadrare questo passaggio storico. Personalmente sono d’accordo, ma non ritengo sia chiusiblog la sede per questo dibattito. Carlo (Sacco) dubita che con il nostro personale politico sia possibile una strategia locale per la cosiddetta industria4.0
Io credo invece che sia necessario propvarci con chi ci sta.
I ragazzi di Innovazione Locale ci stanno provando oer una pare, piccola quanto ci pare ma con qualche successo.
Quante ‘ politiche ‘ si sono succedute nelle nostra storia e in generale? Possibile che non ce ne sia stata una che abbia funzionato? Altrimenti non ci troveremo di fronte al paradosso: progresso + buona volontà + intelligenza = un incerto presente..il resto lo sapete.
Darwin credeva, nonostante esprimendo pessimismo sulla possibilità, che il meccanismo da lui osservato potrebbe essere quello alla base delle specie intitolando il suo lavoro “ON le origini delle specie”, non LE origini delle specie cosi come è stato presentato fin dalla sesta edizione nel 1872. In altre parole, siamo stati noi che abbiamo deciso il titolo LE origini delle specie, non Darwin. Una semplice ricerca confermerà quanto sopra.
Credo, fermamente, che la soluzione ci sia, credo anche che sia sempre più difficile metterla in atto. Coloro che hanno letto i miei posts sanno a che mi riferisco. Mi rendo anche conto che l’esposizione delle mie idee non è stata una delle migliori. I motivi sono due: il primo è che è difficile mettere in chiaro ciò che per te è chiarissimo, si tende a tralasciare delle cose. La seconda è che non sono uno scrittore e, per di più, sono influenzato dal modo inglese di esprimersi che è piuttosto differente da quello italiano.
Progresso + buona volontà + intelligenza = un incerto presente e un non proprio roseo futuro. Un qualcosa di fondamentalmente ‘sbagliato’ ci deve essere, visto che le 3 componenti della somma raggruppano il ‘ meglio di noi’, altrimenti vorrà dire che per quanti ‘sforzi’ faremo il risultato non potrà cambiare, quindi chiudiamo baracca e burattini e non se ne parla più. Io non credo, assolutamente, che sia cosi.
E’ solo una questione di punti di vista. Se continuiamo a vedere la vita dal punto di vista creato dalla teoria dell’evoluzione ( che non è di Darwin, ma nostra) le cose non potranno che andare ‘avanti’ cosi. Il risultato della somma non cambierà.
Credo che sia molto difficile che possano venire altre proposte e non per cattiva qualità dei cervelli ma per cattiva qualità della politica locale.Sarà una ripetizione,ma qui si rischia di non vedere che il problema è esclusivamente”POLITICO”, perchè superato e migliorato quello, probabilmente le iniziative cadrebbero a pioggia e fra tutta quell’acqua qualcosa di bagnato potrebbeala fine restare.Ma cosa si pretende da un Comune che investe le proprie risorse culturali asfitticamente per un ventaglio di iniziative che guardano all’associazionismo come bene supremo da salvaguardare e che perciòseguendo tale principio disperde in mille rivoli somme di denaro che se fossero concentrate su progetti singoli(pochi ma buoni) avrebbero possibilità di risultati da poter essere valutati degni di una buona partenza e che lascerebbero certamente ben sperare? Questa è una politica incentrata non sull’individuazione di specifici filoni culturali ma che invece mostra un occhio a 360° guardando alle persone in maniera clientelare per serbatoi di voti e per non dispiacere ai vari capibastone.Vogliamo vedere se sia vero o no su cosa ne esce da tutto questo?: Una miriade di continue attività e mobilitazioni talmente rarefatte che non raggiungono nè lo scopo educativo,poco quello sociale,ancor meno quello culturale poichè di tutta questa minestra nulla o pochissimo rimane alla gente.E cosa dovrebbero rimanere cose come il Tria Turris? Ma cosa insegnano?