Come sempre, un articolo di Fosco Taccini è stimolante e appassionante. L’esperienza che abbiamo condiviso in materia di scienza di cittadinanza è un patrimonio che, seppur disponibile a chiunque nelle sedi e modi indicati, sta rischiando di vanificarsi per invecchiamento: si tratta di materiali che sono vivi solo se li si aggiorna, li si ridiscute e li si sviluppa.
Un buon aiuto è arrivato dalla Prof. Moretti che, dopo un breve tirocinio con noi, ha replicato il laboratorio anche alla Scuola Media, consentendo così una diffusione di competenze ancora più capillare e su fasce di età ancora più giovani di quanto siamo riusciti a fare noi. Questo background di conoscenza diffusa può diventare prezioso se messo a servizio della comunità.
Assodato che siamo d’accordo su questo obiettivo, il problema che si apre è sul come diffondere le competenze e soprattutto condividerle. Il nostro lavoro, nato con l’appoggio della scuola (L’Istituto d’Istruzione Superiore Valdichiana di Chiusi), si è sviluppato quasi esclusivamente in ambito scolastico e sconta i limiti di un’attività essenzialmente didattica. Innovativa quanto si vuole – sono stati mostrati “oggetti” talvolta sconosciuti, abbiamo sperimentato modalità didattiche non usuali come la “classe capovolta”, ecc. -, ma è comunque un’esperienza collegata e limitata alla scuola.
Purtroppo, scontiamo l’assenza di un laboratorio, che abbiamo chiesto e “sognato” ma che non ci è stato concesso, dove incontrarsi e sperimentare direttamente senza l’assillo dell’orario e dell’ospitalità. Soprattutto, ci manca uno spazio dove si possano incontrare le diverse competenze e i diversi livelli di competenza. Io ho risposto a tutti quelli (pochi, per la verità) che mi hanno chiesto il motivo per cui un pezzo di codice in C language non funzionava oppure perché la tal libreria Python non si installava; credo che, come me, anche altri abbiano dato il loro supporto sulle competenze e gli interessi che li appassionano.
Ma questo non è laboratorio: il codice che “non gira” va sperimentato e io spesso non avevo la possibilità di replicare l’almanacco che il mio scrivente aveva tirato su. Fare l’analisi mediante debug passo passo su carta è stato abbastanza frustrante. In un paio di casi, poi, non sono riuscito a venire a capo del problema. Direi perciò che il primo passaggio è la costruzione di un laboratorio permanente e liberamente accessibile in cui sperimentare e dove fare anche didattica. Dalla sperimentazione diretta nascerà anche la progettualità per il territorio: ad es., potrebbero essere ripresi i vecchi progetti sul controllo dell’umidità di cunicoli, catacombe e monumenti come pure i progetti di robotica di esplorazione di possibili siti archeologici. Da un lavoro di mappatura territoriale potrebbe scaturire una metodica di orientamento che consenta di lavorare ad es. per una sentieristica turistica sicura (non solo mediante Q-R code) con ricadute di rilievo anche sulla qualità della vita degli abitanti della città. Da qualche chiacchierata con amici, infatti, è emerso che oggi, in diversi casi, abbiamo difficoltà a far arrivare le ambulanze a casa di persone che abitano su strade vicinali o in case sparse di campagna.
Dato che non è consentito da alcuni strumenti di referenziare case private, talvolta, la chiamata all’ambulanza rischia risposte ritardate. Un lavoro sui sentieri potrebbe rispondere anche a questa necessità di orientamento su un livello più alto. Inoltre, un lavoro di questo genere potrebbe avere risvolti utili anche nel caso di ricerca di persone che si fossero smarrite, magari captando le onde del cellulare. Un altro aspetto, connesso, è il lavoro di monitoraggio del movimento di animali selvatici.
Questa proposta persegue due obiettivi: creare una rete su scala sovracomunale di soggetti interessati ed eseguire un monitoraggio di comportamenti che possono portare a politiche di prevenzione più consapevoli che non il classico “avvistamento” a terra – con rischi notevoli di equivoco e di informazione errata sia per qualità (scambio di un cane per un lupo) che per quantità (si vedono cento caprioli mentre in realtà sono una quindicina) -.
Insomma, si tratta di fare un piccolo salto in avanti per poter convogliare su progetti reali quanto abbiamo imparato e possibilmente ampliare la tecnologia ad interagire con ambiti interdisciplinari. Sperimentando e sbagliando si impara e si fa un lavoro che potrebbe essere utile per tutti.
Il rispetto credo, dovrebbe essere meritato.
No, proprio non ci offendiamo. L’associazione può procedere senza dover condizionare al verificarsi di condizioni che non dipendono da noi stessi.
Abbiamo rispetto per le istituzioni e non le abbiamo mai viste sotto il profilo dello scambio o come dispensatrici di favori: è un gene non fa parte del dna dei componenti dell’associazione. La nostra proposta di collaborazione trova orecchie attente e orecchie distratte o indifferenti: facciamo un discorso che, seppur rivolto a tutti, non è detto che tutti sappiano o vogliano apprezzare. Non per questo ci offendiamo: a me non piace il tamarindo ma sono ottimo amico di grandi estimatori di quella bevanda. 🙂
Robero (Donatelli) concordo. L’associazione ha comunque dimostrato di poter farne a meno.
….”dobbiamo continuare”, si senz’altro, ma non fate affidamento al appoggio della G.C., non con questa.
Con Enzo Sorbera ci confrontiamo da anni su come sviluppare una cultura tecnologica a livello locale (http://www.chiusinews.it/?p=6439). Concordo con lui su molti punti. La sua proposta è molto interessante e l’associazione Innovazione Locale dovrebbe seriamente discuterla
Ci sono però molte altre possibili iniziative. Ho incontrato l’altro giorno un archeologo locale importante nella storia del gruppo archeologico di Chiusi che mi ha detto che si potrebbe riprendere il discorso dell’endoscopio orientabile per esplorare cavità inaccessibili (https://www.chiusiblog.it/?p=31491).
Un punto fisso di incontro sarebbe utile, ma secondo me, non lo dobbamo considerae come indisopensabile. La nostra impostazione “incrementalista” ha ottenuto qualche successo. Dobbiamo continuare.