Perché non può aver valore il solo appellarsi a sito UNESCO

di Rossella Rosati

“Poiché le guerre hanno origine nella mente degli uomini,
è nello spirito degli uomini che si debbono innalzare le difese della pace

dal preambolo dell’atto costitutivo UNESCO.

Prima di tutto occorre porre l’attenzione su chi sia l’UNESCO.
La dicitura UNESCO è l’acronimo di “ United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization”. Si tratta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura. E’ un’agenzia speciale della Nazioni Unite creata allo scopo di promuovere la pace e la comprensione tra le Nazioni attraverso l’istruzione , la scienza, la cultura, la comunicazione e l’informazione al fine di promuovere “il rispetto universale per la giustizia, per lo stato di diritto e per i diritti umani e le libertà fondamentali” che la Carta delle Nazioni Unite riconosce a tutti i popoli, senza distinzione di razza, di sesso, di lingua o di religione.
Una delle missioni dell’UNESCO è quella di mantenere una lista di patrimoni dell’umanità. Sono siti importanti culturalmente, o dal punto di vista naturalistico, la cui conservazione e sicurezza è rilevante per la comunità mondiale. L’UNESCO stessa fissa 10 criteri affinché un sito ottenga il riconoscimento di patrimonio mondiale dell’umanità.
La Convenzione del Patrimonio Mondiale sottoscritta nel 1972 ha introdotto nella legislazione internazionale l’idea che al mondo vi fossero dei patrimoni di importanza tale da avere valore per tutta l’umanità, e che la responsabilità della loro gestione superasse il livello nazionale, nonostante la responsabilità rimanga a carico delle singole nazioni.
Vorrei a questo punto che l’attenzione fosse richiamata da due concetti sopra espressi quali “ stato di diritto” e “responsabilità a carico delle singole nazioni”. L’esser riconosciuto quale sito UNESCO non significa l’aver posto un sigillo che si sovrappone a norme dello Stato, sostituendole, altrimenti è lo stesso scopo dell’Unesco che viene ad esser negato, tuttavia e’ lo Stato il soggetto tenuto al rispetto degli impegni assunti, con la sottoscrizione della Convenzione, per la tutela dei siti Unesco.
Nel Manuale di gestione del Patrimonio Mondiale Culturale con prefazione di Kishore Rao, Direttore del Centro Patrimonio Mondiale dal 2011 al 2015 , qualificato quale “manuale di supporto“, si delineano i comportamenti che devono tenere gli Stati sia per il riconoscimento che per il mantenimento della qualifica di un sito UNESCO nel loro territorio nazionale
Un esempio eclatante è dato dalla città di Firenze il cui centro storico è Patrimonio Mondiale dell’Umanità, Firenze nel 2015 ha ricevuto una comunicazione dell’UNESCO che la poneva quale sito sotto osservazione. Tra le cause della procedura avviata si indicava “la scomparsa dei negozi storici ed il proliferare di attività commerciali che cambiano il volto del centro”, venendo così meno uno dei requisiti per cui il centro storico era stato riconosciuto patrimonio mondiale.
I livelli della procedura sono tre: messa sotto osservazione, messa in mora, infine espulsione dall’elenco dei luoghi posti sotto tutela .
La messa sotto osservazione da parte dell’Unesco, però, non significa che le grandi catene commerciali che hanno trasformato il centro di Firenze siano illegittime o che le medesime non potevano essere lì collocate. Si tratta di una trasformazione di per sé legittima che pone in atto una variazione del territorio che viene così a perdere quelle peculiarità che gli sono proprie e che avevano determinato la sua inclusione a Patrimonio dell’Umanità. Tutto sta nella valutazione politica dell’indirizzo che s’intende perseguire (Tomaso Montanari docet quando parla di Firenze quale città in svendita).
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Allo stesso tempo l’appellarsi, da parte dei comitati fiorentini, all’UNESCO per opporsi all’ampliamento dell’aeroporto di Peretola non ha sortito, logicamente, lo stesso effetto.
Se andiamo a controllare su: https://www.unesco.beniculturali.it/allegati/38/Mappa/Mappa_38_ValdOrcia.pdf ci accorgeremmo che le aree indicate dalla Sogin lambiscono le aree incluse all’interno del sito Patrimonio Unesco della Val D’Orcia ma , prima facie , ne apparirebbero escluse.
Infatti all’interno delle proprie relazioni, la Sogin, evidenziando i criteri seguiti per la determinazione delle aree idonee, esprime , per la Val d’Orcia la necessità di porre in essere un ulteriore approfondimento, attirando l’attenzione sull’argomento che non si può tralasciare di considerare l’iterazione dell’area considerata idonea con l’ANPIL della Val d’Orcia e che ,pertanto, ciò merita ulteriori verifiche da effettuarsi nelle fasi successive.
Vorrei così porre l’accento sul fatto che la continua istigazione provocatoria dimostra che ci siamo disabituati all’analisi delle situazioni ed allo sviluppo di un dialogo diretto a sostenere le proprie argomentazioni di fronte a chi ce ne fa richiesta: quando non veniamo coinvolti non ci va bene e quando veniamo coinvolti, ugualmente, non ci va bene, poiché dovevano essere già “gli altri a prevedere a priori” la volontà generale di un territorio. Deleghiamo l’interesse e le decisioni.
Altra precisazione va fatta in merito alla raccolta di firme. La raccolta di firme non costituisce mezzo di opposizione, può esser elemento di pressione politica ma qualcuno deve concretamente lavorare intorno alla formulazione dei concetti necessari a determinare l’esclusione dell’area individuata dalla Sogin come area idonea, se ciò corrisponde alla volontà generale.
Se ricordate, nella vicenda del carbonizzatore di Chiusi la raccolta di firme si pose come elemento determinante per l’apertura della procedura di consultazione pubblica cui contribuirono in Regione , affinché prendesse corpo tale strada , Tommaso Fattori di Si Toscana e Giacomo Giannarelli del M5S, giungendo ad imporre ad ACEA l’avvio di tale procedimento . Se non fossero state raccolte tutte quelle firme probabilmente tutto sarebbe passato in sordina.
Qui la procedura di consultazione pubblica è già avviata, ci sono 60 giorni di tempo che, una volta individuati i soggetti legittimati all’intervento, e quindi cooperando con gli stessi , devono essere sfruttati per analizzare i documenti e sviluppare tutti quei ragionamenti necessari per perseguire i propri obiettivi.
C’è tanto lavoro da fare e non vale la pena disperderlo in mille rivoli che potrebbero rivelarsi non sufficienti.
A questo punto qualcuno potrebbe domandarsi “Allora quali sono le azioni da porre in essere?”
Concretamente individuare e sostenere i Comitati che intendono partecipare alla procedura e che sono a ciò legittimati, e, collaborando con i medesimi, che a loro volta si affiancheranno a persone competenti nelle diverse materie, sviluppare gli argomenti costituenti le valide motivazioni del perché l’area identificata non risponde a più ampi requisiti di idoneità.

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3 risposte a Perché non può aver valore il solo appellarsi a sito UNESCO

  1. ROSATI ROSSELLA scrive:

    X Enzo Sorbera. Mi trovo d’accordo con la valutazione espressa. Qualsiasi problema potrebbe esser trasformato in un’opportunità. Nel caso in specie non ci dimentichiamo che le aree identificate sono 67 e con l’apertura della procedura, si confida che ci sia qualche candidatura in merito, anche perché ci troviamo di fronte ad una necessità collettiva impellente per cui non vale girarsi dall’altra parte. La discriminante sta nella sfiducia accumulatasi nel tempo verso le Istituzioni, però, dall’altro lato, ci siamo dimenticati di cosa sia la partecipazione democratica, il “controllo” della decisione politica e dell’importanza dell’indipendenza degli strumenti, a loro volta, di “controllo”. Faccio riferimento ad un caso pratico di questi giorni: “La Soprintendenza boccia il progetto Boeri per la centrale geotermica in Val di Paglia”. Il progetto è stato bocciato dalla Soprintendenza ma anche dalla “gestione associata Autorizzazioni paesaggistiche dei Comuni Amiata Val D’Orcia” come rivela l’ultimo trafiletto dell’articolo. Ciò significa che c’è stata: 1 una commissione di Tecnici che, valutando altro rispetto alla Soprintendenza, ha operato in modo indipendente dalla politica 2 che la gestione associata di un territorio porta ad una serie di pesi e contrappesi maggiormente idonei all’identificazione di un obiettivo comune.

  2. enzo sorbera scrive:

    C’è un problema più generale: se io riesco a “scampare” il guaio, ci sarà sicuramente un territorio che sarà sopraffatto dall’ineluttabilità della decisione. Se mi “nascondo” dietro all’UNESCO, potrò guadagnare tempo, ma non ho risolto il problema, che verrà spostato altrove e magari si potrà ripresentare qui, domani, sotto altra forma. Si tratta di capire come affrontare la questione più generale di smaltimento o stoccaggio di scorie pericolose in questo quadro di generale sfiducia nei confronti dello Stato e dei controlli che potrebbero garantire la (relativa) sicurezza della popolazione e del territorio. Una decisione trasparente e condivisa potrebbe essere capace di trasformare un problema in un’opportunità.

  3. pscattoni scrive:

    Sono d’accordo. Il solo appellarsi al sito UNESCO non è di per sé sufficiente, anche se può pesare sulla valutazione finale. C’è però anche da dire, conoscendo il costume italico, c’è anche da dire che potrebbero pesare le influenze “politiche”. È bene quindi che in questi giorni le dichiarate contrarietà soprattutto da parte dei comuni interessati, della Regione e di altri interessati si tramutino in un serio lavoro per le osservazioni. L’area fra Pienza e Torrita è classificata in terza fascia prima ci sono molte altre aree candidate. In questa fase la mobilitazione è importante, ma ancora di più il lavoro degli esperti che gli enti che hanno espresso contrarietà sapranno coinvolgere.

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