di Agnese Mangiabene, Francesco Orsini e Enzo Sorbera
Proseguendo il nostro discorso, un punto rilevante e, secondo noi, prioritario è la questione del lavoro perché correlata con quella del benessere dei cittadini di Chiusi. Nel quadro che ci troviamo a vivere, assistiamo a fenomeni che sembrano contraddittori, apparentemente paradossali.
Da un lato, assistiamo alla progressiva riduzione dei posti di lavoro e, dall’altro lato, vediamo le aziende proiettate alla ricerca di figure professionali formate, ma che sono scarse al limite della rarità. Inoltre, vediamo sempre più affermarsi un modello di produzione che privilegia l’automazione spinta e disegna contestualmente una modalità di erogazione del lavoro sempre meno legata al modello manifatturiero (un luogo dove andare a lavorare, con le tutele connesse) e sempre più giocata sulle figure “freelance”, apparentemente moderne e dinamiche, in realtà soggette a ritmi lavorativi massacranti, per le quali il tempo di non lavoro è praticamente azzerato, come azzerate sono le tutele di tipo sanitario e pensionistico.
Il fenomeno di espulsione progressiva dei lavoratori dal circuito produttivo verrà accentuato dall’ulteriore incremento alla digitalizzazione che darà il PNRR. Questo aspetto strategico del Piano, seppur mitigato con la previsione di un finanziamento importante per la creazione di posti di lavoro nuovi e il rilancio delle pari opportunità, porterà alla perdita di una quantità rilevante di posti di lavoro “tradizionali”.
Qualcuno interpreta questo fenomeno come rilascio di risorse, economie da reimpiegare in maniera diversa, ma non “vede” l’altro aspetto, cioè che anche qui, in questa dimensione locale, si creeranno una serie di problemi sia di tenuta sociale (è noto che i problemi centrali vengono “scaricati” sulle comunità locali e sulle famiglie ed una povertà diffusa rappresenta un costo sociale che localmente sarà di difficile gestione), sia di tenuta democratica (pensiamo ai rischi connessi a questo fenomeno e che implicano una forte instabilità degli equilibri relazionali).
Sappiamo che si tratta di un fenomeno intrinseco allo sviluppo capitalistico, cui occorre dare risposte che non siano di tipo nostalgico (perché indietro non si torna), né di tipo “protezionistico” (ad es., la legislazione sulla non licenziabilità sposta solo nel tempo la necessità di affrontare il problema, scaricando sulle aziende la gestione immediata della difficoltà). Un primo modello di risposta è stato fornito dal reddito di cittadinanza – che ha permesso una boccata d’ossigeno e ha garantito la sopravvivenza a famiglie e anziani colpiti da forme di povertà e di crisi lavorativa che sono strutturali, indotte in parte anche dalla miope azione del Jobs Act -, ma riteniamo che sia un modello da rivedere e potenziare. Non si tratta di fare assistenzialismo. Purtroppo, non è questo lo spazio per esplicitare la lunga analisi sui meccanismi di estrazione del plusvalore che l’attuale fase del “capitalismo della connessione” permette di accumulare.
Però, ci sono margini di intervento che non sono assistenzialistici ma di giustizia sociale che passa per un’equa redistribuzione del reddito. Al fenomeno della distruzione dei posti di lavoro tradizionali, si accompagna la difficoltà che hanno le aziende del territorio a trovare personale formato e immediatamente impiegabile. L’azione amministrativa che proponiamo è di promozione di luoghi e modi d’incontro tra aziende del territorio e le scuole che insistono nel nostro distretto.
Negli anni scorsi, intere quinte classi uscite dal nostro Istituto d’Istruzione Valdichiana sono state assunte appena diplomate perché formate con insegnamenti di meccatronica e meccanica avanzata. Riteniamo che sia possibile concordare piani formativi che introducano insegnamenti per formare specialismi utili alle nostre industrie, e, insieme, qualifichino ancor più la scuola pubblica come eccellenza.
Non dobbiamo poi dimenticare che sulla prospettiva di medio-lungo periodo sopra delineata di progressiva erosione dei posti di lavoro, si innestano fenomeni di prestazione lavorativa come telelavoro, smart-working, co-working (e altre tipologie che stanno emergendo) che, inizialmente condizionati/imposti dalla pandemia, da occasionali ormai si stanno affermando come le modalità ordinarie di erogazione della prestazione lavorativa (ad es., la CISL ha visto un’adesione del 58% allo smart-working da parte degli iscritti intervistati al proposito).
Si tratta quindi di tenere conto anche di questa novità per ragionare su un modello di città che sviluppi infrastrutture di rete veloce su cui insistano e transitino servizi per i cittadini residenti, servizi tali che rendano appetibile l’idea di “venire a vivere a Chiusi”. In pratica, riconfermiamo l’idea di città a misura di cittadino residente che dev’essere il primo destinatario della cura e delle attenzioni della politica locale.